Giovani non praticanti in cerca della Verità

di padre John Flynn, LC

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ROMA, lunedì, 2 novembre 2009 (ZENIT.org).- La necessità di interessare i giovani al Cristianesimo è una questione che preoccupa praticamente tutti i responsabili ecclesiastici di oggi. Non è un segreto che una buona parte dei giovani non si sente appartenenti ad alcuna Chiesa, ma questo non significa che sia insensibili alla religione, secondo una recente pubblicazione.

Nel libro dal titolo “Lost and Found: The Younger Unchurched and the Churches That Reach Them” (B and H Publishing Group), gli autori Ed Stezzer, Richie Stanley e Jason Hayes, prendono in considerazione i ventenni americani, per vedere come alcune Chiese tentano di entrare in sintonia con una generazione notoriamente riluttante ad impegnarsi in una religione istituzionale.

Nella loro ricerca, ai fini della loro analisi, suddividono i non praticanti in diverse categorie. Alcuni non hanno mai partecipato a organizzazioni religiose, altri hanno abbandonato la pratica della religione dopo l’infanzia, e altri ancora rappresentano le categorie di chi è più ostile o di chi è più aperto alle Chiese. Non è uno studio incentrato su una Chiesa cristiana specifica, quanto piuttosto uno sguardo su come i giovani interagiscono con il Cristianesimo.

I dati contenuti nel libro sono tratti da diversi studi condotti dal 2006 al 2008. Il campione è composto di 20-24enni e di 25-29enni secondo un rapporto di circa 40/60. Più della metà sono laureati, mentre otto su nove hanno intrapreso una qualche forma di istruzione post-secondaria.

Come risulta anche da altri studi sui giovani, gli intervistati hanno spesso risposto di sentirsi spirituali, ma di non considerarsi proprio religiosi. Infatti, il 43% dei non praticanti si è definito spirituale, mentre il 31% si è detto spirituale e religioso, sebbene senza alcuna frequentazione regolare in chiesa.

Risulta inoltre che più del 60% di loro frequentava la chiesa settimanalmente da bambini. Pertanto apparirebbe più corretto definire molti dei non praticanti come ex praticanti, osservano gli autori.

Il libro entra poi nel merito di ciò che i non praticanti effettivamente credono. Quattro su cinque di loro credono nell’esistenza di un essere supremo, mentre tre su quattro ammettono che l’esistenza di Dio incide o inciderebbe sulla loro vita.

Questo dato iniziale è stato poi ulteriormente qualificato a seconda di ciò che i non praticanti intendono per Dio. Mentre la maggioranza degli intervistati ha risposto di credere nel Dio descritto nella Bibbia, il 58% ha altresì affermato che il Dio biblico non è per nulla diverso dagli dei o esseri spirituali adorati da altre religioni come l’Islam o il Buddismo.

Effettivamente, l’ambito in cui vi è stata maggiore sintonia tra i giovani spirituali e quelli non spirituali, è nell’idea che il Dio della Bibbia non si differenzia dagli altri dei.

“Spirituali o non spirituali, la maggioranza concorda su un Dio blando”, osservano gli autori. “In altre parole, un’abbondante confusione spirituale permea il sistema delle convinzioni dei giovani non praticanti”.

In maggiore dettaglio

Quando poi si va a distinguere tra i gruppi etnici, risulta che il 98% dei giovani afro-americani non praticanti sostiene l’esistenza di Dio, mentre per gli ispanici la cifra è dell’84%. Invece, solo il 76% degli anglo-sassoni non praticanti dice di credere in Dio.

Ancora più interessanti sono i dati sulle credenze, messi a confronto con i livelli di istruzione. Gli intervistati laureati sono risultati meno propensi a credere in Dio: solo il 79% di loro, rispetto al 94% dei diplomati o con un istruzione inferiore. Similmente, solo il 53% dei più istruiti ha convenuto che l’unico Dio esistente è quello della Bibbia, mentre tale convinzione è stata espressa dall’85% dei meno istruiti. Un minor grado di istruzione è risultato legato anche alla maggiore convinzione che l’esistenza di Dio influisca sulla propria vita.

Lo studio prosegue poi esaminando il pensiero su Gesù. Sono state poste due domande: se si credeva nella resurrezione, e se la fede in Gesù era positiva per la vita di una persona.

Circa i due terzi dei non praticanti hanno concordato sul fatto che Gesù è morto e tornato in vita. E il 77% degli intervistati ha risposto affermativamente alla seconda domanda. Quindi – conclude lo studio – il fatto che la maggioranza dei giovani non si avvicina alla Chiesa non è dovuto a un problema di fede in Dio o in Gesù.

Quando si è trattato invece di questioni inerenti la Chiesa, le risposte non sono state cosi favorevoli. Mentre il 73% ha concordato che la Chiesa cristiana è in generale una cosa positiva per la società, circa due terzi ha accusato i praticanti di essere ipocriti, e il 90% ha sostenuto di avere un buon rapporto con Dio pur non frequentando la Chiesa.

Secondo gli autori, non sorprende che i non praticanti manifestino ostilità rispetto alle Chiese. D’altra parte i sondaggi hanno rivelato che la maggioranza degli intervistati risultano essere aperti ad ascoltare gli amici che parlano del Cristianesimo. Infatti, l’89% di loro ha dichiarato di essere disposto a lasciare che qualcuno gli racconti del Cristianesimo.

Inoltre, poco meno della metà ha affermato che se un amico diventasse cristiano, ciò avrebbe un effetto positivo sulla loro amicizia. Ciò non toglie, tuttavia, che il 46% si è riconosciuto nella frase “i cristiani mi danno ai nervi”.

Prendere contatto

L’ultima parte del libro esamina come alcune Chiese stanno cercando di attirare i non praticanti. Gli autori identificano nove caratteristiche comuni alle diverse forme di questi tentativi.

— Creare una comunità più unita attraverso una sana dinamica dei piccoli gruppi, che consente alle persone di entrare in contatto con gli altri.

— Consentire ai giovani di essere protagonisti, attraverso attività di volontariato.

— Dare opportunità di culto che tengano conto sia della cultura che della dovuta riverenza a Dio.

— Stabilire efficaci modalità di comunicazione, che possono variare nello stile, ma che sono più colloquiali che ammonitive.<br>
— Apertura ad usare il linguaggio della tecnologia, familiare ai giovani.

— Costruire rapporti intergenerazionali, collegando i giovani agli adulti che li stimolano a maturare.

— Promuovere leadership oneste e autentiche.

— Esercitare leadership nella trasparenza e nel personale senso di umanità.

— Adottare un approccio di squadra nell’esercizio del ministero.

Riguardo alla necessità di dare ai giovani l’opportunità di fare volontariato, gli autori osservano che attraverso queste attività caritatevoli, non solo i destinatari sono aiutati, ma gli stessi volontari vede cambiare la propria vita. I giovani di oggi hanno un grande desiderio di cambiare il mondo – aggiungono gli autori – e vogliono essere parte di questi progetti.

Nel passato, molte Chiese protestanti richiedevano alle persone di far parte della Chiesa prima di consentire loro lo svolgimento di attività di volontariato. Tuttavia, gradualmente – spiega il libro – le Chiese hanno aperto alla possibilità di fare attività prima di diventare fedeli. Molti di queste persone, quindi, si uniscono ai gruppi della chiesa, dopo aver stabilito il contatto iniziale attraverso le attività di volontariato.

Comunicare

Gli autori trattano anche, in dettaglio, delle moderne tecniche informatiche utilizzate per attirare i giovani. Fino a poco tempo fa – sostengono – erano poche le chiese che avvaloravano a sufficienza l’impatto delle innovazioni nella comunicazione.

Che una chiesa sia presente on-line può cambiare il modo in cui questa viene considerata, può aiutare a sfatare miti e a facilitare l’adesione. Utilizzare videoclip, social network e altri strumenti, consente ai non praticanti di vedere le persone credenti e il ruolo che la fede riveste nella loro vita.

La t
ecnologia deve essere al servizio del Vangelo – avvertono gli autori – nel senso che deve essere usata per veicolare un messaggio e non per essere uno strumento fine a se stesso.

In conclusione gli autori auspicano un maggiore impegno per connettere i giovani a Dio e alla Chiesa. Se si riuscisse ad ottenere questo, allora si potrebbe anche sperare di cambiare il mondo. I giovani sono alla ricerca di cose che si trovano nel Cristianesimo. Per questo occorre trovare il modo per riavvicinarli alla Chiesa.

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ZENIT Staff

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