di Antonio Gaspari
ROMA, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Per oltre un trentennio istituzioni internazionali, economisti di fama, politologi ed esperti hanno indicato la crescita della popolazione e delle famiglie come la più grande minaccia allo sviluppo e all’ambiente naturale. La crescita demografica è stata definita più minacciosa della bomba atomica. Per questo motivo libri come “La bomba demografica” di Paul Ehrlich sono stati stampati in più lingue e diffusi nel mondo intero.
Oggi, nel bel mezzo di un inverno demografico che non ha precedenti nella storia dell’umanità, con la fertilità femminile ridotta al minimo, il Pontefice Benedetto XVI, premi Nobel per l’economia, economisti e demografi spiegano che le politiche malthusiane di riduzione delle nascite hanno provocato un vero disastro, economico e civile, da cui si può uscire solo riscoprendo una cultura dell’accoglienza alla vita nascente e un sostegno alle famiglie basate sul matrimonio tra un uomo e una donna.
Per cercare di comprendere e approfondire un dibattito di grandissima attualità, ZENIT ha intervistato il prof. Tommaso Cozzi, docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione di “Economia e Gestione delle Imprese” all’Università di Bari nonché cootitolare, nella medesima Facoltà, del Modulo di insegnamento europeo Jean Monnet su “Allargamento per lo Sviluppo Sociale ed Economico dell’UE”.
Nella Caritas in veritate il Pontefice Benedetto XVI afferma che non ci può essere sviluppo senza crescita demografica e rispetto per la vita nascente e la famiglia naturale. Eppure fin dall’inizio degli anni Settanta il pensiero dominante nelle istituzioni internazionali è stato quello malthusiano, secondo cui lo sviluppo passava per una riduzione e selezione delle nascite e un sovvertimento della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Lei cosa ne pensa?
Cozzi: In primo luogo devo esprimere la mia ammirazione per la chiarezza e la immediatezza del pensiero di Benedetto XVI. Mi sembra non solo coraggioso, ma soprattutto fondato in senso etico e scientifico affermare senza perifrasi che: “i Governi e gli Organismi internazionali possono allora dimenticare l’oggettività e l’«indisponibilità» dei diritti. Quando ciò avviene, il vero sviluppo dei popoli è messo in pericolo. Comportamenti simili compromettono l’autorevolezza degli Organismi internazionali, soprattutto agli occhi dei Paesi maggiormente bisognosi di sviluppo. Questi, infatti, richiedono che la comunità internazionale assuma come un dovere l’aiutarli a essere «artefici del loro destino», ossia ad assumersi a loro volta dei doveri. La condivisione dei doveri reciproci mobilita assai più della sola rivendicazione di diritti. La concezione dei diritti e dei doveri nello sviluppo deve tener conto anche delle problematiche connesse con la crescita demografica. Si tratta di un aspetto molto importante del vero sviluppo, perché concerne i valori irrinunciabili della vita e della famiglia. Considerare l’aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico: basti pensare, da una parte, all’importante diminuzione della mortalità infantile e al prolungamento della vita media che si registrano nei Paesi economicamente sviluppati; dall’altra, ai segni di crisi rilevabili nelle società in cui si registra un preoccupante calo della natalità”.
Mi limiterò a dire che l’approccio malthusiano, oltre che errato dal punto di vista economico, è stato smentito dalla storia e mi sembra che sia ancora oggi in corso una ampia manipolazione di convenienza nel rifarsi a teorie o modelli ampiamente superati e smentiti da altri studi che davvero hanno segnato la scienza economica (Keynes, Mill, ecc).
L’economia è una parte della multiforme attività umana e, in essa, come in ogni altro campo, vale il diritto alla libertà come il dovere di fare un uso responsabile di essa. Così come accade per la vita nascente: vale il diritto alla libertà di generare, ma anche il dovere fare un uso responsabile della genitorialità. Se questi due ambiti, economia e vita, non vengono interpretati in modo integrato, ma anzi se ne produce una contrapposizione, il destino dell’umanità è segnato.
Fine della vita; fine dell’economia. Chi consumerà, chi produrrà, chi userà beni, strumenti, tecnologia? Chi genererà innovazione? Chi condurrà la lotta contro le malattie, le discriminazioni, l’impoverimento culturale se affermiamo che l’uomo è il male della società e come tale è meglio ridurne il numero? Analizzando gli approcci neo maltusiani, mi sembra di intravedere una strisciante dittatura sull’umanità.
Ma è importante notare che ci sono differenze specifiche tra queste tendenze della moderna società e quelle del passato anche recente. Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo è sempre più l’uomo stesso, e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacita di intuire e soddisfare il bisogno dell’altro, soddisfacendo al tempo stesso il suo stesso bisogno di donazione e cioè di felicità.
Ma se impediamo all’uomo “di esserci”, come potremo sviluppare tali processi? Probabilmente saranno ugualmente sviluppati, ma da parte di pochi che decideranno per tutti. E’ da rilevare, inoltre, come, di fatto, oggi molti uomini, forse la grande maggioranza, non dispongono di strumenti (tecnologie) che consentono di entrare in modo effettivo ed umanamente degno all’interno di un sistema di impresa, nel quale il lavoro occupa una posizione davvero centrale. </p>
Essi non hanno la possibilità di acquisire le conoscenze di base (tecniche e metodi dei “saperi”), che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità, né di, entrare nella rete di conoscenze ed intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate ed utilizzate le loro qualità. E’ un modo per disinnescare l’umanità. Essi insomma, se non proprio sfruttati, sono ampiamente emarginati, e lo sviluppo economico si svolge, per cosi dire, sopra la loro testa, quando non restringe addirittura gli spazi già angusti delle loro antiche economie di sussistenza.
Incapaci di resistere alla concorrenza di merci prodotte in modi nuovi ed in territori emergenti (nei quali a loro volta si assiste all’esasperante abuso delle tecnologie a tutto discapito dell’umanizzazione del lavoro), che prima essi solevano fronteggiare con forme organizzative tradizionali, allettati dallo splendore di un’opulenza ostentata ma per loro irraggiungibile e, al tempo stesso, stretti dalla necessità, questi uomini affollano le città del Terzo Mondo, dove spesso sono culturalmente sradicati e si trovano in situazioni di violenta precarietà senza possibilità di integrazione e di sviluppo di legami affettivi familiari; senza possibilità di generare nuova vita guardando al futuro con occhio di speranza.
“La cooperazione internazionale ha bisogno di persone che condividano il processo di sviluppo economico e umano, mediante la solidarietà della presenza, dell’accompagnamento, della formazione e del rispetto. Da questo punto di vista, gli stessi Organismi internazionali dovrebbero interrogarsi sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici e amministrativi, spesso troppo costosi”. Credo che tali affermazioni del Papa non necessitino di ulteriore commento.
Perchè più famiglie e più figli sono una condizione economica per suscitare sviluppo e progresso?
Cozzi: Credo che nel sottovalutare (o svalutare) il ruolo della famiglia, si stia commettendo un grave errore di prospettiva; un errore che gli economisti definiscono come “mancanza di vision” Tale errore consiste nel
la incapacità (oppure nella mancanza di volontà) di cogliere l’essenzialità di ciò che la famiglia significa dal punto di vista antropologico, sociale ed economico.
In primo luogo la famiglia rappresenta l’ambiente naturale in cui si sviluppa equilibrio e stabilità psicologica, emotiva, affettiva; capacità di aggregazione e relazione con altre persone; conoscenza delle dinamiche che sovraintendono al rispetto delle regole e delle dinamiche diritti/doveri; sviluppo dei processi motivazionali nelle scelte che ogni persona compirà nell’arco della propria vita.
Naturalmente ciò presuppone due condizioni: 1) che si faccia riferimento ad una famiglia eterosessuale sacramentalmente fondata ed istituzionalizzata affinché la Grazia possa operare; 2) che ogni componente della famiglia, in primis i genitori, assuma la responsabilità del ruolo che essi stessi si sono assunti e cioè essere padri e madri, ma prima ancora essere uomo e donna nel senso pieno di tali accezioni.
Tale ultima affermazione ritengo sia fondamentale: infatti non è sufficiente che esista una famiglia formalmente individuata come tale. E’ indispensabile che il nucleo familiare ponga in campo tutte le risorse e le potenzialità di cui, anche in natura, è capace. Mi riferisco alla necessità di aprirsi all’altro, in primo luogo al coniuge e contemporaneamente ai figli; mi riferisco alla capacità di porre in campo i talenti che in altri campi (v. ad esempio il lavoro) vengono profusi in maniera copiosa ma che in famiglia, a volte, sembrano improvvisamente sterilizzarsi.
E’ molto facile che, se si assume una idea “plastica” di famiglia che non si incarna nell’altro e per l’altro, si viva quella che un recente romanzo ha definito “la solitudine dei numeri primi”: numeri vicini ma che non si toccano mai; persone che viaggiano sullo steso binario ma non si incontrano mai; universi implosi che non solo non si incontrano, ma che sono incapaci di aprirsi al mondo.
Se le famiglie non funzionano, si bloccano i meccanismi elementari delle dinamiche civili; le relazioni sociali diventano problematiche. Il paradigma è semplice: le leggi fisiche governano l’ordine naturale, mentre l’ordine sociale può essere sostenuto dalla forza morale.
Il sistema valoriale, o morale, si modellizza e si apprende in primo luogo nella famiglia. Da tale orientamento scaturiscono, di conseguenza, le scelte effettuate da ciascuno nel quotidiano, anche quelle di carattere economico. Qual è il processo che conduce il consumatore ad effettuare una scelta di tipo commerciale? Qual è l’analisi che ciascuno di noi sviluppa quando deve decidere se e cosa acquistare, oppure deve decidere come impostare il proprio rapporto con il denaro? Se analizziamo cosa c’è alla base delle scelte, troveremo il sistema valoriale e, effettuando il cammino a ritroso, arriveremo al “punto zero”: la famiglia.
[Giovedì, la seconda parte dell’intervista]