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Signor Presidente,
Eccellenze,
In questo momento cruciale per la vita di milioni di esseri umani resi fragili dalla crisi finanziaria, economica e sociale che riguarda oggi il mondo intero, non ci si può che rallegrare nel vedere la fedeltà dell’Unesco alla sua intuizione fondatrice e il suo desiderio di partecipare con maggiore efficacia all’umanizzazione di ogni essere umano e all’educazione dei più poveri. Il mezzo scelto oggi è quello di salvaguardare e di aumentare il budget dell’Unesco destinato all’educazione, in particolare il programma «Educazione per tutti».
Dobbiamo tuttavia accontentarci nel quadro dell’Unesco di definire priorità, sebbene degne di lode, come quelle dedicate all’Africa e alla promozione delle donne? Se l’Unesco vuole poter favorire l’universalità e l’effettività delle norme etiche concernenti lo sviluppo di tutti attraverso l’educazione, e in particolare dei più bisognosi, occorre, come in altri dibattiti, che osi avviare una riflessione fondamentale sull’esigenza universale del rispetto dell’essere umano e sul tipo di educazione per tutti che ciò presuppone. Di fatto il punto debole del moltiplicarsi delle priorità definite attualmente è di ridurre il problema filosofico ed etico dell’educazione e dello sviluppo umano a questioni puramente tecniche. Solo una riflessione fondamentale su «l’educazione integrale» e sull’antropologia che tale educazione presuppone dovrebbe condurci a definire ciò che è effettivamente umanizzante per tutta l’umanità e in particolare per i più poveri e per le donne.
Ma cosa s’intende con «educazione integrale»? Adottando l’espressione «educazione integrale» ci riferiamo all’accezione utilizzata nel 1993 nel Documento finale della Conferenza mondiale sui Diritti dell’uomo organizzata dalle Nazioni Unite che chiedeva di «orientare l’educazione verso il pieno sviluppo della persona e il rafforzamento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Si tratta qui di un’educazione integrale capace di preparare soggetti autonomi e rispettosi della libertà e della dignità altrui». In questa ottica, lo sappiamo, la difesa e la promozione del diritto all’educazione, di cui l’Unesco ha fatto il suo asse principale, concerne non solo la possibilità per ogni essere umano di istruirsi, di sviluppare i propri talenti e di partecipare quindi alla vita pubblica, economica e sociale, ma anche la capacità di umanizzarsi veramente e di godere pienamente della dignità inerente a ogni persona umana. Non si tratta dunque solo di offrire un’educazione interculturale dove bambini e adolescenti di etnie, razze, culture e sesso diversi imparerebbero a rispettarsi attraverso il dialogo, anche se l’obiettivo di un’educazione interculturale tiene seriamente conto delle mancanze e degli ostacoli all’uguaglianza e alla giustizia che risultano dalla categorizzazione etnica. L’educazione integrale deve comprendere anche l’apprendimento della vita in comune, della solidarietà. Ciò passa per l’apprendimento delle responsabilità.
Una seconda accezione alla quale ci riferiamo non è molto lontana da quella proposta dall’Onu. Si tratta dell’accezione messa in evidenza dalla Chiesa cattolica per definire il suo progetto educativo come «educazione integrale per la persona umana». Questo progetto educativo mira a formare la persona nell’unità integrale del suo essere, intervenendo con gli strumenti dell’insegnamento e dell’apprendimento laddove si formano «i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d’interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita» (Paolo vi, Esortazione apostolica post-sinodale Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, n. 19; aas 68 [1976], 18). Questo progetto educativo sostiene che, «nel contesto della globalizzazione, occorre formare soggetti capaci di rispettare l’identità, la cultura, la storia, la religione e soprattutto le sofferenze e i bisogni altrui, nella consapevolezza che “tutti siamo veramente responsabili di tutti”» (Congregazione per l’educazione cattolica, Educare insieme nella scuola cattolica, 18 settembre 2007, n. 44). In questo contesto, diviene particolarmente urgente offrire ai giovani un percorso di formazione scolastica che non si riduca all’utilizzazione individualistica e istituzionale di un servizio che avrebbe come fine solo l’ottenimento di un diploma. L’immenso vantaggio di questo progetto educativo è che già esiste in pratica nel mondo, ricco di tutta una storia e di un potere d’immaginazione e di creatività. Nonostante le effettive difficoltà economiche e politiche, questo progetto educativo è corresponsabile dello sviluppo sociale e culturale delle diverse comunità e dei popoli, di cui la scuola cattolica fa parte, condividendo le loro gioie e le loro speranze, le loro sofferenze, le loro difficoltà e il loro impegno per un autentico progresso umano e comunitario. In questa prospettiva, occorre menzionare il prezioso contributo che questo tipo di educazione integrale offre allo sviluppo spirituale e materiale dei popoli più bisognosi, mettendosi al loro servizio (cfr. Ibidem, n. 5.). Esperienze, come quella messa in atto dai Fratelli delle Scuole Cristiane in Camerun con il programma Eva (Educazione alla vita e all’amore per evitare l’Aids), mostrano tutta l’ampiezza che può assumere questa educazione integrale: si tratta qui di educare i giovani nel loro comportamento sessuale in conformità con gli assi centrali dell’azione mondiale e regionale, tenendo conto del contesto psicoaffettivo, sociale, culturale, religioso e familiare.
Perché questa educazione integrale possa permettere ai bambini e ai giovani non solo di acquisire una maturità umana, morale e spirituale, ma anche di impegnarsi nella trasformazione della società, la Chiesa cattolica invita profondamente a riflettere sull’antropologia che la sottende: «Si vuole dimenticare che l’educazione presuppone e coinvolge sempre una determinata concezione dell’uomo e della vita. Alla pretesa neutralità scolastica corrisponde, il più delle volte, la pratica rimozione, dal campo della cultura e dell’educazione, del riferimento religioso. Una corretta impostazione pedagogica è invece chiamata a spaziare nel territorio più decisivo dei fini, ad occuparsi non solo del “come”, ma anche del “perché”, a superare il fraintendimento di una educazione asettica, a ridare al processo educativo quella unitarietà che impedisce la dispersione nei rivoli delle diverse conoscenze e acquisizioni e mantiene al centro la persona nella sua identità globale, trascendente e storica» (Congregazione per l’educazione cattolica, La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio, 28 dicembre 1997, n. 10). Non si può educare l’uomo quando, per esempio, lo si riduce a un’antropologia derivata da una concezione secondo la quale l’uomo non è che libertà, decisione, soggettività, separate dalla trascendenza e dalla verità. Non si può educare un essere umano quando non si riesce ad articolare l’uguaglianza dei soggetti nel rispetto delle loro differenze culturali.
Nell’area culturale occidentale, i filosofi sono spesso incapaci di comprendere l’uguaglianza nella differenza; l’uguaglianza dei sessi è esemplare di questa difficoltà. Ma non si può dire altrettanto della Bibbia e del messaggio trasmesso dalla Chiesa. Il testo fondatore che contiene «le verità fondamentali dell’antropologia», come notava Papa Giovanni Paolo ii in Mulieris dignitatem, n. 6, è in questo caso quello della Genesi: «E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gn 1, 27). La definizione dell’essere umano è percettibile solo nel riconoscimento e nel rispetto della differenza fra i due sessi. Questa differenza radicata biologicamente non è una mera delimitazione, ma ha piuttosto un senso per la persona stessa. L’uomo e la donna sono allo stesso livello, entrambi creati a immagine di Dio. La fede cristiana nutre dunque la
convinzione che nessuno potrà mai negare a un essere umano, uomo o donna, il valore costitutivo che Dio gli ha concesso e che non gli toglierà mai. Esso garantisce i diritti dell’uomo grazie al suo riferirsi all’amore divino che ci fonda e che ci ricrea sempre.
Concludendo, questa educazione integrale, che è l’accesso dell’uomo alla sua piena umanità, è una via impegnativa ma necessaria. È «una necessità primordiale per la lotta contro la povertà», affinché l’economia sia al servizio dell’uomo. L’educazione è una priorità, ma deve essere integrale poiché «non basta una formazione tecnica e scientifica» per educare «uomini e donne responsabili nella loro famiglia e a tutti i livelli della società» (cfr. Benedetto xvi, Discorso ai nuovi Ambasciatori presso la Santa Sede, 13 dicembre 2007).
L’educazione integrale è a tale titolo un cantiere aperto, difficile e necessario.
– Un cantiere aperto perché deve essere un evento, un approccio sistematico che aiuti a vivere l’educazione come incontro dialogico con altre persone (del passato e del presente) e con altre culture, e non solo come istruzione e apprendimento dei dati fissati.
– Un cantiere difficile poiché implica un approccio critico rispetto alla selezione del sapere insegnato e ai rapporti con tale sapere. Le diverse discipline non presentano solo conoscenze da acquisire ma anche valori da assimilare e verità da scoprire.
– Un approccio critico rispetto all’interpretazione dei valori fondamentali delle società occidentali secolarizzate. Il diritto della persona a ricevere un’educazione adeguata secondo la sua libera scelta deve essere garantito.
– Un approccio critico, infine, rispetto alla natura sociale dello spazio scolastico. La comunità educativa, presa globalmente, è chiamata a promuovere l’obiettivo di una scuola come ambito di formazione integrale attraverso la relazione interpersonale e la responsabilità.
– È anche un cantiere necessario, poiché la corrente di riflessione sull’educazione integrale si fa carico in particolare della contraddizione, patente nella vita politica ma poco pensata nel campo educativo, fra, da un lato, le tensioni identitarie e le discriminazioni e, dall’altro, i valori della comunione all’interno del corpo sociale e politico. È dunque una delle correnti che può alimentare la riflessione, oggi molto ricca, sull’educazione alla cittadinanza.
Grazie per la vostra attenzione.