ROMA, venerdì, 27 novembre 2009 (ZENIT.org).- Nella giornata che celebra la carta dei diritti dei bambini (20 novembre), ci siamo guardati intorno e abbiamo visto un mondo che semplicemente i bambini non li sopporta. E’ un mondo pedofobico, altro che pedofilia! La pedofilia è un fatto da codice penale, ma la pedofobia è una coltellata al codice morale che abbiamo scritto dentro di noi. E “pedofobi” siamo tutti noi, che non vogliamo figli se non quando siamo vecchi. Che vediamo i bambini come se non fossero bambini, ma piccoli giocattoli, passatempi. Prima che nascano li vediamo come intrusi, appena nati come bambolotti da mostrare agli amici, un po’ più grandi diventano dei giocattoli e cresciuti diventano coloro che devono realizzare i nostri sogni frustrati (volevamo fare i calciatori, le ballerine…); infine quando sono ventenni non li vogliamo più far crescere perché se se ne vanno di casa ci sentiamo vecchi… e allora diventano i nostri bambacioni, degli elisir di eterna giovinezza.
Siamo in una società in cui, vedi il caso inglese, il 6% dei ragazzini tra 11 e 17 anni si fa la lampada per abbronzarsi, in cui vige il modello della “gossip-girl” o delle bratz-barbie: tutti modelli scopiazzati dagli adulti che non sanno far altro che trasferire le loro frustrazioni sui ragazzi, che bevono, bevono, bevono quello che noi gli vomitiamo addosso: è la generazione che vive in riflesso, dicono i sociologi, dei desideri della generazione precedente, che credeva di poter cambiare il mondo, non ce l’ha fatta e ora vive per accumulare e rimpiangere gli anni andati (avete presente tutti i revival di telefilm, attori, cantanti di quando eravamo ragazzi?), e trasferisce rimpianti e senso di impotenza ai ragazzi: quale giovane oggi ha minimamente in testa l’idea che non dico il mondo, ma almeno la sua scuola possa essere cambiata o migliorata? E’ la pedofobia. L’odio inconscio per una generazione di giovani da parte di una generazione di frustrati.
Esagero? E allora come lo spiegate il richiamo dell’ONU a fare meno figli come rimedio magico al surriscaldamento globale? Non ci credete? Guardate qui. E come spiegate l’obbligo morale odierno al figlio unico, che in Cina è un obbligo di legge, ma qui in Occidente è un’imposizione non meno violenta e obbligatoria? Certo che è obbligatoria, perché altrimenti non si spiega perché le famiglie con più di due figli siano un’eccezione, che oltretutto viene guardata dagli altri con sussiego, con malizia o con derisione. E che non trova se non pochissimi supporti economici, in una società fatta (appartamenti, auto…) a misura di una famiglia a quattro-max cinque posti. E’ la pedofobia. E i bambini non fanno più i bambini: non sono più padroni della città (chi li vede più nelle strade?), non giocano, ma fanno sport con allenatori, oppure si ritrovano per feste in case e spazi controllati. E non sono più nemmeno padroni della casa, in cui non possono toccare nulla, o quasi. Devono scimmiottare, per la televisione; e assorbire modelli consumistici, che chi fa TV pensa di alleviare dato che in un angolino dello schermo appiccica la scritta cautelativa “messaggio pubblicitario”… per chi non sa leggere! E’ la pedofobia.
Il figlio unico, perfetto, ottenuto dopo diagnosi prenatali che lo hanno fatto passare al setaccio del nostro egoismo, che lo ha sottoposto al primo esame della vita e che peserà per sempre perché, se non è stupido/a, saprà che è nato/a perché corrispondeva ai desideri dei genitori. Bambini che non si possono sporcare e dunque fare esperienze orali, tattili, gustative; che non si possono permettere di sapere cosa è un fratello, un cugino, che non vedono più allevare i bambini più piccoli (le mamme non ne fanno più e ne parlano con spavento) e dunque non imparano ad allevarli quando toccherà a loro. Bambini che si ribellano, con le gravidanze adolescenziali, in un mondo che impone una sessualità commerciale precoce, ma che anche impone di non fare famiglia, e li obbliga a giocare prima con qualcosa che non conoscono e li disturba (il corpo all’adolescente sta come una mosca sul naso del gatto), poi a sfogarsi ma castrati moralmente perché tutto impone di fare sesso ma assolutamente non fare figli. E le gravidanze adolescenziali, sono un segno di questa ribellione. Nessuno insegna più (con gli atti e non con le parole) cosa è una famiglia (il 50% ha famiglie disastrate) e l’unico insegnamento morale è “usate il preservativo” e “prendete pure la droga ma non guidate dopo”. Insomma, stiamo strappando le radici dei nostri figli, che si stanno preparando alla ribellione.
Celebriamo allora i diritti dei bambini sentendoci davvero degli ipocriti, perché il diritto non è solo quello di avere una scuola dove andare, ma anche di avere una famiglia che non ti sveglia alle sette di mattina quando i tuoi ormoni ti terrebbero a letto nel mezzo del sonno REM e ti butta in un ambiente statalizzato (anche quando è una scuola libera) a imparare come essere buoni ingranaggi della società; che non ti lascia tra quattro mura scolastiche per oltre metà della giornata, quando ormoni e olfatto ti porterebbero a correre dietro agli uccellini o ad arrampicarti sugli alberi (uccellini e alberi sono off-limits): già: perché nessuno ripensa al fatto che la scuola dovrebbe essere al servizio del bambino e non il contrario? Insomma, distruggiamo questa razza in estinzione: la fanciullezza e la sostituiamo con i nostri sogni infranti, la terrorizziamo con presunte epidemie che poi si smontano da sé, con visioni catastrofiste climatiche, col terrore del surriscaldamento globale d’estate e delle glaciazioni d’inverno. Un tempo non si parlava di pedofilia solo perché c'era un controllo sociale dei bambini: il ragazzino che andava in strada era conosciuto, e se un pazzo gli si avvicinava tutti sapevano dove era andato e con chi; oggi con l’idea che la libertà è non farsi gli affari degli altri, i bambini sono sempre più soli. E anche noi: ce ne pentiremo.
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* Il dott. Carlo Bellieni è dirigente del Dipartimento di Terapia intensiva neonatale del Policlinico universitario "Le Scotte" di Siena e membro della Pontificia Accademia Pro Vita.