La forza e la debolezza della Chiesa nel mondo di Internet

CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 14 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato il 12 novembre da mons. Jean-Michel di Falco Léandri, Vescovo di Cap e d’Embrun, e Presidente della Commissione episcopale europea per i media, nell’introdurre i lavori dell’Assemblea plenaria della commissione del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa su “La cultura di Internet e la comunicazione della Chiesa”.

 

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«La cultura di Internet e la comunicazione della Chiesa». Sentendo questo tema, mi sono ritornati in mente i tre avvenimenti che hanno sconvolto la vita della nostra Chiesa durante lo scorso inverno. Mi riferisco all’«affare» Williamson, alla scomunica di Recife e alla dichiarazione sul preservativo nell’aereo che portava il Papa in Camerun – è così che i media hanno descritto quegli avvenimenti. Tre questioni che hanno scosso il pianeta Internet. Sono state giudicate emblematiche del modo in cui la Chiesa istituzionale comunica e in cui gli internauti – cristiani o meno – reagiscono. Hanno rivelato i punti di forza e le debolezze della comunicazione della Chiesa nel contesto di una cultura di Internet trionfante.

In seguito all’affare Williamson, il Santo Padre stesso ha riconosciuto che la Curia non aveva ben valutato la posta in gioco rappresentata da Internet. O meglio, per citare più esattamente: «Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie alle quali si può accedere tramite Internet avrebbe permesso di venire più velocemente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che, in avvenire, alla Santa Sede dovremo prestare una maggiore attenzione a questa fonte d’informazione».

Di fronte alla critica riguardante il fatto che il Papa non era stato messo al corrente delle dichiarazioni negazioniste di Mons. Williamson disponibili nella rete, il Papa si è riferito, nella sua lettera ai vescovi, ad Internet soltanto come fonte d’informazione, come biblioteca virtuale.

Ci sono però molti altri aspetti che motivano la scelta del tema di riflessione della nostra assemblea. Sono gli aspetti che andremo ad affrontare durante queste giornate, tra i quali possiamo citare l’emergere della Web generation, gli sconvolgimenti nell’organizzazione del tempo e dello spazio, nel modo di informarsi e di comunicare, le conseguenze ecclesiologiche, gli effetti sul governo stesso della Chiesa, il posto della religione nel mercato di Internet, la varie maniere di proclamarvi il Vangelo e di essere Chiesa in tale mercato.

Non facciamoci illusioni. Non facciamo lo struzzo. Internet si trasforma, trasforma la nostra società e non può non trasformare la Chiesa, non può non trasformare il nostro modo di essere e di agire come Chiesa, con il rischio di non essere più testimoni di Cristo nel mondo di oggi!

Con Internet, assistiamo a una rivoluzione copernicana che sta già producendo i suoi effetti sul nostro modo di essere nella nostra relazione con il mondo, nel nostro collocarci nel mondo, nel nostro interagire con il mondo. Qui si inserisce la presa di coscienza della Chiesa istituzionale riguardo all’importanza di Internet. Nessuno dubbio. E a maggior ragione oggi. Ma saper navigare cavalcando l’onda di Internet è tutta un’altra storia.

Internet è un rivelatore, un evidenziatore. O sapete comunicare, o non sapete farlo, o siete credibili o non lo siete, o rispondete alle attese o restate nella vostra bolla, o siete un profeta o siete l’ultimo dei Mohicani, o siete vivi o siete dei fossili, o conoscete il linguaggio di Internet o non lo conoscete e non potete comunicare. Paragono spesso la modalità di presenza della Chiesa nel mondo dei media e in Internet a ciò che viene richiesto a un missionario che si accinge a partire per terre sconosciute. Che cosa si chiede ad un missionario prima della sua partenza? Di conoscere la cultura del paese in cui si reca e di apprenderne la lingua. Non dovremmo forse avere lo stesso atteggiamento per ciò che riguarda la presenza nei media?

Nuovi linguaggi nascono su Internet, utilizzati dai giovani. Abbreviazioni, foto ed emoticon, schede audio e video la fanno da padrone. La cultura digitale si dota di una propria grammatica, di una lingua in costante e veloce evoluzione (LOL, MDR). La nostra generazione soffre di un’eccessiva tendenza a considerare come superficiale tutto ciò che è breve, istantaneo, basato sull’emozione. Sarà forse perché siamo piuttosto orientati verso lo scritto, i lunghi elaborati, la qualità dell’argomentazione da quegli spessi dossier che dobbiamo affrontare, dai libri di teologia e dalle tesi che abbiamo letto o che ancora leggiamo? Se guardiamo più da vicino, però, la Chiesa nella sua storia non ha considerato come vettori di verità soltanto i lunghi trattati di teologia. Ha saputo esprimere la sua fede in modo conciso e convincente. Basti citare la proclamazione del kerygma negli Atti degli Apostoli. Ha saputo utilizzare forme di comunicazione non verbale. Basti pensare alle icone, agli affreschi e ai mosaici delle nostre chiese, alle vetrate e alle sculture sui timpani delle nostre cattedrali. Ha saputo suscitare emozioni. Basti ascoltare i suoi canti e le sue musiche. Proclamiamo «una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio Padre di tutti», ma esistono mille modi di esprimere questa fede. L’aggiornamento chiesto da Papa Giovanni XXIII ci spinge senza tregua a riattualizzare il modo in cui proponiamo la fede alle nuove generazioni.

Viviamo in un mondo pluralistico, dove moltissimi sono coloro che, grazie ad Internet, possono avere accesso a tutto ed esprimere il loro parere su tutto. La Chiesa non può non tenerne conto. Con la secolarizzazione, la globalizzazione, la crescita di Internet, la nostra visione del mondo, della vita e della morte è considerata da alcuni come un prodotto tra i tanti nel mercato delle religioni. La Chiesa non può comunicare come se non esistessero altre concezioni e interpretazioni del mondo. Ha una Parola, un messaggio d’amore da proclamare, ma deve anche ascoltare, e Internet è una formidabile camera di risonanza della vita del mondo.

Un mio amico ha fatto una ricerca sui siti cristiani in francese più consultati. Ne è venuto fuori che i siti cattolici in Francia vengono molto dopo i siti evangelici, benché nel nostro paese gli evangelici siano una minoranza rispetto ai cattolici. Come si spiega? Per lui le ragioni sono le seguenti:

La prima è che «gli evangelici ascoltano e i cattolici parlano».

Con questo egli intende dire che gli evangelici escono da se stessi per mettersi come prima cosa al posto degli altri. Rispondono ai bisogni. «Che cosa vuoi?» domanda Gesù al paralitico, al cieco nato. In altre parole, «Di cosa hai bisogno? Qual è il tuo desiderio più profondo? Io posso darti una risposta». La comunicazione comincia sempre dall’ascolto. Questo lo spinge a porsi questa domanda: la Chiesa cattolica parla forse partendo da se stessa senza prendere sufficientemente in considerazione ciò che vive la gente?

La seconda ragione del maggiore successo dei siti evangelici rispetto ai siti cattolici è che «i siti cattolici sono centrati su se stessi» e sono «considerati come strumenti e non come un mondo da evangelizzare».

Con questo intende dire che i nostri siti sono delle estensioni o dei duplicati dei nostri foglietti parrocchiali, dei nostri bollettini diocesani. Sono ad uso interno. Parlano una lingua per iniziati ad uso esclusivo degli iniziati. I siti evangelici, al contrario, vogliono raggiungere gli internauti, utilizzando Internet come strumento e vettore di evangelizzazione.

Che ci troviamo d’accordo o meno con questa analisi, resta il fatto che possiamo farci carico della necessità di ascoltare il mondo per amarlo di più e parlargli.

Se i siti istituzionali, con la loro pesantezza, sono necessari, gli elettroni liberi possono esserlo altrettanto. Qualcuno come Napoleone è certamente valutato diversamente in un’assemblea come la nostra, ma permettetemi di parlare di lui per fare un paragone. Napoleone sapeva usare altrettanto bene, in una battaglia, la cavalleria pesante e i lancieri che trafiggono i fianchi dell’avversario, così come i volteggiatori che si danno da fare a stuzzicare quegli stessi fianchi come mosche cocchiere.

Un sito Internet dovrebbe poter mettere in contatto con Gesù Cristo e con una Chiesa viva, una comunità
in cui si vivono l’unità e la carità. Lungi dal trovare tutto questo, gli internauti si trovano molte volte a confrontarsi con un «sistema» che offre, certo, i suoi vantaggi una volta che ne hanno superato la soglia, ma che, in un primo contatto, fa più da schermo che da cinghia di trasmissione, non avendo dalla sua parte la leggerezza dell’amore.

Questi volteggiatori del Vangelo, li vedo nei blog creati dai laici. Questo rientra nel campo proprio della loro attività, della loro vocazione e della loro missione di battezzati nella Chiesa e nel mondo.

La 44a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che avrà luogo il 23 maggio prossimo avrà per tema: «Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola». Scegliendo questo tema, il Papa colloca l’urgenza di un’evangelizzazione <i>con il mondo digitale e del mondo digitale nella cornice dell’Anno Sacerdotale. Si tratterà di «incoraggiare i sacerdoti ad affrontare le sfide che nascono dalla nuova cultura digitale», come ha sottolineato il comunicato stampa. A mio parere, tuttavia, non si tratta di un appello a tutti i sacerdoti a creare un proprio blog. Si tratta piuttosto di un appello ai sacerdoti a circondarsi di laici competenti per l’implementazione dei loro siti parrocchiali o di movimenti, una chiamata a collaborare, una chiamata ad accompagnare i laici che si stanno lanciando, o che si sono già lanciati, nell’evangelizzazione via Internet. È una chiamata a vedere come possiamo aiutare gli internauti a distinguere i siti cattolici da quelli che si spacciano come tali ma non sempre lo sono.

I media riducono spesso la Chiesa al Papa ed ad alcuni cardinali. Ragion di più perché i vescovi e i sacerdoti lascino tutto il loro posto ai laici sulla rete. L’Azione Cattolica consisteva nell’evangelizzazione del simile da parte del simile, dell’operaio da parte l’operaio, dello studente da parte dello studente, della donna da parte della donna, del padrone da parte del padrone, ecc. Occorre ritrovare questa intuizione in ciò che riguarda la rete, e se non si riesce a evangelizzare la rete, almeno evangelizzare con la rete. Soltanto la presenza nella rete di cristiani laici competenti e illuminati, che si esprimono in quanto cristiani, potrà mostrare che non si può ridurre la Chiesa alla sua gerarchia e al Papa.

Permettetemi di articolare alcune affermazioni in questo senso:

– Nella giungla delle offerte gratuite e delle possibilità mediatiche, i cristiani devono farsi vedere con qualcosa di più. Questo «di più» non è un gadget, è il lievito assolutamente indispensabile affinché la pasta prenda forma, è la lampada nella casa, è il faro nella notte del mondo e delle nostre vite. Ma è assolutamente necessario entrare nel mercato della rete con questo «di più».

– La Chiesa non può arrivare a tutti allo stesso tempo, con gli stessi contenuti, sugli stessi media. Non può portare avanti un discorso monolitico. Le vite sono diverse, il mondo è segmentato, la Chiesa deve assolutamente diversificare la propria offerta. Chi si vuole raggiungere, dove, come, perché e per fare che cosa, per condurre verso che cosa? Tutto questo non deve forse essere pensato prima della creazione di qualunque sito?

– Prendere bene le misure prima di ogni impostazione del modo in cui questa o quella immagine, questa o quella dichiarazione potranno essere percepite, riportate, propagate, interpretate. Si può mettere le cose a posto in termini di conoscenza di causa, ma non si dovrebbe mai essere sorpresi dalle reazioni per poi precipitarsi con le smentite e le rettifiche. Se si è sorpresi da una reazione, è perché si è analizzata male la situazione prima di parlare, dunque non si è stati sufficientemente all’ascolto. Meglio riflettere prima, ed essere spontanei e reattivi malgrado tutto. Quella del web è la cultura della spontaneità.

– Oltre 25 anni fa dicevo che le cattedrali del XXI secolo sarebbero state mediatiche. Oggi queste nuove cattedrali vanno costruite nella rete. Nella storia della Chiesa, nello stesso tempo in cui la carità diventava inventiva per rispondere ai nuovi bisogni, le vecchie strutture rimanevano. Anche per noi, pur assicurando la vita delle nostre parrocchie e delle nostre diocesi, dobbiamo avere la sollecitudine di continuare ad essere presenti là dov’è la gente, dove il mondo cambia, dunque ad andare su You Tube, My Space, Facebook, ecc. La questione non è certo trascurabile: quale forma di legame sociale si tesse tra le persone “connesse”? Queste reti pongono la questione dei confini dell’intimità. Mi limiterò a menzionare le questioni che girano intorno al rapporto con la verità e l’identità, il tempo e lo spazio, il rapporto con la cultura, come ho già detto, ma dobbiamo proprio essere assenti?

– Non sono i giovani che non si avvicinano più alla Chiesa, è la Chiesa che è lontana dal loro mondo. Navigando in rete, entrando in un qualsiasi sito di incontro come Facebook, ci si rende subito conto del bisogno di comunicare, della necessità di un incontro e di un dialogo autentici. L’autenticità per loro è segno di verità. Dobbiamo promuovere una presenza cristiana sul web fatta dunque di operatori, sacerdoti inclusi, che certo conoscano bene le tecniche di comunicazione, ma che sappiano offrire anche degli spazi per la ricerca, l’incontro, il dialogo, la preghiera.

Riflettere sul branding con il fine di lavorare sulla notorietà e sull’immagine. Papa Giovanni Paolo II sapeva compiere dei gesti simbolicamente carichi di senso. Soltanto l’ascolto del mondo, da una parte, e l’ascolto del Dio del Vangelo dall’altra, ci possono permettere di posizionarci dove non si aspettano di trovarci, di sorprendere, di far cadere le false idee sulla Chiesa.

Queste diverse piste non devono far pensare che si possano risolvere i problemi di comunicazione della Chiesa con semplici misure di comunicazione, con il rischio di essere come quei «cembali risonanti» denunciati da San Paolo, quegli strumenti che suonano vuoti. Dobbiamo essere, come prima cosa e prima di tutto il resto, ‘abitati’. «La forma è il fondo che risale alla superficie» diceva lo scrittore Victor Hugo. «L’agire segue l’essere», diceva San Tommaso d’Aquino, e prima di lui Aristotele. Agiamo secondo ciò che siamo. Diamo a vedere ciò che siamo.

Alcuni credono che Internet sia solamente qualcosa di virtuale o di superfluo. Tutti conosciamo dei sacerdoti o dei vescovi per i quali Internet è l’ultima delle loro preoccupazioni, che continuano la loro pastorale come se Internet non esistesse. Ora Internet fa sempre più parte integrante della vita quotidiana. Non esservi presenti equivale a tagliare fuori una buona parte della vita delle persone. E quando ci si è all’interno, ciò che si dà a vedere è inseparabile da ciò che si è. Del resto, secondo la modalità naturale, a meno di essere completamente paranoici, si prende ciò che si percepisce per la realtà; e, a meno di essere un perfetto manipolatore, si dà a percepire ciò che si è. Non ci può essere una dicotomia completa tra essere e apparire nella mente delle persone, e io sono convinto che i nostri siti e i nostri blog dicono molto di più su di noi di quanto non immaginiamo.

Questo mi porta ad affrontare la questione della testimonianza, della testimonianza cristiana, della testimonianza del cristiano, di colui che si è lasciato abitare dallo Spirito di Cristo.

Ecco cosa dice Nietzsche dei martiri nella sua opera L’Anticristo: «Il tono con cui un martire getta in faccia al mondo ciò che egli “considera vero” esprime già un livello così basso di probità intellettuale, una tale ottusa indifferenza nei confronti del problema della verità, che non è mai necessario confutare un martire. […] Si può essere sicuri che su questo punto la modestia, la moderazione aumenta in funzione del grado di coscienza che si applica alle cose dello spirito. […] I martiri hanno fatto to
rto alla verità… Ancora adesso, è sufficiente una persecuzione un po’ dura per conferire una fama di rispettabilità al più banale dei settarismi». Per Nietzsche, il martirio non è altro che l’espressione di un fanatismo. Ma se non differenzia il fanatico dal vero martire, è proprio perché i veri martiri sono rari. Nietzsche denuncia «Il tono con cui un martire getta in faccia al mondo ciò che egli “considera vero”». Facciamo dunque un’analisi dei siti Internet che si dichiarano «cristiani». Quali possono non dare adito a una simile accusa? Quanti sono dei veri testimoni di Cristo? Quanti possono dirsi esenti da verità sbattute in faccia, esenti da autocompiacimento, dogmatismo, politichese, scorciatoie, accecamenti, e persino da mancanza d’amore, di speranza, della stessa fede?

Il Concilio Vaticano II, quando tratta il tema dell’ateismo, ci invita a fare il nostro esame di coscienza su questo argomento: «Senza dubbio coloro che volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare i problemi religiosi, non seguendo l’imperativo della loro coscienza, non sono esenti da colpa; tuttavia in questo campo anche i credenti spesso hanno una certa responsabilità» (Gaudium et spes, 19).

Un sito Internet cristiano deve occuparsi del mondo e non tagliarsi fuori dal mondo. Deve evitare il politichese, evitare di essere esso stesso un ideologo che cerca di imporre la propria verità. Un sito deve essere aperto al dialogo e al dibattito, pur mostrando che non transigerà su certi principi che sono accettati da tutti e dovunque. Deve accontentarsi di proporre la verità di Cristo, in maniera ferma, morbida, umile. E se si tratta di rendere conto della speranza che è in noi a quelli che ce ne chiedono ragione (cf. 1 Pt 3, 15), che questo venga fatto «con dolcezza e rispetto», dice San Pietro.

Il falso testimone di Cristo cerca di esasperare, cerca la provocazione. Il vero testimone di Cristo esaspera senza volerlo. Il sito cristiano deve dunque esasperare senza provocare. Se arriva a essere fastidioso, deve esserlo come lo si può essere in noi stessi quando la nostra coscienza ci provoca a tendere al bene ed ad evitare il male. Il sito cristiano ha il dovere di risvegliare le coscienze, puntando sull’attrazione di ogni uomo per la bontà, la verità, la bellezza.

Tendiamo talvolta, nella Chiesa, a separare la Chiesa e il mondo, il sacro e il profano. Questo significa dimenticare che Gesù non compie una tale distinzione, o piuttosto, la distinzione è un’altra, passa dal confine del nostro cuore. «Chi non è contro di noi è per noi», dice ai discepoli che si stupiscono che ci siano dei miracoli fatti da altri (Mc 9, 40). Questo ci invita ad allargare lo spazio della nostra tenda. Sant’Agostino diceva già a proposito della Chiesa: «molti di quelli che sembrano all’esterno sono all’interno e molti che sembrano all’interno sono all’esterno» (De bapt. V, 27), e Padre François Varillon fa ricorso a questa formula lapidaria: «La Chiesa è il mondo nella misura in cui accoglie il dono di Dio».

Se si eccede nella distinzione tra media profani da un lato e media intra-ecclesiali dall’altro, si corre il rischio della ghettizzazione, della vittimizzazione, senza ascoltare ciò che il mondo ha da dire della Chiesa, ciò che quest’ultima ne comprende, come lo recepisce, senza cercare neanche di sapere come può essere presente in tutti i media.

Fortunatamente, però, ora più che mai, Internet ridistribuisce le carte, ci fa scendere dal nostro piedistallo, dalla nostra cattedra magistrale, ci fa uscire dai nostri ghetti, dalle nostre sagrestie. Papa, cardinali, vescovi, sacerdoti, fedeli laici, noi tutti formiamo con Internet un’agora, uno spazio libero e spontaneo dove si dice tutto su tutto, dove tutti possono discutere di tutto, un’agora virtuale in cui gli internauti si fanno un’idea su questo o quell’argomento mentre procedono nella loro peregrinazione, nella loro ricerca, ovvero nel loro zapping. L’internauta cattolico non fa eccezione a questa regola. Pur aderendo liberamente alla fede della Chiesa, vuole farsi un’opinione propria, essere il solo giudice di là dove si trova il suo bene. Naviga dunque in rete in funzione dei propri centri d’interesse, del punto a cui è arrivato nella sua ricerca, ed esercita il suo giudizio in funzione del punto a cui è arrivato nella sua fede e nelle sue conoscenze.

Che un fedele, o che ogni uomo, si faccia la sua opinione per conto proprio può far paura a dei pastori come noi. Ci piacerebbe proteggere i più deboli e i più vulnerabili. Ma occorre trovare delle soluzioni diverse dalla censura e dal divieto per tutto questo. La censura è sempre una cattiva risposta, anche quando si fa bella delle migliori intenzioni del mondo. Appare sempre come erratica ed arbitraria, dunque, in fin dei conti, come totalitaria. Orbene, la verità non ha bisogno di noi per imporsi. Il Concilio Vaticano II lo ricorda: «la verità non si impone che per la forza della verità stessa, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore» (Dignitatis humanae, 1). Un atto di fede che non fosse un atto libero non avrebbe alcun valore. «La dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna» (Gaudium et spes, 17).

Papa Benedetto XVI, nella sua ultima enciclica, ci invitava a legare «verità» e «amore» nella nostra vita. Non può esserci verità senza amore né amore senza verità. La verità senza amore è fredda e l’amore senza verità è cieco. Prevenire senza censurare, avvisare senza vietare, spiegare piuttosto che imporre, questa deve essere la nostra sollecitudine pastorale per ciò che riguarda ogni sito o blog che si dichiara cattolico o gestito da cattolici. Saremo credibili solamente se manifestiamo la verità nell’amore, la verità dell’amore, l’amore nella verità.

Il mondo s’interessa poco al fatto che la Chiesa sia custode della fede o della propria fede – quale religione non ha la sua istanza regolatrice e non cerca di proteggersi dalle possibili devianze nel suo seno? Il mondo si aspetta dalla Chiesa che viva di una fede rinnovata, si aspetta di vedere l’impatto di una tale fede nella condotta del mondo.

Internet è uno strumento, e in quanto tale non è portatore di morale, ma è utilizzato dagli uomini portatori di morale, capaci di usarne nel bene così come nel male. Come ogni strumento che moltiplica le capacità umane, è portatore tanto di minacce quanto di potenzialità. Tutto dipende dall’uso che se ne fa. La moralizzazione di Internet non si farà senza la moralizzazione degli uomini, e in primo luogo di noi stessi. Quale Cristo facciamo vedere sui nostri siti?

Ciò che diceva Paolo VI in Evangelii nuntiandi trentaquattro anni fa può essere ben applicato ad Internet: «Per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza» (Evangelii nuntiandi, 19).

Prima di concludere vorrei sottolineare un punto di attenzione tutto particolare, quello dei più poveri; cito: «Una delle (preoccupazioni) più importanti (…) si riferisce a ciò che si chiama oggi il divario digitale», una forma di discriminazione che divide i ricchi dai poveri sulla base dell’accesso, o della mancanza d’accesso, alle nuove tecnologie dell’informazione.

Gli individui, i gruppi e le nazioni devono avere accesso alle nuove tecnologie per prendere parte ai vantaggi promessi dallo sviluppo e per non restare ancora più indietro. È imperativo, e cito adesso Papa Giovanni Paolo
II, «è imperativo che il baratro che allontana i beneficiari dai nuovi mezzi d’informazione e di espressione da coloro che non vi hanno ancora accesso non diventi una causa insormontabile di ingiustizia e di discriminazione».

Così come la croce ha il suo asse verticale e il suo asse orizzontale, così deve essere la nostra evangelizzazione nella rete: orizzontale per la sua estensione, verticale per la sua profondità e la sua qualità.

Per concludere, permettetemi di citare uno scrittore francese, Jules Renard: «Alcune gocce di rugiada su una ragnatela, ed ecco un fiume di diamanti». Possano le poche gocce di rugiada che depositiamo sull’immensa rete di Internet trasfigurarla agli occhi di tutti in un fiume di diamanti!

Grazie per la vostra presenza e la vostra attenzione.

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ZENIT Staff

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