Ovociti e spermatozoi da cellule staminali

di Chiara Mantovani*

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ROMA, lunedì, 2 novembre 2009 (ZENIT.org).- Sempre più spesso siamo investiti da notizie clamorose sulle ultime scoperte scientifiche, il più delle volte capaci di suscitare speranze per  la cura di malattie. L’ultima, di pochi giorni orsono, sembra offrire una nuova possibilità di ottenere ovociti e spermatozoi partendo da cellule staminali.

Cerco di capire, dai lanci di agenzia e dalle notizie giornalistiche, i fatti e di distinguerli dalle aspettative. Con molta prudenza, perché il linguaggio giornalistico ha caratteristiche diverse dal linguaggio scientifico e non è facile trarre indicazioni utili ad esprimere giudizi attendibili a partire dalle notizie pubblicate.

Dunque la rivista scientifica Nature ha annunciato che una équipe della Stanford University School of Medicine, diretta da Renee Reijo Pera, ha trattato cellule staminali embrionali con proteine note per stimolare la formazione germinale. Ovvero ha “convinto” alcune di quelle cellule a specializzarsi in ovociti (cellule uovo) e/o spermatozoi.

Solo un 5% delle cellule così trattate si sono trasformate in cellule germinali e per loro è stato possibile studiare come e tramite quali geni, e – immagino – altri fattori, questo sia accaduto. La ricerca avrebbe contribuito a chiarire il meccanismo di differenziazione delle cellule riproduttive nell’uomo, finora studiato solo nei topi.

Primo commento: tutti i lanci di agenzia sono concordi nel dichiarare che la sperimentazione è stata fatta con cellule staminali embrionali. E così si apre il primo e più rilevante problema. Se sono state usate cellule embrionali, un embrione è stato “smontato” e le sue cellule usate. Non mi sembra irrilevante ricordare che di un embrione allo stadio di blastocisti, quello in cui si prelevano le staminali, non si vedono altro che cellule. Non posso cioè dire “gli ho prelevato un po’ di cellule”. Tutto quello che lui è si manifesta attraverso cellule, tutta la sua corporeità è fatta da un mucchietto di cellule per noi assolutamente indistinguibili. Ognuna ha un suo preciso destino e progettualità, ma noi non siamo in grado di riconoscerlo. E questo non significa che non ci sia (anzi, siamo assolutamente certi che c’è, poiché se lo lasciamo in pace risulterà evidente anche solo con un’occhiata che è un bambino), ma solo che noi “pesiamo gli atomi con la stadera”, ovvero non abbiamo capacità di indagine sufficientemente accurata.

La prima valutazione è dunque di ordine etico? A dire il vero, no. Accantono temporaneamente il giudizio etico sulle tecniche di fecondazione artificiale, negativo poiché non condivido la loro intrinseca prospettiva meccanicistica e l’antropologia che le giustifica.

Lascio il campo ad alcuni dubbi soprattutto di natura metodologica, scientifica. Perché usare staminali embrionali, quando altri studi, seri e certi, hanno già mostrato la potenzialità di molte cellule somatiche ad essere “riprogrammate” ad uno stadio più indifferenziato? Non si poteva partire da lì a tentare di ottenere spermatozoi e ovociti? I commenti italiani alla ricerca pubblicata enfatizzano che sia un passo decisivo contro la sterilità. Ma che se ne fa un soggetto sterile di un embrione da cui ricavare gameti? Se vuole ovociti e spermatozoi suoi (e dunque figli biologicamente suoi, in seguito) deve utilizzare cellule proprie: l’alternativa più logica resta quella della fecondazione eterologa. Un embrione riprogrammato non può essere “suo”, perché se fosse stato possibile ottenerne almeno uno sarebbe meglio impiantare quello! E se la ricerca aveva come unico scopo quello di studiare i meccanismi che intervengono nella maturazione delle cellule germinali, perché mai distruggere embrioni umani? Forse perché quelli degli animali (le grandi scimmie antropomorfe, ad esempio, in Spagna) hanno visto riconoscersi ultimamente alcuni diritti umani – tra cui quello alla vita – che però non si riconoscono a tutti gli umani?

Continuano i dubbi: che si voglia provare ad avere un qualche primo microscopico “successo” con queste tanto elogiate, ma finora inutili e pericolose, cellule staminali embrionali? Visto che finora non c’è al mondo un protocollo serio e valido di uso delle embrionali; visto che la scorsa settimana Hwang Woo-suk, il biologo sudcoreano che ha preso in giro mezzo mondo (non solo scientifico) con la falsa clonazione umana, è stato definitivamente condannato per truffa; visto che la bufala coreana fu pubblicata anche dalla stessa rivista Nature (cfr. http://www.nature.com/news/2004/040212/full/news040209-12.html), vuoi vedere che si è sparsa un’ansia di novità e una smania di riscatto?

Poi mi assale un altro pensierino, molto poco bioetico. La Standfort University è tra le maggiori università private degli Stati Uniti; si trova vicino a Palo Alto, California, nel cuore della Silicon Valley. La California è stata la maggiore finanziatrice della campagna elettorale del presidente Obama, che come primo atto (o quasi) ha sbloccato i finanziamenti federali, cioè statali, alla ricerca sulle staminali embrionali. Magari, con l’aria di crisi che c’è e anche a causa degli insuccessi fin qui ottenuti, anche i privati hanno rallentato il flusso di dollari ai ricercatori della seconda università al mondo, voluta da Jane e Leland Stanford per ricordare il loro figliolo, morto di tifo a Firenze. Magari, bisogna mostrare che con i nuovi soldi arrivati non si è stati con le mani in mano.

A parte gli entusiasmi di copione, a che cosa è servita questa individuazione di alcuni dei geni implicati nella specializzazione di staminali embrionali in ovociti e spermatozoi? Dice il prof. Flamigni: nel futuro si potrà far produrre gameti alle cellule del corpo della persona infeconda. Oso sussurrare: allora perché abbiamo cominciato dalle staminali embrionali?

Ma lo studio è importante anche per capire come si fa a convincere una cellula non a raddoppiare i propri cromosomi e poi dividersi in due cellule (come fanno normalmente tutte tranne, appunto, le staminali che restano tali e i gameti), bensì a dimezzare i propri geni e diventare così quella metà di materiale genetico che serve per unirsi all’altro gamete e ricominciare la vita! Verissimo. Laicisticamente parlando, quanti embrioni siamo disposti a dichiarare sacrificabili per questa travolgente possibilità di manipolare la procreazione? La domanda non è accademica e ripropone il dilemma dell’utilizzo delle conoscenze e delle possibilità tecniche. Quanti abitanti di Tuskegee, Alabama, sono serviti per imparare tutto del decorso della sifilide non curata? Anche agli afroamericani è occorso parecchio tempo per vedersi riconosciuto lo status di persone umane. Non sarei felice se tra qualche decennio un Presidente dovesse chiedere scusa agli embrioni umani per come sono stati utilizzati in laboratorio. Clinton ha chiesto scusa per  Tuskegee nel 1997, ma aveva davanti a sé, durante il suo discorso, pochi sopravvissuti dei protagonisti: gli altri non lo potevano ascoltare, erano morti da anni.

Allora è ritornato impellente l’argomento etico. E di nuovo mi accorgo che la sfida è antropologica.

Chi è l’embrione?

Sono passati molti anni di dibattiti bioetici, ma da qui non ci siamo ancora mossi: tutto dipende da chi pensiamo di essere, da piccoli e da grandi. Comunque ha quasi ragione il prof. Flamigni: “La Chiesa condanna certamente questa tecnica in quanto usa cellule embrionali. Ma condannerà anche l’uso di cellule mature, ma per un’altra ragione, perché si offende la dignità della procreazione, ossia nella mancata coincidenza tra vita sessuale e riproduzione”. Le argomentazioni sono appropriate, il “quasi” sta nel senso che non è la Chiesa a condannare. Basta il senso dell’umano e il senso di una ricerca scientifica che ha coscienza dei limiti della propria competenza.

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*La dott
.ssa Chiara Mantovani è vicepresidente dell’AMCI (Associazione Medici cattolici Italiani) e membro del Consiglio Direttivo di Scienza & Vita.

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ZENIT Staff

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