Pupi Avati: una dichiarazione d’amore del Papa agli artisti

Intervista con il regista italiano

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di Silvia Gattas

ROMA, lunedì, 30 novembre 2009 (ZENIT.org).- Il regista Pupi Avati è uno dei 260 artisti che il 21 novembre scorso hanno partecipato all’incontro con Papa Benedetto XVI in Vaticano. La Cappella Sistina, con le sue volte michelangiolesche e i suoi affreschi del ‘400, ha spalancato le porte a pittori, artisti, cantanti, registi, ballerini.

Secondo il regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano, è stato un incontro di “reciproca curiosità” nel quale il Papa “è riuscito a rivolgersi a tutti”, “è stata una dichiarazione d’amore”.

Con quali emozioni e sentimenti ha incontrato Benedetto XVI?

Pupi Avati: L’incontro con il Papa ha avuto due aspetti molto interessanti. In primo luogo la Chiesa nei suoi vertici, ai suoi massimi livelli, si è resa conto del ruolo della cultura, di quella cultura che si ispira alla bellezza, a tutto ciò che è bello e buono e positivo.

Un’attenzione che la Chiesa non ha mai avuto in dieci anni, se si esclude la Lettera di Giovanni Paolo II agli artisti. È stata una mancanza di comunicazione tra i due mondi. Finalmente si è palesato un interesse tra i due nel comunicare, di diventare complici in un progetto comune per migliorare la bellezza del nostro vivere.

Il secondo aspetto è forse ancora più sorprendente, e cioè la risposta che c’è stata da parte di alcuni miei colleghi. Solamente durante l’udienza con il Papa mi sono reso conto che c’era un’infinità di persone lontane anni luce dalla fede, o meglio che io pensavo fossero lontane anni luci dagli aspetti spirituali e sacrali, e che definivo ferventi atei. In quell’occasione li ho visti presenti, attenti, compiti, in ascolto della lettera di Giovanni Paolo II, dell’intervento di monsignor Ravasi e poi del discorso di Benedetto XVI, applaudendolo. La loro partecipazione e la loro presenza è stata una reciproca curiosità.

Questo mondo ha risposto positivamente, partecipando positivamente. I due mondi si sono avvicinati. Non so bene come si possa poi realizzare in concreto. Ma intanto un avvicinamento c’è stato. Tra l’altro, sono stati gli artisti ad andare dal Papa e non il contrario.

Come ha trovato il discorso del Papa?

Pupi Avati: Un discorso intelligente. Il Papa si è rivolto veramente a tutti, anche agli agnostici e agli atei, o a chi segue altre religioni. Benedetto XVI ha colto intelligentemente nel segno, forse ispirato dallo Spirito Santo, e ha avuto un approccio che non escludeva nessuno. È riuscito a rivolgersi a tutti, è stata una dichiarazione d’amore, un gesto di estrema intelligenza, di grandissima generosità.

Qual è il suo rapporto con la fede?

Pupi Avati: E’ il rapporto con una fede che vado cercando quotidianamente e che recupero quotidianamente. Prego Dio di esistere, lo sento indispensabile nelle mie vicende umane. Ho bisogno del Trascendente. In un mondo pieno di sofferenza, c’è bisogno di una entità che ti risarcisca. Io posso capire chi è ateo o non credente, ma non capisco perché occorre fare propaganda dell’ateismo. Invece occorre dire che c’è qualcuno che ti ama e ti accoglie, e che c’è una casa del Padre che ti aspetta e ti accoglie.

Una fede che è presenza costante…

Pupi Avati: La fede è una mia necessità, un’urgenza, qualcosa che mi è indispensabile. È bello pensare che c’è Qualcuno che si sta occupando di me sempre, giorno e notte, una sorta di pronto soccorso sempre aperto.

Quali sono i progetti futuri di Pupi Avati?

Pupi Avati: Ho fatto un film, che uscirà nelle sale cinematografiche a febbraio del prossimo anno. Si intitola “Il figlio più piccolo”, che conclude una trilogia sui padri, dopo “La cena per farli conoscere” e “Il papà di Giovanna”, che ha delineato tre ritratti di uomini alle prese con i figli. In “Il figlio più piccolo”, Christian De Sica interpreta il ruolo di un padre terribile. È un film sul denaro, su quanto oggi il denaro sia diventato padrone.

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ZENIT Staff

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