Antropologi e registi con il Vangelo in tasca

Documenti amatoriali dei missionari nella Filmoteca Vaticana

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ROMA, sabato, 30 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo scritto da Claudia Di Giovanni, delegata della Filmoteca Vaticana, e apparso su “L’Osservatore Romano”.

 

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Il valore di un archivio filmico dipende in parte dalla conservazione di opere importanti che hanno segnato la storia della cinematografia, titoli conosciuti universalmente che si possono trovare in tante altre filmoteche del mondo, fondamentali per illustrare il percorso artistico dell’uomo nel Novecento. Esiste, però, un altro valore, quello dell’unicità, legato a documenti singolari, che non esistono in nessun altro archivio, come nel caso della Filmoteca Vaticana che conserva alcune pellicole amatoriali realizzate negli anni Cinquanta dai missionari in Papua Nuova Guinea, Borneo, Sumatra.

Si tratta di un piccolo patrimonio antropologico in pellicola che, visionato dallo Smithsonian Institution, una delle istituzioni culturali americane più prestigiose, è stato considerato fondamentale per la conoscenza di alcune tribù indigene mai filmate prima.

Le riprese sono tremolanti, perché realizzate non da professionisti, ma dagli stessi missionari. L’occhio della telecamera si lascia incuriosire soprattutto dalla vita quotidiana delle popolazioni per documentarne usi e costumi ed entrare nei loro gesti di tutti i giorni, avvicinandosi a quel mondo sconosciuto, senza invaderlo.

Attraverso la pellicola è possibile scoprire alcune caratteristiche di queste culture, vivendo da vicino le loro abitudini nella preparazione del cibo, nella cura dei bambini, ma anche nella celebrazione dei loro riti e nella partecipazione a quelli cristiani.

In ogni fotogramma si percepisce soprattutto curiosità, rivolta alla reciproca conoscenza:  la curiosità di chi riprende incontra la curiosità di chi si lascia ritrarre, documentando l’incontro tra uomini nella più profonda diversità di cultura e civiltà.

Il valore di questi tremila metri conservati sta tutto nella scoperta, la scoperta di un villaggio che lascia entrare l’altro nella propria vita, lo accoglie, dimostrando che la convivenza pacifica si realizza nel rispetto, senza pregiudizi, e si compie nell’incontro tra uomo e uomo e nel desiderio reciproco di conoscersi.

Il rapporto dei padri missionari con il cinema è remoto e la pellicola è stata uno strumento per documentare l’incontro con le diverse culture. È stata la tenacia a guidare questi uomini che, portando il messaggio di Cristo oltre i confini della propria civiltà, si sono addentrati in un terreno sconosciuto con la certezza che il profondo rispetto per ogni essere umano fosse il primo passo per avvicinare, conoscere l’altro e farsi conoscere, inserendosi nella vita di un popolo, fino a diventare uno di loro, pur rimanendo se stessi.

Ognuna di queste brevi pellicole è un viaggio, un viaggio che, oltre a narrare l’opera dei religiosi in Paesi lontani geograficamente e culturalmente, rappresenta il cammino della vita umana, non sempre semplice, tra conquiste e sconfitte, ma comunque accompagnato dalla validità del messaggio universale di Cristo che cambia l’esistenza dell’uomo con l’Amore, una rivoluzione che può ridefinire i rapporti umani nella reciproca accettazione.

Nel lungo percorso di attività delle missioni, i padri hanno dunque saputo sfruttare il cinema per superare la diversità culturale e l’incomprensione della lingua, affidandosi proprio al linguaggio delle immagini. Tutto questo ha portato a utilizzare la pellicola già dai primi anni del Novecento, inizialmente per mostrare a quei popoli le storie del Vangelo e il mondo cristiano, in seguito per far conoscere l’attività svolta nei diversi Paesi.

L’immagine è diventata così lo strumento comunicativo per facilitare lo scambio culturale, ma allo stesso tempo ha fatto comprendere la vera dimensione nella quale si è svolta l’opera dei missionari.
Purtroppo il cinema, come documento delle missioni non è sempre noto, anche perché le pellicole legate a questo argomento sono spesso rimaste chiuse negli istituti missionari che le hanno realizzate. Molta di questa produzione del passato è amatoriale, come quella conservata nella Filmoteca Vaticana, ma ciò non toglie nulla al suo valore culturale.

Le pellicole ritrovate nell’archivio sono, infatti, importanti sia dal punto di vista antropologico ed etnografico, perché hanno permesso di conoscere popoli lontani, sia da quello più strettamente missionario, poiché confermano che trovando la giusta forma di comunicazione è possibile superare i problemi pratici che ogni diversità culturale porta con sé e diffondere il messaggio evangelico.

(©L’Osservatore Romano 15 gennaio 2010)

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ZENIT Staff

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