di Jesús Colina
CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 16 novembre 2009 (ZENIT.org).- Un giovane hacker svizzero e un poliziotto dell’Interpol, incontrandosi in Vaticano, non hanno concordato su varie questioni, ma su una si sono espressi allo stesso modo: le pagine web e anche i computer di rappresentanti cattolici attirano decisamente i pirati informatici.
Del rappresentante delle forze dell’ordine è possibile diffondere il nome, Dimitrios P. Angelopoulos, responsabile dell’ufficio per il crimine cibernetico in Europa, Africa e Medio Oriente presso la segreteria generale dell’Interpol.
Dell’hacker, per ovvie ragioni, non si può rivelare l’identità. E’ un giovane di 17 anni, che venerdì è stato presentato ai membri della Commissione Episcopale Europea per i mezzi di Comunicazione, nell’Aula Vecchia del Sinodo in Vaticano, con il soprannome “Petit frère Bruno” (fratellino Bruno).
Con una maglietta nera su cui c’era scritto “Quelle connerie la guerre” (Che stupidaggine la guerra), il giovane hacker, che ha avuto problemi con la legge, ha accettato l’invito dei presuli di aiutarli a penetrare nella mentalità di quei giovani per i quali l’informatica diventa un mezzo per rivendicare una libertà di informazione che a volte sfocia nel libertinaggio.
Gli avvertimenti di un “cyberpoliziotto”
Lo ascoltava seduto vicino a lui l’agente greco Angelopoulos, che con il suo intervento ha confermato i numerosi pericoli che oggi sperimentano gli internauti, in particolare un sacerdote o un Vescovo, o chi dirige un sito cattolico.
Dopo l’incontro, ZENIT ha chiesto ad Angelopoulos quali sono i gruppi più interessati ad attaccare il sito vaticano. L’agente, senza dare neanche il tempo di concludere la domanda, ha risposto: “Il Vaticano non è l’unico obiettivo. L’obiettivo può essere ogni sito cattolico, o anche il computer di un monastero o di un sacerdote connesso a Internet”.
L’agente ha spiegato che per lui sarebbe molto facile penetrare nel computer di un parroco in Polonia e scoprire informazioni confidenziali o che possono essere manipolate da chi vuole attaccare la Chiesa.
“Di fatto – riconosce –, basterebbe andare su Facebook e analizzare le informazioni che qualche sacerdote presenta nel suo profilo. Bisogna essere molto prudenti!”.
Da buon investigatore, Angelopoulos si è chiesto quali sono i motivi che spingono i pirati cibernetici. “Due”, ha spiegato, “l’interesse politico e quello economico”.
“Gli attacchi agli obiettivi cattolici sono dovuti al primo motivo”, ha detto dopo l’incontro con i Vescovi.
“E chi può avere motivi politici contro la Chiesa?”, gli ha chiesto ZENIT. “Molti”, ha riconosciuto, “ad esempio i fondamentalisti islamici, che hanno ottime squadre di attacco cibernetico”.
Se però gli attacchi alla Chiesa possono giungere da qualsiasi computer collegato alla rete, come afferma l’agente dell’Interpol, allora tutti i religiosi diventeranno paranoici.
“Per questo motivo – ha dichiarato –, ho proposto di poter impartire un corso in Vaticano su tutti i sistemi di connessione. Può essere di grande aiuto”.
Le motivazioni degli hacker
Dal canto suo, Petit frère Bruno ha iniziato con una battuta la sua conversazione con ZENIT: “Prometto di non organizzare attacchi contro la pagina web della Santa Sede”.
Il giovane svizzero, che vive per l’informatica da quando aveva sei anni, ha riconosciuto che il poliziotto non sbagliava a mettere in guardia i Vescovi e i sacerdoti sui pericoli che corrono.
“Per molti hacker potrebbe essere una grande vittoria semplicemente sfigurare il sito vaticano inserendo una fotografia di Osama Bin Laden”, ha spiegato.
Gli hacker, ha aggiunto, sono di tre tipi.
Il primo è il “white hat hacker” (l’hacker dal cappello bianco), che agisce solo per i propri ideali, in particolare la libertà d’informazione, ma che non cerca di fare danni, anche se ciò non significa che la sua sia un’attività legale, visto che a volte si violano le leggi.
C’è poi il “grey hat hacker” (dal cappello grigio), che dice di agire come i precedenti per motivi umanistici, ma se in una delle sue penetrazioni illegali in qualche sito può rubare denaro o informazioni cade nella tentazione.
I “black hat hackers” (dal cappello nero), infine, chiamati anche “crackers“, hanno obiettivi generalmente criminali.
A 17 anni, Petit frère Bruno ha messo su un’impresa di informatica e lavora per aziende che vogliono verificare i propri sistemi di sicurezza.
“Non mi interessa più penetrare in siti governativi, di eserciti o partiti politici”, ha riconosciuto, considerando che in futuro potrà guadagnare abbastanza con il mercato elettronico.
I consigli dell’hacker e del poliziotto ai Vescovi sono stati gli stessi: “buonsenso” e “moltissima prudenza” ogni volta che si è collegati.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]