NEW YORK, martedì, 17 novembre 2009 (ZENIT.org).- La Santa Sede ha sottolineato la necessità di riformare il diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell'ONU per limitarne l'esercizio.

L'Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione, l'Arcivescovo Celestino Migliore, ha affermato venerdì 13 novembre che l'abolizione del veto sembra essere la posizione meno fattibile, e per questo “la sua riforma è più adeguata e realista”.

Il presule ha formulato una dichiarazione sulla questione nella 64ª sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite sul tema della rappresentazione equa nel Consiglio di Sicurezza e dell'aumento del numero dei membri.

Monsignor Migliore ha denunciato che l'uso del diritto di veto “ha rallentato e anche ostacolato la soluzione di problemi cruciali per la pace e la sicurezza internazionali” in molte occasioni.

“Troppo spesso è la mancanza di intervento a fare veri danni – ha lamentato –. L'esperienza insegna che ci sono buone ragioni per promuovere posizioni a favore della riforma del diritto di veto per limitarne l'esercizio”.

A suo avviso, “la riforma del veto risulta particolarmente necessaria in un momento in cui sperimentiamo il paradosso ovvio di un consenso multilaterale che continua a essere in pericolo perché è ancora subordinato alle decisioni di pochi, mentre i problemi del mondo esigono interventi in forma di azione collettiva della comunità internazionale”.

In questo contesto, la Santa Sede sostiene l'opinione espressa da altre delegazioni per cui “i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza devono impegnarsi a non emettere un veto in situazioni in cui sono implicati il genocidio, i crimini contro l'umanità, crimini di guerra, gravi violazioni del diritto internazionale umanitario o atti simili”.

“Come minimo, è uno sforzo per giungere a una soluzione opportuna e più rappresentativa per questo tipo di situazioni gravi. Il numero di voti di sostegno alle decisioni del Consiglio di Sicurezza non dovrebbe richiedere il voto affermativo di più di due membri permanenti”, ha indicato il presule, che è anche Nunzio Apostolico.

“Al contrario”, ha continuato, “un membro permanente potrebbe emettere un voto negativo, indicando che il voto contro una certa proposta non deve essere inteso come veto e che la sua opposizione non è di natura tale da giustificare il blocco di una decisione”.

Dall'altro lato, monsignor Migliore ha sottolineato che “risultano fondamentali un maggiore dialogo aperto e la cooperazione tra i membri permanenti del Cosniglio di Sicurezza e gli altri, per evitare che possano sorgere ostruzionismi sull'adozione di una risoluzione”.

Il rappresentante vaticano ha espresso la propria fiducia nel fatto che la decisione per riformare il diritto di veto favorisca “la trasparenza, l'uguaglianza e la giustizia”.

Il 15 settembre scorso, monsignor Migliore aveva già affermato ai microfoni della “Radio Vaticana” che il veto “non può più essere visto in termini di privilegio o di potenza, ma va considerato alla luce della giustizia e della solidarietà nel rispondere tempestivamente alle emergenze internazionali”.

In quell'occasione, l'Osservatore Permanente si è riferito alla riforma di cui l'ONU ha bisogno per evitare di perdere rilevanza, una riforma che a suo avviso interessa il modo in cui vengono prese le decisioni.

“La questione sta nella volontà politica dei singoli membri che compongono l’Organizzazione e specialmente di coloro che vi esercitano una maggiore influenza politica, economica, militare o demografica di saper usare, cioè di aver l’audacia di promuovere i propri interessi nazionali nel contesto ed in funzione della promozione del bene comune mondiale”.

Monsingor Migliore aveva quindi difeso la democratizzazione dell'ONU, sottolineando che “attualmente le grandi questioni economiche e finanziarie sono dibattute e regolate all’interno di gruppi ristretti, che sia il G8, il G20, mentre le Nazioni Unite rappresentano il G192”.

Da Assisi un messaggio per l’uso pacifico dell’energia nucleare

ROMA, martedì, 17 novembre 2009 (ZENIT.org).- Dalla città della pace – Assisi – un nuovo messaggio di pace per gli uomini di buona volontà al fine di un uso corretto e pacifico dell’energia nucleare: lo hanno lanciato insieme questo martedì, dal Sacro Convento, Mohamed ElBaradei, direttore generale della Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) e Premio Nobel per la pace nel 2005, Andrea Ronchi, ministro per le Politiche europee, padre Giuseppe Piemontese, Custode del Sacro Convento e Giuseppe Rotunno, responsabile del Comitato per una civiltà dell’Amore.

Al mattino, l’Università di Perugia, ha conferito a ElBaradei la laurea honoris causa in “Relazioni internazionali” per il suo “impegno, dedizione e spirito di responsabilità per un uso corretto e pacifico dell’energia nucleare a beneficio dell’intera umanità”.

“I capi di stato – ha affermato nel suo intervento ElBaradei – stanno cominciando a capire che le armi nucleari, più che rafforzare, minacciano la sicurezza del mondo intero”. Occorrono invece “istituzioni internazionali effettive e norme sulla sicurezza che siano universali ed eque”. “Abbiamo bisogno – ha concluso ElBaradei – di un nuovo sistema globale di sicurezza, dove non ci siano armi, perché il diritto di ogni essere umano è quello di vivere in pace”.

Nel corso dell’incontro di Assisi è stato presentato il Programma di conversione nucleare e sviluppo (Megatons to Development), nato nel 1987 dall’iniziativa di un gruppo di studiosi italiani, tra cui il fisico Edoardo Amaldi, allievo di Enrico Fermi, per la conversione dell’uranio presente negli arsenali nucleari militari in combustibile di pace, da impiegarsi nelle centrali nucleari esistenti.

“Il risparmio generato da questo impiego – hanno affermato gli organizzatori dell’iniziativa – permetterebbe l’avvio di programmi di sviluppo nei Paesi poveri del pianeta, per sostenere un miglioramento delle loro economie concedendo ai loro popoli dignità e fiducia nel futuro”.