di Luca Marcolivio
ROMA, venerdì, 27 novembre 2009 (ZENIT.org).- Il concetto di ‘Occidente’ è molto ampio e anche il dibattito sulla sua vera o presunta crisi può portare assai lontano. Quel che è certo è che la storia della nostra civiltà è arrivata negli ultimi anni a un punto di svolta.
Il tema è stato oggetto del dibattito “Crisi dell’Occidente? Luci e ombre di un’idea”, tenutosi ieri sera al Teatro Argentina, primo appuntamento stagionale con i “Giovedì culturali” a cura della Pastorale Universitaria.
La conferenza, moderata dal vicedirettore del TG5, Andrea Pamparana, ha avuto come relatori Philippe Nemo, professore del Centre de Recherche en Philosophie Economique di Parigi, e Franco Cardini, ordinario di storia medioevale all’Università di Firenze.
Secondo il professor Nemo, la parola ‘Occidente’ non indica tanto un luogo e nemmeno un popolo quanto una cultura oggi ancora egemone in quasi tutto il mondo con l’eccezione dell’Asia.
I fondamenti della civiltà occidentale indicati da Nemo sono i seguenti: “1) l’invenzione della città, della scienza e della scuola da parte dei Greci; 2) l’invenzione del diritto, della proprietà privata e della ‘persona’ da parte dei Romani; 3) la rivoluzione etica ed escatologica della Bibbia (la carità supera la giustizia); 4) la rivoluzione ‘papale’ dei secoli XI-XII-XIII che sintetizza le precedenti tre; 5) l’affermazione delle liberal-democrazie in Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, Francia e, infine, nel resto del mondo”.
Alla luce di ciò, l’evento della globalizzazione è epocale in quanto “per la prima volta gli uomini prendono coscienza del fatto che sono una sola e medesima specie e che abitano una sola e medesima terra”. Si pone pertanto il problema delle relazioni tra le culture e della convivenza pacifica tra le stesse.
“Tutte le culture hanno uguale dignità – ha proseguito Nemo – tuttavia il dialogo tra le culture deve compiere delle ‘discriminazioni necessarie’, in quanto non tutte possiedono lo stesso grado di verità ed efficacia”. Esistono, in altre parole, “tratti culturali e valori di carattere universale” che hanno origine in determinate civiltà e solo in quelle.
I diritti dell’uomo, la democrazia, l’economia di mercato, la scuola, la libertà di stampa e di culto, ad esempio, sono istituzioni “de facto create dall’Occidente che ha fatto sì che l’umanità raggiungesse un progresso di cui ora l’intera umanità sta godendo”, ha osservato il filosofo francese.
Allo stesso modo “cinque o sei mila anni or sono, la Mesopotamia ha dato al mondo intero gli strumenti che gli hanno permesso la precedente importante tappa della sua evoluzione: l’agricoltura, l’allevamento, la sedentarizzazione, la città, lo Stato, la scrittura”.
Nemo ha pertanto espresso la propria contrarietà rispetto al “meticciato culturale che potrebbe portare alla regressione, non solo dell’Occidente ma dell’intera umanità. Penso alla crescita demografica dell’Islam e all’eventuale e conseguente integrazione nel nostro ordinamento del delitto di blasfemia o della disuguaglianza giuridica tra uomini e donne”.
“Il dialogo tra culture – ha proseguito l’accademico francese – deve essere critico, deve cioè fare discernimento tra gli aspetti migliori di ogni singola cultura. È chiaro, ad esempio, che le culture magico-tribali non possono avere connotati granché positivi mentre, dall’altro lato, il Confucianesimo già tremila anni fa promuoveva principi come la ragione o lo stato laico”.
“La più universale delle verità è tuttavia il Vangelo – ha aggiunto Nemo -. Un’umanità guidata dalla sola ragione sarebbe votata alla pura sopravvivenza, mentre ciò che dà senso alla vita non è lottare per l’equilibro dei mali ma per il loro sradicamento”.
“Ciò che rende l’uomo veramente uomo è ciò che lo porta oltre l’essere, il soffrire di fronte alla sofferenza di un suo simile. Solo il Vangelo può permettere che il mondo globalizzato di oggi non debba lottare per la sopravvivenza ma sia dotato di senso”, ha poi concluso Nemo.
Pur manifestando apprezzamento per la relazione del collega francese, il professor Cardini ha manifestato la propria perplessità sulla natura “fin troppo lineare” del pensiero di Nemo che “cozza con la tragicità della storia occidentale della quale il Faust di Goethe è un emblema. Penso a secolarizzazione, riforma protestante, guerre di religione, crudeltà coloniali”.
Nell’ambito della storia antica e in parte anche medioevale, è difficile, secondo Cardini, tracciare un vero confine tra Occidente ed Oriente, nella misura in cui, ad esempio, sono esistiti un cristianesimo occidentale (Roma) ed uno orientale (Alessandria e, poi, Bisanzio).
“Gerusalemme – ha osservato lo storico – nella spartizione dell’impero, finì in quell’Oriente che, allora, rappresentava la parte più ricca di storia, di cultura e di civiltà. Non credo, quindi, che possiamo identificare in toto Occidente e Vangelo”.
Ben diversa è l’accezione moderna di Occidente di cui “gli americani, dalla fine del XIX secolo, rivendicano di essere l’espressione più genuina. Di qui la concezione angloamericana di libertà come libertà dell’individuo e capacità dello stesso di costruire il proprio destino. Il vero nodo sta quindi nella conciliazione tra libertà ed uguaglianza”.
“La specificità occidentale si basa, in definitiva, su due principi in contrasto tra di loro: i diritti umani e la volontà di potenza, rispetto ai quali è necessario trovare una nuova sintesi, coerentemente con la diffusione del Vangelo e con una nuova e più giusta distribuzione delle ricchezze”, ha poi concluso Cardini.