La coscienza e le politiche pubbliche

Organizzazioni cattoliche sotto pressione

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di padre John Flynn, LC

ROMA, domenica, 29 novembre 2009 (ZENIT.org).- La transizione verso una società post-cristiana sta portando in molti Paesi una crescente pressione sui credenti che lavorano nelle istituzioni pubbliche. Uno dei casi più recenti riguarda un disegno di legge sul matrimonio omosessuale a Washington D.C.

Come si spiega in un articolo pubblicato sul Washington Post del 1° novembre, da un’analisi della proposta di legalizzare le unioni omosessuali risulta che le disposizioni dirette a tutelare la libertà religiosa “sono deplorevolmente inadeguate e forniscono una protezione più illusoria che reale”.

Le norme proposte – precisa il Post – non tutelano adeguatamente chi si rifiuta di riconoscere il matrimonio omosessuale, dal rischio di perdere benefici pubblici. Inoltre, vi è una carenza di tutela anche per i soggetti diversi dagli ufficiali autorizzati a celebrare i matrimoni, che hanno obiezioni di natura religiosa, e che si trovano a dover collaborare nelle cerimonie tra persone dello stesso sesso. Tra questi, per esempio, il personale del catering, i musicisti, i fotografi.

Di conseguenza, l’Arcidiocesi di Washington ha annunciato di non poter continuare a fornire i programmi di assistenza sociale che attualmente gestisce, secondo quanto riferito dal Washington Post il 12 novembre.

L’Arcidiocesi teme, per esempio, di dover dare assistenza anche alle coppie sposate di omosessuali.

Secondo l’articolo, le organizzazioni caritative cattoliche servono attualmente 68.000 persone nella città. In aggiunta ai finanziamenti pubblici che riceve per queste attività, l’Arcidiocesi vi aggiunge altri 10 milioni di dollari, traendoli dalle risorse proprie.

L’arcivescovo cattolico di Washington, Donald W. Wuerl, ha scritto un articolo per il sito Internet del Washington Post, pubblicato il 17 novembre.

In questo articolo egli ha sottolineato che, ferma restando la contrarietà della Chiesa cattolica ad una ridefinizione dell’istituto del matrimonio, la sua proposta si limita a chiedere che il disegno di legge assicuri un maggiore equilibrio tra le diverse categorie di soggetti interessati.

L’arcivescovo Wuerl ha dichiarato che l’Arcidiocesi e le organizzazioni caritative continuano ad essere impegnate nell’assistenza sociale, ma che le norme contenute nella proposta di legge sui matrimoni omosessuali potrebbero restringere la loro possibilità di svolgere questo impegno.

Questa posizione non ha smosso quella dei giornalisti del Los Angeles Times, che in un editoriale del 18 novembre hanno invitato i legislatori di Washington D.C. a rimanere saldi. Inoltre, il Governo federale è stato invitato a prendere una posizione più netta sui finanziamenti pubblici alle organizzazioni religiose, in particolare riguardo alla facoltà di non assumere personale che non condivida la loro visione religiosa.

Obbligo all’aborto

Intanto, in Australia, il mese scorso ha segnato un anno dall’approvazione, nello Stato di Victoria, della legge che nega ai medici il diritto di opporre obiezione di coscienza nei casi di aborto.

Secondo il bioeticista Nicholas Tonti-Filippini, che lavora presso l’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia di Melbourne, almeno due medici hanno fatto obiezione di coscienza contro l’aborto e si sono rifiutati di riferire i pazienti ad altri medici per l’effettuazione degli aborti.

“Stiamo aspettando per vedere se ci sarà qualcun altro che farà lo stesso”, ha detto Tonti-Filippini, secondo quanto riferito in un articolo pubblicato il 10 ottobre sul quotidiano Age.

Come spiega l’articolo, oltre alla depenalizzazione dell’aborto avvenuta lo scorso anno, la nuova legge costringe i medici obiettori di coscienza di rendere pubblica la loro convinzione e di riferire i pazienti a medici che non abbiano tali obiezioni.

Il 22 ottobre di quest’anno, i vescovi cattolici dello Stato di Victoria hanno emanato una lettera pastorale sul tema della legge di riforma della normativa sull’aborto del 2008.

In questa lettera i vescovi hanno osservato che oltre a negare il diritto ai medici di astenersi dal collaborare negli aborti, la legge trascura anche l’obiezione di coscienza degli infermieri.

“Ormai negli ospedali si è diffusa una sorta di ipocrisia”, afferma la lettera. “In una sala, un bambino nato prematuro viene salvato con grande impegno e la migliore tecnologia; in un’altra, un bambino non nato, magari anche più grande di quello prematuro, può essere ucciso impunemente”.

I vescovi hanno anche sottolineato che le donne che ricorrono all’aborto non hanno accesso ad informazioni precise su cosa avviene al loro figlio e sui rischi ai quali loro stesse si espongono.

Problemi profondi

“La legalizzazione dell’aborto in Victoria non deve essere vista come un problema isolato, ma come il sintomo di un problema culturale più profondo, connesso con il dilagare del laicismo e del relativismo”, avverte la lettera.

“Leggi come quella di riforma della legge sull’aborto del 2008 rappresentano una minaccia diretta contro l’intera cultura dei diritti umani, perché la teoria dei diritti umani si fonda sull’affermazione che la persona umana non può essere soggetta al dominio di altri”, prosegue la lettera.

L’arcivescovo Denis Hart di Melbourne ha presieduto una preghiera ecumenica, che si è svolta nella cattedrale di St. Patrick il 25 ottobre, in riparazione degli aborti. Nella sua omelia ha ricordato che sin dal primo secolo la Chiesa ha sempre affermato il male morale di ogni aborto procurato.

“L’embrione deve essere trattato come una persona sin dal momento del concepimento, deve essere difeso nella sua integrità, deve essere accudito e curato per quanto possibile, alla pari di ogni altro essere umano”, ha affermato.

Più a nord, nella capitale Canberra, gli esponenti cattolici hanno espresso preoccupazione per la possibile vendita del Calvary Hospital da parte della Little Company of Mary Health alle autorità pubbliche locali.

Come riferito dal Canberra Times il 29 ottobre, il cardinale George Pell di Sydney teme che le motivazioni del Governo siano di natura ideologica e siano alimentate da fattori anti-cristiani.

L’articolo ha anche osservato che, precedentemente, il vicario generale dell’Arciocesi di Canberra, monsignor John Woods, aveva espresso il timore che la missione della Chiesa nell’assistenza medica potesse venire compromessa da questa vendita.

Come ha scritto Angela Shanahan sul quotidiano Australian del 31 ottobre, vi è il sospetto che il Governo, controllato da una coalizione di Verdi e Sinistra, “voglia semplicemente estromettere la Chiesa cattolica dalla sanità pubblica nella capitale nazionale”.

L’autrice ha citato un rapporto, diretto dall’ex deputato dei Verdi Kerrie Tucker, che ha auspicato che l’Ospedale fosse sottratto ai cattolici o venduto al Governo, perché si rifiuta di operare aborti, sterilizzazioni volontarie e “tutta la gamma dei servizi riproduttivi”.

Operatori sanitari

Negli Stati Uniti questo dibattito si era svolto qualche mese addietro, quando l’amministrazione Obama aveva soppresso le norme a tutela degli operatori sanitari che non vogliono prendere parte ad aborti.

A febbraio, il Dipartimento per la salute e i servizi umani ha annunciato che stava abrogando queste norme, secondo quanto riferito dal New York Times il 28 febbraio.

In una dichiarazione del 23 marzo, il Consiglio generale della Conferenza episcopale degli Stati Uniti ha dichiarato che “la tutela dei diritti fondamentali della coscienza assume un’urgenza ancora maggiore allorché i professionisti della salute sono soggetti o rischiano di essere soggetti a pressioni per partecipare alla soppressione di vite umane innocenti, cosa che è in diretto contrasto con il ruolo e la funzione della medicina”.
La dichiarazione sottolinea anche la contraddizione fondamentale tra la posizione dell’Amministrazione federale che si è impegnata in una politica a favore della “scelta” nell’ambito dell’aborto, mentre allo stesso tempo nega ogni possibilità di scelta agli infermieri, ai medici e agli ospedali, se collaborare o meno negli aborti.

L’arcivescovo Raymond Burke, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica, ha affrontato il tema della cultura della vita nell’attuale contesto politico, in una cena che si è svolta il 18 settembre scorso.

“Sebbene la vera religione insegna la legge morale naturale, l’osservanza della legge morale non è una pratica confessionale”, ha osservato. “È piuttosto una risposta a ciò che è inscritto nel profondo di ogni cuore umano”, ha detto.

“Se i cristiani omettono di insegnare e sostenere la legge morale naturale, allora vengono meno al fondamentale dovere di patriottismo, di amore per il proprio Paese, di servizio al bene comune”, ha affermato. In questo senso, la violazione dei diritti di coscienza non solo è un affronto ai credenti, ma è anche un diniego dei principi fondamentali che devono guidare una sana società laica.

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ZENIT Staff

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