di Mirko Testa
ROMA, giovedì, 12 novembre 2009 (ZENIT.org).- I Vescovi italiani, riuniti in Assemblea generale ad Assisi dal 9 fino al 12 novembre, hanno approvato mercoledì la bozza del nuovo Rito delle esequie, la versione italiana cioè del libro liturgico ufficiale, utilizzato nelle veglie di preghiera e nei funerali.
In una nota mons. Domenico Pompili, Direttore dell'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e portavoce della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), ha fatto sapere che “il testo sarà pubblicato dopo la prescritta approvazione della Santa Sede”.
Nel documento, la Chiesa italiana si dice contraria allo spargimento delle ceneri in natura dopo la cremazione e alla conservazione “in luoghi diversi dal cimitero”, come a casa o in giardino, delle urne con i resti dei defunti cremati.
La Chiesa intende in questo modo evitare qualsiasi deriva panteistica o naturalistica, ma anche forme di idolatria o feticismo.
Il nuovo Rito delle esequie aggiorna così l’edizione del 1974 e rende normative le indicazioni contenute nel Sussidio pastorale “Proclamiamo la tua risurrezione”, pubblicato alla fine del 2007.
Già dal 1963 con l'emanazione dell'Istruzione "De cadaverum crematione: Piam et constantem" la Chiesa aveva legittimato la cremazione, pur non approvandola come forma di seppellimento dei cadaveri.
Nel 1969, con il decreto “Ordo Exsequiarum”, della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, aveva stabilito che "a coloro che avessero scelto la cremazione del loro cadavere si può concedere il rito delle esequie cristiane, a meno che la loro scelta non risulti dettata da motivazioni contrarie alla dottrina cristiana”.
“In particolare – ha spiegato mons. Pompili –, sarà introdotto un formulario per quanti scelgono la cremazione”.
La Chiesa, ha ribadito il portavoce della CEI, “pur preferendo la sepoltura tradizionale, non riprova tale pratica”, e infatti il Catechismo della Chiesa cattolica del 1992 la prevede “se non mette in questione la fede nella risurrezione dei corpi”.
Infatti, ha aggiunto, questa pratica è ammessa a meno che non sia “voluta in disprezzo della fede, cioè quando si intende con questo gesto affermare il nulla in cui verrebbe ricondotto l’essere umano”.
“Per questo in futuro si promuoverà una riflessione a tutto campo sul senso della vita e della morte a fronte di una cultura che maschera o esorcizza la fine”, ha detto.
“Si vuole così risvegliare la memoria dei defunti attraverso la preghiera, bandendo ogni forma di ricerca del macabro e del demonismo”.
“La memoria dei defunti e la familiarità con il camposanto sarà un modo concreto per contrastare la prassi di disperdere le ceneri o conservarle al di fuori del cimitero o di una chiesa”, ha quindi aggiunto.
La prima cremazione in Italia risale al 1822 ma è solo negli ultimi due decenni del XIX sec. che la pratica si diffonde lentamente nel paese. Ora è un fenomeno in forte crescita. In vent'anni si è, infatti, passati dalle 3.600 cremazioni del 1987 alle quasi 60.000 del 2007.
In Italia ci sono oltre 40 tra associazioni e società per la cremazione che si occupano di tutti gli aspetti legati alle esequie di chi ha scelto questa strada tramite volontà testamentaria o semplicemente attraverso l'iscrizione a una So.Crem. Le esequie vengono quindi celebrate in Chiesa in presenza dell’urna cineraria o, per i non credenti, nelle cosiddette “Sale del Commiato”.
In un incontro con i giornalisti il Segretario generale della CEI, mons. Mariano Crociata, aveva detto che “sarebbe opportuno che le persone imparassero a rapportarsi in maniera consapevole con l'unica cosa certa della vita: la propria morte”. Invece, oggi, “o c'è la sua rimozione pressoché totale, oppure si assiste, al contrario, alla sua spettacolarizzazione”.
"La Luce della Fede sulla morte – aveva indicato il Vescovo – deve portare a vivere con responsabilità questa vita".
nell'orizzonte pastorale, evidenziando la possibilità in queste occasioni di richiamare la novità dell'annuncio di Cristo di fronte al mistero della morte.
“Capita sovente – aveva riflettuto il porporato – di trovarci a riflettere sulla tendenza a considerare privatisticamente anche l’esperienza della morte. L’individualismo, che è cifra marcata di questa post-modernità, raggiunge ai limiti della vita una delle sue esasperazioni più impressionanti”.
“Anche quando la maschera della morte scende sul volto dei propri cari – aveva aggiunto –, dunque si fa più prossima e meno facilmente evitabile, anche allora non di rado si tende a rimuovere l’evento, a scantonarlo, a scongiurare ogni coinvolgimento”.
Da qui deriva “la pratica sparizione dell’esperienza della morte e di ogni suo simulacro dalla scena della vita”, mentre in una cultura come la nostra, “che progressivamente sembra slittare verso forme post-cristiane”, comincia ad avvertirsi sempre più l' “influenza di talune visioni spurie o paganeggianti” e al contempo “una certa insufficienza catechistica”.
A questo proposito il porporato aveva sottolineato l'importanza di “bonificare l’immagine della vita per imparare a godere realmente della stessa” e di “imparare ad invecchiare, per saper contare i giorni e apprezzare i doni, e per non sprecare né gli uni né gli altri”.
“Dobbiamo includere anche il camposanto tra i luoghi cari alla famiglia e alla comunità. Saper visitare il cimitero – il luogo dei 'dormienti' in attesa della resurrezione finale − e lì pregare, è un modo per bandire il macabro e per esorcizzare il troppo demonismo della nostra cultura”.
“Le nostre parrocchie – aveva esortato infine – abbiano sempre il cimitero nel perimetro della loro pastorale ordinaria, in modo che questo non sia un’area separata e ghettizzata, cui rivolgersi una volta l’anno, ma spazio della vita così concretamente trascendente da non affievolirsi mai, santuario della memoria che ci fa vivamente umani, ponte che unisce la comunità cristiana con la comunione dei suoi Santi già presso Dio”.