La vita consacrata davanti alle sfide della cultura digitale

Convegno al “Regina Apostolorum” sull’uso dei media nelle comunità religiose

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di Mirko Testa

ROMA, lunedì, 23 novembre 2009 (ZENIT.org).- La cultura digitale e il tempo del virtuale attraversano oramai anche la vita consacrata, che è chiamata perciò a interrogarsi seriamente sul cambiamento in atto nella persona umana e nel suo essere religioso e credente.

E’ questa la riflessione emersa durante il convegno sul tema “Uso e abuso dei mezzi di comunicazione in comunità”, svoltosi il 20 e il 21 novembre presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” (APRA) di Roma.

Nel suo intervento la prof.ssa Marcela Lombard, docente dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’APRA, ha ricordato che la Chiesa non condanna i mezzi di comunicazione, che sono “doni di Dio”, ma invita ad affrontare con realismo e prudenza questi mezzi, che possono implicare “alcuni rischi per la vita interiore e il vissuto autentico e reale, oltre della vita consacrata, anche di virtù importanti per la vita cristiana”.

“La visione del sesso come divertimento, l’infedeltà e l’assenza di una visione morale e spirituale del contratto matrimoniale sono ritratti in modo acritico nei mezzi di comunicazione”, ha sottolineato. Perciò la persona consacrata è “esposta a queste immagini che penetrano nella coscienza morale della persona e possono rilassarla”.

“Nella pubblicità – ha aggiunto poi – si tende a creare necessità per prodotti e servizi, di cui in realtà non se ne ha bisogno”, rendendo così necessario una maggiore capacità di guardare all’essenziale.

Nei mezzi di comunicazione, solitamente, il potere viene esaltato, la trasgressione proposta e celebrata, l’autorità contestata e sottovalutata.

“Le virtù cardinali devono coltivarsi perché i mezzi di comunicazione non ledano la propria vita cristiana e consacrata – ha sottolineato la prof.ssa Marcela Lombard –: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza applicate all’uso dei mezzi di comunicazione eviteranno di cadere nell’abuso”.

Nel prendere la parola la scrittrice Ángeles Conde ha sottolineato, invece, come la Chiesa continui a invitare i fedeli e gli agenti di pastorale a integrare il Vangelo nella nuova cultura creata dalla comunicazione moderna per potere transformare il continente digitale con l’unica Parola che può salvare l’uomo: il Verbo incarnato.

Questa “inculturazione mediatica”, ha detto, è possibile per tutti ed anche per le religiose che desideano realizzare il loro carisma evangelizzando i laici, coinvolgendo i giovani e cercando le vocazioni lì dove si trovano, quindi anche in Internet.

A dimostrazione di ciò, ha accennato alle innumerevoli iniziative di questo genere che esistono già: dal canale del Vaticano su You Tube ai corsi di catechesi on-line, alle scuole di preghiera sul web.

“La Chiesa può donare senso e umanità alla cultura digitale – ha aggiunto –. Occorre, però, una maggiore presenza, e questo richiede un impulso a tutti i livelli alla formazione nella comunicazione, specie negli agenti di pastorale; un interesse per collaborare con le altre iniziative cattoliche; e l’iniziativa e creatività insieme alla prudenza evangelica per offrire un servizio permanente di animazione evangelica in questa cultura digitale, promuovenedo i laici, specie i giovani, a diventare nel web veri apostoli e missionari dei loro coetanei”.

Secondo suor Nicla Spezzati, ASC, Docente presso l’Istituto di Teologia della Vita Consacrata “Claretianum”, “viviamo nelle culture dei media che ci propongono una gerarchia interpretativa del mondo: dal basso in alto, secondo l’indicazione di Edmund Husserl, ma anche dall’alto in basso”.

I media, ha spiegato, “procedono per generalizzazioni sempre più ampie fino a massificare un dato occasionale e accidentale” e “nel contempo costruiscono ‘dall’alto’ notizie e immagini che scendono come parametri d’interpretazione a orientare e indirizzare i convincimenti personali e locali”.

Nella civiltà mediatica attuale, i mezzi di comunicazione sono diventati “un ‘attore sostanziale’ nella comprensione delle prassi sociali, fino ad influenzare in modo limitante la persona umana che, da soggetto pensante, diventa soggetto vedente di una ‘rappresentazione’ della realtà”.

Per questo, “davanti al televisore le nostre difese sono abbassate, siamo vulnerabili e sensibili ad una seduzione multisensoriale”, così che si ha “una inversione nella ‘relazione di potere’ fra consumatore e produttore di immagini e informazioni”.

“L’orientamento personale viene limitato e il pensiero – che già nei contesti contemporanei si configura come fluido e frammentato – diventa pensiero sequenziale e infantile, pensiero che non permette di giungere al significato dei fenomeni, ma solo di toccare un riferimento ad esempi relativi, con la pretesa, però, di generalizzarli e renderli legge universale, ‘stereotipi’”.

I media, ha spiegato ancora suor Nicla Spezzati, annullano “il luogo reale della comunità, luogo reale di crescita umana, sostituendovi, gradatamente e inavvertitamente, i ‘non-luoghi’ dell’homo videns, dell’homo tecnologicus- oeconomicus”.

Ma ancora più pericolo, ha aggiunto, avviano “un processo di individualismo, solipsismo per cui la persona vive come ‘forestiera’ e ‘turista’ in comunità, mentre si rapporta e cresce in relazione con un mondo altro” fatto di “visioni positive e gratificanti di bellezza, di serenità, di sogno, di affermazione professionale, di relazioni umane appaganti”; un mondo capace di “far tacere insoddisfazioni e ansie”, “rimuovere la realtà quotidiana” e “integrare le relazioni umane scarsamente gratificanti”.

Per questo, ha continuato la docente, occorre riappropriarsi dell’attitudine critica che legga e riconosca la “forza” e la “fragilità” delle comunità religiose; di una “lettura critica del linguaggio attraverso cui i media – mescolando cose e fatti, razionalità ed emozioni – rappresentano la realtà”.

Allo stesso tempo, è necessario prendere decisioni concrete in grado di incidere sull’intera vita comunitaria e personale, dando forma “ad un ambiente il cui clima abituale sia quello dello sguardo sapienziale, attento, amoroso alla vita e alle persone”; “che aiuti il respiro dell’intelletto, e del suo indagare amoroso e umile” sostenuto “dal senso dell’ascolto e del silenzio”, “dalla condivisione semplice del frutto della propria fatica”, “dalla passione per l’umano con le sue domande di senso e di sofferenza”.

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ZENIT Staff

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