Nell'abbazia di Tre Fontane, ebrei, nazisti, disertori e frati

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ROMA, martedì, 12 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo a firma di padre Jacques Brière, Abate di Tre Fontane, apparso sul numero di gennaio di Paulus, dedicato al tema “Paolo l’orante” e contenente un dossier centrale sulla Lettera a Tito.

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Chi visita l’abbazia trappista di Tre Fontane e le sue tre chiese, secolare memoria del martirio dell’apostolo Paolo, è costretto a passare sotto il medievale arco di Carlo Magno. E non può non accorgersi di un altorilievo collocato al suo centro, raffigurante la vergine Maria con il Bambino, che regge tra le mani un cartiglio marmoreo con iscritto un nome eloquente: Emmanuel. Sotto, sulla sinistra, è affissa una lapide che ricorda la provvidenziale ospitalità ricevuta da alcuni ebrei durante l’occupazione nazista di Roma nell’ottobre 1943, dopo la razzia nel Ghetto. Per questo gesto di coraggio, l’abate dell’epoca – dom Maria Leone Ehrard – è stato insignito di un’onorificenza che ne esalta pubblicamente la memoria: la medaglia di “Giusto fra le nazioni”, conferitagli dall’ambasciata israeliana. La medaglia dei Giusti è il più alto riconoscimento attribuito a cittadini non ebrei dallo Stato di Israele e viene consegnato a coloro che, rischiando la vita e non avendo ricevuto nulla in cambio, hanno salvato uno o più ebrei dalla persecuzione. Le famiglie ebraiche Sonnino (Giuseppe) e Di Porto (Angelo, Settimo e Alberto), attivamente ricercate, riuscirono a salvarsi dalla deportazione grazie al rifugio loro offerto da dom Leone. Giuseppe Sonnino aveva rapporti commerciali con l’abbazia, perché fabbricava i sacchi con cui i frati portavano al mercato i loro prodotti agricoli. La Saccheria Sonnino è ancora oggi in esercizio nella capitale. Tutti i rifugiati testimoniarono di essere stati accolti fraternamente dai frati, i quali offrirono loro rifugio e vitto senza mai chiedere un contraccambio.

Un racconto incredibile

Per conoscere più da vicino alcuni dettagli relativi all’avvenimento, ho sfogliato il secondo volume (inedito) di dom Alfonso Barbiero, testimone oculare dei fatti. Ne riporto alcuni stralci. «La sera stessa di quel memorabile giorno, 10 settembre 1943, dom Leone aveva un lungo colloquio col capitano tedesco Milch il quale, ferito presso la piramide di Cestio, chiedeva alloggio nella nostra foresteria. Era costui una brava e cosciente persona. Si rese conto esatto della situazione dei religiosi. Si mostrò cortese e remissivo, diede ampie assicurazioni di protezione contro eventuali angherie e soprusi, permise che le campane venissero suonate secondo il costume anche di notte, che tenessimo accesa la luce elettrica, che cantassimo il nostro ufficio, e non volle che la vita religiosa dei monaci fosse comunque disturbata […] Come dissi sopra, al primo comparire delle truppe d’assalto tedesche abbiamo subìto delle perquisizioni ingiuste, soprusi, sopraffazioni, ma per mezzo del bravo Milch, piano piano, con l’andar del tempo egli ci fece restituire ogni cosa. Così stando le cose la vita all’abbazia delle Tre Fontane si svolgeva quasi in piena normalità, benché in casa si vivesse quasi a diretto contatto con i Tedeschi, i quali si servivano del nostro forno e della nostra cucina. Inoltre avevamo circa una quindicina di elementi militari “rifugiati”, in attesa di potersi affiancare al Maresciallo Badoglio. Curioso il fatto che tali soggetti vestiti da frati erano veramente creduti tali dai Tedeschi, che avevano occasione di osservarli dalla mattina alla sera, guai se avessero saputo la loro vera identità, perché ne sarebbe andata di mezzo, oltre che i rifugiati stessi, l’intera Comunità! […] I Colli Albani, in seguito allo sbarco degli Alleati in quel di Nettuno, erano diventati zona d’operazione, e, moltiplicate le spaventose incursioni, giorno e notte gli Alleati non facevano altro che scorrazzare cercando di colpire le truppe germaniche. Si abbassavano rapidamente, mitragliavano all’impazzata e sparivano, gettando così il terrore ed il panico su tutta la zona. Tra i “rifugiati” non bisogna dimenticare che c’erano parecchi ebrei, […] capitati qui dopo le prime retate che i Tedeschi avevano fatto degli ebrei in città, che s’erano infilati alla spicciolata mischiandosi ai nostri operai avventizi. Dapprima nessuno li conosceva, ed i poveretti ce la mettevano tutta per non farsi scoprire. Anche per loro si succedettero giorni di trepidazione. Non pratici, anzi ignari affatto di come si tenessero in mano gli strumenti di lavoro, s’ingegnarono a imitare i vicini per non tradirsi e per ingannare il tempo. Non era la giornata che dovevano guadagnarsi, ma la vita da salvare. […] Venne infine pure la loro liberazione, e tanta fu la loro riconoscenza per l’ospitalità fraterna trovata nella solitudine della Trappa, che a perenne memoria dell’incresciosa parentesi offrirono una bella scultura in marmo della Madonna, che tuttora si può vedere nel bel mezzo della facciata del portico di entrata del monastero, con la relativa dedica fissata a sinistra sopra la cornice del pilastro dell’arco» (riportato in A. Barbiero, Storia dell’abbazia delle Tre Fontane dal 1140 al 1950, cap. XXXVI).

Giusto fra le nazioni”

L’8 ottobre 2002, in occasione della consegna ufficiale della medaglia dei Giusti alla nostra Comunità, espressi nel modo seguente i sentimenti che accomunavano tutti i partecipanti alla cerimonia: «Ciò che ricordiamo oggi è l’orrore di una situazione nella quale i diritti della persona umana sono stati totalmente negati, ciò che ricordiamo oggi è anche la capacità per l’uomo di non accettare l’inaccettabile; infatti ricordiamo il coraggio di una persona che ha saputo accettare grandi rischi per salvare la vita del prossimo. In queste circostanze possiamo dire che dom Leone Ehrard è stato un uomo provvidenziale. Veniva dall’Alsazia, situata alla frontiera tra Francia e Germania, un Paese di cultura e di lingua tedesca, ma la cui gente ha il cuore francese. Più di altri popoli gli Alsaziani sanno che cosa significa essere sottomessi ad un autorità non desiderata, e questo è ancora più vero per le persone della generazione di dom Leone, nati francesi e poi divenuti tedeschi malvolentieri […] che ha sperimentato cosa significa l’esilio, ha visto membri delle stesse famiglie, appartenenti alla stessa città, combattersi sotto diverse divise […] Questa esperienza gli ha permesso di sviluppare una grande compassione, una grande capacità per aiutare chiunque si trovi in pericolo. Molto vicino ai tedeschi per cultura e temperamento, dom Leone ha saputo creare le condizioni che permisero di accogliere profughi ebrei e altre categorie di persone ricercate dalla polizia, pur convivendo con truppe tedesche sotto lo stesso tetto».

Jacques Brière

Abate di Tre Fontane

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ZENIT Staff

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