Ebrei del tempo di guerra lodano gli italiani che li salvarono

Gli ultimi sopravvissuti all’Olocausto raccontano le loro storie

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di Edward Pentin

ROMA, domenica, 18 ottobre 2009 (ZENIT.org).- E’ soprattutto grazie al film “Schindler’s List” che la maggior parte della gente è venuta a conoscenza della vicenda di Oskar Schindler, l’industriale tedesco che salvò 1.200 ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale.

Ci sono tuttavia altre storie non raccontate di atti di eroismo simili del tempo di guerra avvenuti in tutta Europa, molti in Italia. Anche se non sempre delle dimensioni dell’opera di Schindler, sono stati comunque notevoli atti di coraggio disinteressato.

Un nuovo libro rivela ora quanti italiani comuni, molti dei quali sacerdoti e religiosi, aiutarono a salvare gli ebrei dall’Olocausto. Il testo si intitola “It happened in Italy” (“Accadde in Italia”) ed è stato scritto da Elizabeth Bettina, una newyorkese italoamericana che registra testimonianze affascinanti di sopravvissuti la cui vita è stata salvata da italiani di ogni ceto sociale.

La sua ricerca è iniziata quando, durante i viaggi estivi a casa della nonna in Campania, ha visto una fotografia di un rabbino in una chiesa. Ha saputo che molti ebrei stranieri erano vissuti nella zona, ed essendo cresciuta con molti ebrei americani a New York era ovviamente curiosa di sapere perché. In seguito ha scoperto che nel paese c’era un campo di internamento per ebrei durante la guerra, uno dei tanti in Italia.

Dopo essere stata incoraggiata da un amico, ha quindi deciso di capire quanti ebrei vennero salvati in Italia – secondo alcuni storici 32.000 su 39.000.

E’ interessante notare che il tasso di sopravvivenza degli ebrei vissuti in tempo di guerra in Italia è uno dei più alti d’Europa, e tra gli italiani più eroici c’è stato Giovanni Palatucci, che si pensa abbia salvato la vita di circa 5.000 persone. A differenza di Schindler, che sopravvisse alla guerra, Palatucci morì a Dachau ad appena 36 anni.

Aiutare i vicini

La Bettina sottolinea che non tutti gli italiani rischiarono la propria vita per salvare i vicini ebrei, ma l’eroismo fu comunque notevole. “Non so quante volte ho sentito dire: ‘Tutto il paese sapeva che eravamo ebrei e nessuno ci ha denunciati’”.

La politica italiana durante la guerra prevedeva che gli ebrei nati nel Paese potessero rimanere in casa propria, mentre quelli che erano arrivati prima della guerra venivano internati. I campi, tuttavia, erano in gran parte umani: il libro mostra gli ebrei vestiti normalmente, che sorridono e suonano strumenti musicali. La loro vita fu messa veramente in pericolo quando l’Italia si unì agli Alleati alla fine della guerra e la Germania invase il Paese.

Molti vennero deportati nei campi di concentramento, insieme ai loro parenti che vivevano altrove in Europa. “Avvennero cose molto brutte e le riconosco nel libro”, ha affermato l’autrice. “Qualcuno ti tradiva, non ti aiutavano anche se potevano o non avevi fortuna – non c’era nessuno che ti potesse aiutare perché viveva altrove”. Ci furono “molte, molte ragioni per cui in Italia sopravvissero così tanti ebrei, e il motivo è che qualcuno li aiutò”, ha aggiunto.

La Bettina spiega che chi salvò gli ebrei rischiando la propria vita (se fosse stato scoperto sarebbe stato senz’altro fucilato, affermano i sopravvissuti) rientrava in uno di cinque gruppi di individui: il primo tipo era l’italiano comune che si rifiutava di informare le autorità o nascondeva gli ebrei. Il secondo era l’ufficiale di polizia che magari li avvertiva che qualcuno sarebbe tornato ad arrestarli il giorno dopo, dando quindi loro il tempo di fuggire. Il terzo era una persona che lavorava per le autorità che procurava documenti falsi. Il quarto era il sacerdote o la suora del luogo che li ospitava o li aiutava a trovare un falso certificato di Battesimo.

“Avevano ricevuto un ordine ufficiale? Non lo so”, ha detto la Bettina quando le è stato chiesto se Papa Pio XII poteva aver dato istruzioni di salvare gli ebrei. “Ma molte delle persone che ho intervistato hanno detto che sono stati un sacerdote o una suora ad aiutarli”.

Il quinto gruppo era rappresentato da chi lavorava nei campi di internamento e cercava di rendere la vita più umana possibile.

Uscire allo scoperto

Ciò che aumenta l’interesse per questa storia è il fatto che “It Happened in Italy” è il risultato di innumerevoli coincidenze – di persone che sono venute in contatto in qualche modo con la Bettina e hanno raccontato intense storie di autentica gratitudine nei confronti degli italiani che salvarono la loro vita – o quella di un loro parente stretto – durante la guerra. Un serie di ulteriori coincidenze le ha permesso di portare un gruppo di sopravvissuti in Vaticano per un’udienza speciale con il Papa. “Chiunque venga in contatto con questo libro ha un modo divertente di farlo”, ha detto l’autrice.

Il progetto non è iniziato con lo scopo di scrivere un libro, ma ha acquisito vita propria man mano che sempre più persone si presentavano con testimonianze da tutto il mondo. “Non pensavamo che la questione potesse essere così vasta, semplicemente andava avanti”, ha spiegato la Bettina, insistendo sul fatto che dietro al progetto non c’è alcun obiettivo nascosto. “Non ho un’agenda, tranne il fatto di assicurare che queste storie siano vere”, ha dichiarato. “Voglio che queste persone che mi hanno raccontato le loro storie siano ascoltate. Voglio che abbiano questa soddisfazione”.

Nonostante tutto, resta una domanda persistente: perché queste persone hanno impiegato tanto tempo per farsi avanti ed esprimere la propria gratitudine? La Bettina crede che molti sopravvissuti ebrei fossero così schiacciati da ciò che era successo che inizialmente volevano solo buttarselo alle spalle. Dice che è solo quando sono usciti film come “Schindler’s List” che hanno iniziato a pensare: “E io? E la mia storia?”. Altri credono che sia per il fatto che gli ebrei non vogliono che all’Olocausto sia associato niente di buono.

Catalizzatore

Durante una conferenza stampa svoltasi a Roma il mese scorso per lanciare il libro, l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, ha confessato che neanche lui conosce la ragione, ma che forse tutti loro avevano bisogno di una persona come Elizabeth Bettina per esprimere la propria gratitudine.

L’ambasciatore ha anche detto di essere perplesso per il fatto che gli ebrei italiani, che avevano radici in Italia e sono stati salvati durante la guerra, “non siano sempre molto desiderosi” di esprimere la loro gratitudine. A suo avviso, potrebbe avere qualcosa a che fare con una storia di relazioni difficili tra gli ebrei romani e il Vaticano, ma ha sottolineato il “fenomeno molto strano” di ebrei che hanno trovato rifugio in monasteri ma “esprimono ancora idee piuttosto anticlericali”.

La Bettina dice che il suo libro potrebbe diventare un film, anche se sottolinea che non è mai stata sua intenzione. “Non sono una scrittrice, non ho mai scritto un libro prima e […] non ho mai girato un film o un documentario”, ha spiegato. Una delle sue motivazioni principali, piuttosto, è il fatto che c’è sempre meno tempo per raccontare queste storie. “Tutte le persone hanno detto: ‘Dopo di noi, non c’è nessuno’”, ha ricordato. “Sono gli ultimi della generazione”.

L’obiettivo, ha aggiunto, non era far sembrare grande l’Italia, ma mostrare che ci possono essere persone buone che fanno la cosa giusta, e trasmettere un insegnamento importante: se non si è indifferenti, le cose possono essere diverse. “Qualcuno non è stato indifferente”, ha concluso. “Ha aiutato delle persone, e queste persone sono sopravvissute”.

[Traduzione dall’inglese di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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