Malaysia: i cristiani denunciano l'uso politico della religione

Tra l’8 e l’11 gennaio attaccate nove chiese nel Paese

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ROMA, martedì, 12 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Secondo i cristiani della Malaysia, la disputa sul loro utilizzo del nome “Allah” per indicare Dio (cfr. ZENIT, 6 gennaio 2010) nasconde ragioni politiche più che teologiche.

Come riferisce l’agenzia Fides, per i fedeli si tratta del tentativo del partito al governo, la United Malays National Organization (UMNO), di riguadagnare i consensi che è andato perdendo.

Questa opinione è condivisa anche dai partiti dell’opposizione, molti dei quali musulmani, che hanno condannato “il tentativo di polarizzare la società malaysiana su base religiosa”.

Dopo i primi attentati alle chiese (cfr. ZENIT, 8 gernnaio 2010), il Parti Islam Se-Malaysia (PAS), un influente partito islamico all’opposizione, si è dichiarato favorevole all’uso del temine “Allah” da parte dei cristiani.

Dal canto suo, il capo dell’opposizione, Anwar Ibrahim, leader del People Justice Party, ha condannato duramente gli attacchi alle chiese, dichiarando che bisogna “lottare per mantenere lo spirito di unità dei padri fondatori e per difendere l’articolo 11 della Costituzione federale, che garantisce la libertà di religione”, e invitando a isolare “quanti incitano all’odio religioso per motivi politici”.

Anwar ha anche ricordato che “il temine Allah viene usato normalmente da musulmani, ebrei e cristiani di lingua araba da 14 secoli” e che per risolvere la questione serve “l’impegno nel dialogo interreligioso”.

Allo stesso modo, ha denunciato “l’incessante propaganda e la retorica incendiaria dei mass-media con trollati dal governo”, assicurando che la Pakatan Rakyat, coalizione di opposizione, farà di tutto perché “i nostri fratelli cristiani si sentano salvi e sicuri nel loro Paese”.

La controversia giuridica sull’uso del nome “Allah” nelle pubblicazioni cristiane, ricorda Fides, è iniziata tre anni fa ed è esplosa all’inizio di quest’anno.

Tutto ha avuto inizio nel 1995, quando il settimanale dell’Arcidiocesi di Kuala Lumpur, The Herald (http://www.heraldmalaysia.com), ha inaugurato le sue pubblicazioni in “Bahasa Malaysia”, la lingua maggioritaria del Paese, traducendo il nome “Dio” con “Allah”, come accade nella Bibbia in lingua araba.

Nel 2006, il Governo malaysiano del Fronte Nazionale (Barisan National) – coalizione guidata dall’UMNO, espressione della comunità malay, di religione musulmana – ha dichiarato pubblicamente di voler impedire alle pubblicazioni cristiane in lingua malay di utilizzare il termine “Allah” per indicare Dio.

Dopo alterne vicende, nel marzo 2009 il Governo ha revocato l’autorizzazione che aveva concesso solo pochi giorni prima e che consentiva ai cristiani di utilizzare il termine “Allah” per riferirsi al proprio Dio quando compare su pubblicazioni “espressamente destinate ai fedeli cristiani”.

Il 31 dicembre 2009, l’Alta Corte di Giustizia della Malaysia ha emesso un verdetto favorevole alla Chiesa, affermando il diritto del settimanale cattolico Herald di usare il termine “Allah” per riferirsi al proprio Dio.

Il 4 gennaio 2010 hanno iniziato a diffondersi sul social network Facebook gruppi che invitano i fedeli musulmani alla protesta per difendere il nome di “Allah”. Il 6 gennaio il Governo ha annunciato che ricorrerà in appello contro il verdetto della Corte. La Chiesa cattolica ha accettato di non utilizzare il termine “Allah” nelle pubblicazioni finchè la vicenda sarà in discussione.

L’8 gennaio, alcuni hacker hanno attaccato i siti Internet di diverse Chiese cristiane in Malaysia con scritte che dicevano “Allah è riservato ai musulmani”. Nelle prime ore del mattino sono poi iniziati gli attacchi alle chiese, mentre davanti alle due moschee principali di Kuala Lumpur, in occasione della preghiera del venerdì, si sono verificati degli assembramenti con slogan di protesta contro i cristiani.

Tra l’8 e l’11 gennaio sono state nove le chiese attaccate in Malaysia, otto delle quali con bottiglie incendiarie. Quelle cattoliche sono tre: quella dell’Assunzione a Petaling Jaya (8 gennaio), quella di St. Louis a Taiping e quella del “Buon Pastore” a Miri (entrambe il 10 gennaio).

Le altre chiese cristiane bersaglio degli attacchi sono una battista, una luterana, una anglicana, una pentecostale e due evangeliche.

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ZENIT Staff

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