Padri esperti nella fede

Un Vescovo rilegge i criteri pastorali indicati dalla Prima lettera a Timoteo

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ROMA, martedì, 24 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo a firma di mons. Cosmo Francesco Ruppi, Arcivescovo emerito di Lecce, apparso sul numero di novembre di Paulus e dedicato alla Prima lettera a Timoteo e al tema “Paolo l’organizzatore”.

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Rileggendo la Prima lettera a Timoteo e soprattutto il capitolo terzo – ove si parla delle qualità del vescovo e del diacono, e del «mistero della pietà» – ben si coglie il legame tra il trascorso Anno Paolino e il presente Anno Sacerdotale. Il Curato d’Ars, infatti, è molto legato a san Paolo; ne è discepolo fedele, come Timoteo, destinatario di due Lettere dense di consigli pastorali. Per chi è stato, per quasi nove anni, custode delle Ossa di Timoteo a Termoli e ha celebrato spesso dinanzi al Sacro Teschio del discepolo di Paolo, conservato nella cappella dell’episcopio di quella città molisana [cfr. servizio alle pp. 58-61 di questo numero], è una gioia e anche una grazia riflettere su una pagina, sulla quale tante volte si è interrogato e ha pregato. La vita del vescovo è troppo piena di impegni, di appuntamenti, di occasioni per «montare in superbia e cadere nella condanna del diavolo» (1Tm 3,6). Per questo, oltre che sull’aspirazione all’episcopato e al presbiterato – quando l’Apostolo scrive non è ancora chiara la distinzione tra “vescovo” e “presbitero” – ci sono da fare, oggi, non poche riflessioni. La parte centrale del discorso di Paolo è quanto mai attuale. Certo, chi aspira a questi ministeri aspira a un faticoso lavoro pastorale, reso frenetico dall’accavallarsi delle occupazioni e delle preoccupazioni. Che il vescovo debba essere «irreprensibile, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento, ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro» è più che opportuno. E chi è gravato della responsabilità episcopale, avverte che i requisiti richiesti da san Paolo sono oggi più necessari di ieri. Diverso è il problema del celibato, che non si poneva al momento in cui Paolo scrive a Timoteo. Importava che fosse «sposato una sola volta» e che avesse esperienza familiare: «sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?» (1Tm 3,4-5). Bisogna dunque che abbiano dato buona prova di vita domestica. Con il passare degli anni, si è andata affermando anche la necessità che il vescovo fosse celibe e anche oggi nella Chiesa d’Oriente, pur essendoci il sacerdozio uxorato, per il vescovo si richiede il celibato come condizione essenziale per accedere alla consacrazione episcopale. Tra i requisiti, vi è la buona reputazione e il fatto di non essere neofita, cioè di avere profonda esperienza di vita cristiana, per non «montare in superbia». La pagina di Paolo a Timoteo sui requisiti per l’episcopato, come si vede, è ancora attualissima, tanto che può costituire base per il processo sull’idoneità di un sacerdote ad assurgere a tale responsabilità.

Alla guida della famiglia di Dio

Emerge soprattutto che il vescovo, a parte le virtù particolari di chi si vuol dedicare al servizio della Chiesa, deve eccellere nelle qualità che sono necessarie per il vescovo-padre e il vescovo-maestro. Paolo parla, infatti, non solo della capacità di insegnare, ma anche dell’esperienza cristiana e soprattutto dell’attitudine a una famiglia numerosa, come sono la diocesi o una Chiesa particolare. Emerge dalla 1Timoteo la preoccupazione dell’Apostolo di costituire vescovi e presbiteri capaci, ma soprattutto in grado di guidare l’ampia famiglia di Dio. Questo emerge anche dal confronto tra i requisiti necessari al vescovo e ai diaconi. Anche a costoro si richiede che «conservino il mistero della fede in una coscienza pura» (1Tm 3,9), ma soprattutto, in prima istanza, che «siano dignitosi, non dotti nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto» (v.8). Sobrietà, onestà, sincerità… sono condizioni che ogni fedele laico deve perseguire come obiettivo di vita, tanto più il diacono. Per l’accesso al diaconato, inoltre, si richiede una prova previa: «siano prima sottoposti a una prova» e, se trovati «irreprensibili», siano ammessi al servizio diaconale. La pagina di Paolo a Timoteo è dunque una “tavola di giudizio” per ogni presbitero e soprattutto per chi è chiamato all’ordine sacro nel grado episcopale. Costituisce motivo di meditazione quotidiana, di sprone, di confronto e di vera riforma interiore. Episcopo, vescovo e presbitero devono essere – secondo Paolo – specchio per ogni cristiano. Anche il diaconato non deve essere dato a chi lo richiede o a chi lo desidera, ma solo a chi possiede le condizioni richieste e dopo una congrua verifica ecclesiale.

Il mistero della pietà

Per tutti i ministri della Chiesa, però, è richiesto il «mistero della pietà», che consiste nel vivere nella Chiesa, cioè la casa di Dio. Il mistero della pietà, per l’Apostolo, è lo stesso mistero della fede, ossia la confessione della storia e della divinità di Cristo. I versetti 14-16 della 1Timoteo, pur nella loro sinteticità, illuminano quello che è detto sull’episcopato e sul diaconato. Senza la fede in Cristo, infatti, e senza che tale fede sia pubblicamente confessata davanti alla comunità, non si può assurgere a nessuna responsabilità pastorale. La sintesi del Credo, fatta rapidamente da Paolo alla fine del terzo capitolo della 1Timoteo, è condizione previa per essere vescovo, presbitero o diacono: il «Dio vivente, colonna e sostegno della verità», che si è «manifestato nella carne ed è giustificato nello spirito», diventa non solo oggetto di fede, ma anche di predicazione da parte dei pastori. Le sei proposizioni, raggruppate a due a due, costituiscono l’essenziale della fede che essi devono credere e insegnare non tanto con le parole, quanto con la vita. Chi ha visto il Risorto con i propri occhi chiede – a chi è chiamato a guidare la Chiesa – una testimonianza autentica di Cristo, morto e risorto, vivente nella Chiesa e con la Chiesa. Come Paolo, anche il vescovo è invitato a essere testimone del Risorto, per essere seme di speranza e di risurrezione per il popolo di Dio.

Cosmo Francesco Ruppi

Arcivescovo emerito di Lecce

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ZENIT Staff

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