di Chiara Santomiero
ROMA, venerdì, 20 novembre 2009 (ZENIT.org).- Contrariamente alle voci diffuse qualche tempo fa, il Cardinale Vinko Puljić, Arcivescovo di Sarajevo e Presidente della Conferenza Episcopale Bosniaca, non si trova a Roma in questi giorni per discutere la questione delle controverse apparizioni mariane di Medjugorje.
Lo ha dichiarato a ZENIT lo stesso Cardinale, che ha partecipato nei giorni scorsi all’Assemblea plenaria della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, della quale è membro, riunitasi presso l’Università Urbaniana per riflettere sul tema “San Paolo e i nuovi areopaghi”.
“Quanto avviene a Medjugorje – ha affermato il Cardinale Puljić – è di competenza del Vescovo di Mostar, monsignor Ratko Peric, e della Congregazione per la Dottrina della Fede. Noi aspettiamo suggerimenti e proposte su come accompagnare questo fenomeno in quanto Vescovi e Conferenza Episcopale, e penso che la Santa Sede voglia operare in questo senso”.
“Già nella dichiarazione su Medjugorje della allora Conferenza Episcopale della Yugoslavia, risalente al 10 aprile del 1991, dopo aver rilevato che non si poteva constatare nulla di soprannaturale in quanto accadeva, si affermava la necessità di assistere a livello pastorale, sotto la responsabilità del parroco e del Vescovo locale, tutti coloro che si recano a pregare in questo luogo”.
“Mi aspetto che la Santa Sede dia indicazioni sulle confessioni e le celebrazioni eucaristiche – ha aggiunto –. E magari anche sulla costituzione di una commissione che segua il fenomeno, registrando i contenuti delle apparizioni e dei messaggi tenuto conto che ad oggi sono più di trentamila”.
Nel libro pubblicato dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato di Benedetto XVI ed ex Segretario di questa Congregazione vaticana, “L’ultima veggente di Fatima” (Ed. Rai-Rizzoli, 2007, pagg. 103-104), si legge che “le dichiarazioni del Vescovo di Mostar riflettono un’opinione personale, non sono un giudizio definitivo e ufficiale della Chiesa. Tutto è rinviato alla dichiarazione di Zara dei Vescovi della ex Jugoslavia del 10 aprile 1991, che lascia la porta aperta a future indagini. La verifica deve, perciò, andare avanti. Nel frattempo sono permessi i pellegrinaggi privati con un accompagnamento pastorale dei fedeli. Infine, tutti i pellegrini cattolici possono recarsi a Medjugorje, luogo di culto mariano dove è possibile esprimersi con tutte le forme devozionali”.
E’ una realtà che il fenomeno di Medjugorje continua ad attirare migliaia di pellegrini, riconosce il Cardinale Puljić. “Pregare non è peccato – ha affermato il porporato con un sorriso -. Ci sono molte belle presenze che hanno generato anche conversioni e vocazioni sacerdotali o religiose. Sono frutti della preghiera: dove l’uomo prega con fede, Dio dà i frutti della sua Grazia”.
“Pregare nei santuari mariani – ha spiegato il Cardinale Puljić – fa parte dell’identità dei nostri fedeli cattolici. Nel corso delle vicende problematiche della storia, la nostra gente si è ritrovata nei diversi santuari della regione per chiedere conforto, luce, speranza e la Madonna è un segno per la nostra fede”.
Le ferite della guerra
Anche oggi, a 12 anni dalla fine del conflitto nei Balcani, la Chiesa cattolica si trova ad affrontare molte difficoltà, a cominciare dalla dispersione dei suoi fedeli.
“Prima della guerra – ha raccontato – nella Diocesi di Banja Luka c’erano più di 120 mila cattolici, oggi sono scesi a 35-40 mila; la Diocesi di Sarajevo prima della guerra contava 528 mila cattolici, oggi sono al massimo 213 mila”.
Anche il ritorno dei profughi in alcune zone resta problematico: “dopo gli accordi di Dayton la Bosnia è stata divisa in due entità: la Repubblica Srpska e la Federazione. Mentre in quest’ultima vivono insieme musulmani bosniaci e croati cattolici, nella Repubblica Srpska vivono quasi esclusivamente serbi ortodossi. In questa zona – dove sono rimasti al massimo 15 mila cattolici – dovrebbero rientrarne circa 220 mila, ma sono ostacolati dalla mancanza di permessi da parte dell’autorità serbe e dalla difficoltà di trovare un lavoro e di ricostruire le case distrutte. Tra quelli che sono riusciti a tornare, molti sono anziani e bisogna aiutarli a sopravvivere”.
Il problema più grande è il riconoscimento dell’uguaglianza dei diritti tra appartenenti a comunità religiose diverse. “Non siamo tutti uguali – ha affermato il Cardinale Puljić -. Nella Repubblica Srpska prevalgono i serbi, nella Federazione i musulmani. I cattolici soffrono la mancanza di uguali opportunità sotto molti profili, specialmente a livello amministrativo e nell’accesso al lavoro”.
Spesso vengono opposte lungaggini burocratiche per scoraggiare la realizzazione di iniziative da parte cattolica. “In un quartiere di Sarajevo esiste una parrocchia già da 28 anni ma non riesco a costruire la chiesa; da dieci anni ho avuto il permesso ma non mi è stato assegnato uno spazio mentre continuamente vengono concessi per le costruzioni di moschee. Finalmente mi è stato assegnato un piccolo spazio, ma bisogna pagare molto e inoltre sotto vi è una infrastruttura che bisogna trasferire altrove e anche questo è costoso”.
La convivenza tra le comunità è minacciata soprattutto dalle influenze esterne. “Un gruppo ha stampato centomila libri contro Gesù Cristo che ha distribuito gratis tra la popolazione musulmana; quando ho protestato con un capo religioso musulmano perché un libro del genere non aiuta la convivenza, lui mi ha risposto di ignorarlo e basta”.
“I petrodollari – ha aggiunto – aiutano a costruire molte moschee e centri islamici e provocano un cambiamento di mentalità: contro il cristianesimo e specialmente contro i cattolici. Quando manca il rispetto dei diritti, subentra la paura. Noi continuiamo a dialogare nel consiglio interreligioso ma non è facile risolvere situazioni così complesse perché esistono tre storie, una per ogni comunità religiosa e ognuna racconta la sua”.
Anche la comunità internazionale sembra non capire la situazione. “A fine ottobre, il Ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, ha detto a Sarajevo che lo scopo della politica turca è la nuova ascesa dell’impero ottomano nei Balcani, come nel XVI secolo: nessuna voce in Europa e in America si è levata in segno di protesta. A Fiume e a Colonia si dà il permesso per costruire le moschee e questo è giusto, ma perché nessuno guarda a come vivono i cattolici a Sarajevo o in Turchia? Occorre affermare la reciprocità, non contro qualcuno, ma positiva, per il bene di tutti”.
Le difficoltà non abbattono la vitalità della Chiesa bosniaca: “I nostri istituti interetnici ‘Scuole per l’Europa’, fondati durante e immediatamente dopo la guerra, sono arrivati a 15 e contano 5 mila alunni mentre recentemente la Facoltà di Teologia di Sarajevo è stata inserita nell’università statale e i suoi diplomi riconosciuti dal Governo bosniaco”.
“Da noi c’è un proverbio – ha concluso il Cardinale -: gli uomini possono fare ciò che vogliono, ma non fino a quando vogliono. La nostra speranza viene da Dio, siamo nelle sue mani”.