ROMA, giovedì, 21 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il tribunale di Faisalabad (Pakistan) ha condannato all’ergastolo Imran Masih, un giovane cristiano di 26 anni accusato di aver distrutto alcune pagine del Corano (cfr. ZENIT, 9 luglio 2009).
La sentenza, ricorda AsiaNews, è stata emessa in base all’articolo 295-B del Codice Penale pakistano – noto come “legge sulla blasfemia” – perché il giovane avrebbe bruciato “di proposito” versetti del Corano e un libro in arabo per “fomentare l’odio interreligioso e offendere i sentimenti dei musulmani”.
Il 1° luglio scorso, Masih, commerciante, è stato arrestato dalla polizia con l’accusa di aver bruciato delle pagine del Corano. In precedenza era stato brutalmente torturato da un gruppo di musulmani. Oltre all’ergastolo, è stato condannato a una pena aggiuntiva a 10 anni di carcere duro e al pagamento di 100.000 rupie (poco più di 800 euro).
Peter Jacob, segretario esecutivo della Commissione nazionale di Giustizia e Pace (Ncjp) della Chiesa cattolica, ha promesso battaglia, definendo la sentenza “non buona” e sottolineando la “mancanza di libertà” del sistema giudiziario.
“Faremo del nostro meglio per salvargli la vita”, ha dichiarato, spiegando che tutti i casi di blasfemia “sono montati ad arte”.
La Commissione cattolica ha chiesto anche “serie riforme Costituzionali e legali” per sradicare l’estremismo e l’abuso della religione nella vita politica del Pakistan.
“La religione – scrive in un documento – è il maggior pretesto nelle mani dei partiti politico-religiosi, che hanno ricoperto un ruolo di primo piano nel trascinare la nazione sull’orlo del baratro”.
Jacob e monsignor Lawrence Saldanha, Arcivescovo di Lahore, sottolineano che il Pakistan “dovrebbe prendere esempio dal vicino Bangladesh”, dove i giudici hanno messo al bando i partiti che si rifanno alla religione.
“Gli affari di Stato e la politica vanno trattati in modo indipendente, non coperti dal manto della religione”, affermano.
La legge sulla blasfemia è stata introdotta nel 1986 dal dittatore pakistano Zia-ul-Haq ed è diventata uno strumento di discriminazioni e violenze. La norma punisce con l’ergastolo chi offende il Corano e con la condanna a morte chi insulta il profeta Maometto.
Secondo dati della Ncjp, le persone incriminate sono quasi 1000. La norma rappresenta anche un pretesto per attacchi, vendette personali o omicidi extra-giudiziali: 33 in tutto, compiuti da singoli o folle esaltate.