Nei confronti del creato serve un "antropocentrismo relativo"

I Vescovi ungheresi esortano a un rapporto responsabile con l’ambiente

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di Roberta Sciamplicotti

ROMA, giovedì, 12 novembre 2009 (ZENIT.org).- Nei confronti del creato, l’atteggiamento dei cristiani deve essere basato su un “antropocentrismo relativo”, che si discosti sia dal considerare solo l’essere umano non curandosi di ciò che lo circonda che dal pensiero che nega le differenze ontologiche tra l’uomo e l’ambiente.

La Conferenza dei Vescovi Cattolici Ungheresi lo ricorda in una Lettera circolare sulla Difesa del Mondo Creato, alla cui stesura hanno collaborato per vari anni diversi membri dell’Accademia delle Scienze d’Ungheria, docenti universitari, teologi e gli stessi Vescovi.

Nella lettera, i presuli sottolineano che “il degrado in rapida accelerazione dell’ambiente naturale e i cambiamenti climatici a livello globale sono diventati al giorno d’oggi una realtà”.

Per ridurre “e, se possibile, evitare un comportamento che danneggia l’ambiente e impoverisce il clima” servono “sforzi significativi” e “strategie efficienti per adattarsi alle circostanze dei cambiamenti climatici”.

“Perché l’umanità possa superare questo test, dobbiamo partecipare tutti – ricordano -. La sfida che affrontiamo è sostanziale, ma la nostra azione guidata dai valori e l’autolimitazione possono influire positivamente sulla situazione”.

Difendere l’ambiente, ricordano i Vescovi ungheresi, “significa più che assicurare semplicemente condizioni di vita degne alle generazioni presenti e future”, perché è fondamentale per “la protezione e la promozione del bene comune e della dignità umana”.

L'”antropocentrismo relativo”

I presuli ricordano quindi l'”ecoteologia” e l'”ecoetica” cristiane, sottolineando che queste prendono le distanze dall'”antropocentrismo radicale”, che considera l’ambiente naturale solo in funzione dei “benefici diretti per la generazione attuale”.

Questo comportamento, infatti, “contraddice la responsabilità affidata agli uomini dal Creatore”.

Allo stesso modo, la posizione cristiana si differenzia nettamente dal “pensiero ecocentrico”, che non considera le “fondamentali differenze ontologiche tra gli uomini e la parte dell’ambiente naturale che è esterna all’uomo”.

Il comportamento dei cristiani nei confronti della natura deve quindi basarsi su “un ‘antropocentrismo relativo’ in termini di modello filosofico di pensiero e di teocentrismo se guardato dal punto di vista della fede, che riconosce anche il valore intrinseco della natura”.

Spiegando la definizione “antropocentrismo relativo”, i presuli sottolineano che si parla di antropocentrismo perché l’uomo “è l’unica creatura sulla Terra che Dio ha desiderato di per sé”, mentre l’aggettivo “relativo” si riferisce al fatto che, anche se l’uomo si differenzia dalla parte non umana dell’ambiente dal punto di vista “ontologico, etico e biologico”, allo stesso tempo “forma un’unità con esso, tenendo conto della natura di ogni essere e del suo collegamento reciproco in un sistema ordinato, che è il cosmo”.

In questo senso, il concetto di teocentrismo si riferisce al senso del valore intrinseco della natura, in base al quale questa non è a somiglianza di Dio, “ma una realtà dipendente da Dio – e non dall’uomo”.

Preservare il creato, riconoscono i Vescovi ungheresi, ha un significato di riconoscimento e di lode, perché “possiamo preservare in modo credibile solo ciò che riconosciamo come buono e che vale la pena di lodare”.

L’etica cristiana relativa all’ambiente, aggiungono, si basa su tre valori collegati tra loro: il “valore strumentale della natura” in quanto “parte del bene pubblico, che serve la protezione e l’evoluzione della dignità umana”; il “valore simbolico della creazione”, perché si riferisce direttamente a Dio e permette quindi di approfondire il rapporto con Lui; la nozione teologica di “nuova creazione”, che indica il “futuro escatologico” dell’ambiente, “che ci fornisce una comprensione più profonda, religiosa del futuro del mondo che ci circonda”.

Un nuovo ordine economico

Per i Vescovi ungheresi, “difendere l’ambiente e il clima è anche parte della promozione del bene comune, che si può realizzare solo attraverso un ordine economico che serva l’interesse credibile dell’uomo”.

I presuli citano quindi gli elementi fondamentali di questo ordine, sottolineando la “limitazione dell’obiettivo dell’economia di mercato al cosiddetto utile” e il cambiamento del ruolo del profitto.

Se l’economica utilitaristica contemporanea ha fissato l’obiettivo della sua massimizzazione, sostengono, nell’economia di servizio il profitto è “uno strumento che aiuta a realizzare valori e il bene comune”.

In questo contesto, i presuli concludono esortando ad “adottare un atteggiamento universale, globale, in cui Dio e l’ordine morale e naturale da Lui creato raggiungano la preminenza”.

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ZENIT Staff

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