Una donna, l'umanesimo e Cristo

A cinquecentocinquanta anni dalla nascita della beata Camilla Battista Varano

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ROMA, martedì, 3 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il contributo di Antonella Dejure contenuto in Dal timore all’amore. L’itinerario spirituale della beata Camilla Battista da Varano. Atti del Centenario della nascita (1458-2008), a cura del Monastero Santa Chiara di Camerino (Edizioni Porziuncola, Assisi 2009).

 

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Il 550° anniversario della nascita della beata Camilla Battista Varano (1458- 2008) rappresenta una preziosa occasione per richiamare l’attenzione su una delle più interessanti figure del francescanesimo femminile, segnata dagli ideali evangelici di Chiara d’Assisi ma anche dalla nuova sensibilità culturale e spirituale che andava sorgendo tra umanesimo e rinascimento.

Il panorama storiografico intorno alla religiosità in generale, e alla religiosità femminile in particolare, si è da tempo occupato della storia spirituale di questa clarissa, delineando l’iter che porta la nobile Camilla, figlia di Giulio Cesare Varano, principe di Camerino, ad abbandonare la “viveza” e le “allegrezze” della vita di corte in nome di un’esperienza mistico-contemplativa, vissuta all’insegna di quell’umanesimo cristiano che fu parte esso stesso della tensione riformatrice emersa tra la fine del Trecento e i primi decenni del Cinquecento e che si manifestò con forza nell’àmbito delle varie osservanze e, più tardi, della Riforma cattolica.

In particolare Camilla è una creatura dell’osservanza francescana, movimento nato negli ultimi decenni del XIV secolo a Foligno, non lontano dalla signoria camerte, dove il messaggio della precedente generazione di frati spirituali trovò un’efficace concretizzazione nell’opera di fra Paoluccio Trinci. Questi si impegnò nella riforma dell’ordine nell’Italia centrale, almeno fino a quando, nella prima metà del secolo successivo, il fenomeno non trovò una più larga diffusione in tutta la penisola grazie a figure quali san Bernardino da Siena, san Giovanni da Capestrano, san Giacomo della Marca e il beato Alberto da Sarteano.

Nel 1420 Paola Malatesta, formata dagli insegnamenti di san Bernardino, decise di adottare in tutto il suo rigore la primitiva Regula sanctae Clarae, vale a dire il testo normativo di orientamento pauperistico concesso a Chiara d’Assisi sul suo letto di morte da Innocenzo IV nel 1253, fondando a Mantova la prima comunità di Clarisse osservanti. Nel 1425 fu poi la volta di Santa Lucia di Foligno, centro irradiante di riforma in tutta l’Italia centro-meridionale. Nel 1448 un gruppo di ventidue monache parte proprio da Santa Lucia per riformare alla regulare observantia de sancta Chiara, et a regimento et cura de li Frati Minori de la Observantia il monastero di Santa Maria di Monteluce di Perugia, che diventerà uno dei più grandi e famosi monasteri d’Italia, punto di riferimento per tutte le Clarisse osservanti (Memoriale di Monteluce, ed. 1983).

Da Santa Lucia e da Santa Maria di Monteluce il modello di vita monastica de Observantia giungerà, lungo il secolo decimoquinto, in almeno quattro grandi città fuori dell’Umbria, cioè Roma (1451), Firenze (1453), Urbino (1455) e Arezzo (1492), per poi diffondersi ulteriormente nella prima metà del secolo successivo.

Proprio a Urbino nel 1481 Camilla entra nel monastero di Santa Chiara, dove, pochi anni prima, era morta la cugina Elisabetta Malatesti Varano che, diventata clarissa a Santa Lucia di Foligno, era passata a Urbino per dar vita alla nuova fondazione monastica, fortemente voluta dallo stesso signore di Urbino, Federico da Montefeltro. Qui nel 1483, alla presenza del vicario provinciale dell’osservanza Domenico da Leonessa, Camilla fa professione religiosa e muta il nome in quello di Battista, in memoria molto probabilmente di un’altra grande clarissa, Battista da Montefeltro Malatesti che, madre della ricordata Elisabetta e vedova di Galeazzo, signore di Pesaro, aveva concluso anche lei la sua vita nel monastero di Santa Lucia di Foligno, poco prima che vi entrasse la figlia.

Desiderosa di portare avanti l’azione di rinnovamento spirituale promossa dall’osservanza, Camilla, ormai suor Battista, sempre supportata dalla guida di alcuni dei più importanti osservanti del tempo, come Domenico da Leonessa, Pacifico da Urbino e Pietro da Mogliano, darà vita a nuove fondazioni femminili: nel 1484 introduce la prima regula sanctae Clarae nel monastero di Santa Maria Nova di Camerino. Nel 1506 riesce a fondare per volontà di Giulio II una comunità a Fermo e nel 1521, appena tre anni prima dalla morte, a San Severino.

Da Foligno a Monteluce, da Monteluce a Urbino, da Urbino a Camerino: sembra questo il filo rosso che collega la Varano a quel vasto movimento di riforma della spiritualità femminile francescana, in cui il recupero della memoria di Chiara d’Assisi in tutto il suo carisma e vigore ebbe non solo delle forti implicazioni religiose e sociali, ma si tradusse anche in un programma di rinnovamento culturale, in virtù di un desiderio pienamente umanistico di riscoperta della cultura antica e biblica e di studio filologico della tradizione testuale francescana e specificatamente clariana; un desiderio che non era indipendente dall’idea di un ritorno alla purezza delle origini ricercata dalle Clarisse sul versante spirituale.

Ancora una volta i centri di nascita e di sviluppo di questo interesse filologico-culturale sono da individuarsi in Santa Lucia di Foligno e in Santa Maria di Monteluce di Perugia, dove la presenza di numerose puellae licteratae, provenienti dai ceti dirigenti cittadini, garantiva il mantenimento nei monasteri della stessa vita culturale propria degli ambienti cortigiani e signorili di provenienza, con i quali i rapporti non si interruppero mai né sul piano delle relazioni individuali né sul piano più latamente culturale.

Il notevole interesse delle Clarisse per l’antichità classica, per la Bibbia e la cultura patristica, per una certa letteratura volgare, oltre che, ovviamente, per scritti specificatamente francescani si tradusse così nella realizzazione di biblioteche e soprattutto di scriptoria, veri e proprii centri di produzione libraria, dove dalla seconda metà del Quattrocento si lavorava alacremente copiando e volgarizzando testi, che poi, attraverso il circuito dei monasteri di Clarisse osservanti, si diffondevano per l’intera penisola italiana.

Una rete intellettuale, dunque, che permetteva la diffusione dell’ideale della riforma osservante tra le Clarisse, tramite una realtà libraria quasi esclusivamente in volgare che, in quanto tale, non può non essere posta in stretta relazione con problemi culturali legati all’accesso delle donne alla scrittura e all’impiego del volgare nel Quattrocento.

Tra queste monache-umaniste, capaci di comporre versi in greco e latino, conoscitrici di letteratura sacra e profana, di teologia e di filosofia, spesso competenti di musica e di astrologia, abili nell’intendere e scrivere libri, c’è anche Camilla Battista Varano. Prima dell’esperienza contemplativa la nostra suora fu – non si dimentichi – una principessa del Rinascimento, educata agli studia humanitatis in quel cenacolo di vita intellettuale italiana che fu la corte dei Varano, dove soggiornarono tra gli altri il filosofo Tommaso Seneca, il maestro di retorica e logica Giovanni da Luca, poi passato allo Studium bolognese, Lorenzo il Cretico, insegnante di lingua greca, e numerosi umanisti, tra cui il Filelfo e il Cantalicio, che mantennero sempre un vivo contatto con Firenze, come dimostra la corrispondenza epistolare tra alcuni di essi e Coluccio Salutati.

Questa formazione culturale sopravvive in suor Battista oltre le grate del monastero. Così come in lei si mantiene vivo il ricordo di alcune donne che avevano profondamente influito sulla cultura e sulla vita di casa Varano: Costanza Varano di Piergentile, autrice di raffinate Epistole ed Orazioni e nipote di Battista Montefeltro Malatesti, riconosciuta quest’ultima dal Bruni, dal Barzizza e dall’Aretino come una delle maggiori letterate del secolo; Gi
ovanna Malatesti, moglie di Giulio Cesare Varano, che per prima educò la piccola Camilla ai valori dell’arte e delle lettere e che le fu più che madre, pur non essendolo naturalmente; Isabella d’Este Gonzaga, una delle più gentili e raffinate donne del Rinascimento italiano, che nel 1494 visse per breve tempo a Camerino.

Forte di questo retroterra culturale suor Battista non trova difficoltà a trasferire la sua elevatissima esperienza mistico-teologica in una vasta produzione letteraria, intesa come perfetta sintesi tra cultura umanistica e cultura cristiana, tra pensiero classico e Sacra Scrittura, sempre nutrita dalla tradizione patristica e, soprattutto, dalla letteratura mistica francescana, oltre che dall’esempio di Iacopone da Todi, di Dante e di Petrarca.

Il volgare, più che il latino, risulta essere anche per la Varano, come per le Clarisse umbre, lo strumento espressivo maggiormente privilegiato in tutto il suo cammino letterario; un cammino di cui si ricordano in questa sede solo le tappe fondamentali rappresentate dalle opere tologico-introspettive, come i dialoghi intitolati i Ricordi di Cristo e la sua autobiografia, la Vita Spirituale; dalle opere teorico-dottrinali, quali i Dolori mentali di Cristo; da alcuni esperimenti poetici, come la lauda in ottave Quando serà che possa contemplare e una raccolta di distici latini; dalla prosa storico-agiografica del Felice transito del beato Pietro da Mogliano.

Quest’ultimo testo si rivela poi una testimonianza particolarmente preziosa, perché costituisce uno dei pochissimi autografi della Varano che ci fornisce uno splendido e per l’epoca raro esempio di scrittura femminile, fonte preziosa per indagini tanto linguistiche quanto paleografiche. In questo senso l’edizione critica del Transito, accompagnata da una raffinatissima analisi codicologica e testuale, recentemente pubblicata dal professor Adriano Gattucci (Edizioni del Galluzzo 2007), può essere considerata non solo il punto di partenza di una serie di iniziative culturali promosse per tutto il 2008 dalla Scuola di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma e dalle stesse Clarisse del monastero di Santa Chiara di Camerino, ma soprattutto il più importante omaggio da parte degli studiosi a questa “mistica scrivente”.

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ZENIT Staff

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