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– S. E. R. Mons. Ernesto MAGUENGUE, Vescovo di Pemba (MOZAMBICO)
La principale ricchezza del continente è rappresentata dalla sua popolazione, principalmente dai giovani, dagli adolescenti e dai bambini. L’Africa è un continente con la popolazione prevalentemente più giovane del mondo.
La gioventù africana costituisce un tesoro inestimabile che non può essere dimenticato o sprecato se si vuol garantire un futuro di sviluppo, riconciliazione, giustizia e pace duraturi in Africa.
Molti giovani sono spinti alla pratica della violenza, alla prostituzione, al traffico e al consumo di stupefacenti, alla criminalità organizzata, ai conflitti partitici, etnici e tribali nonché al fondamentalismo religioso e alle sette sataniche, tra gli altri.
Alla luce di tutto questo, vorrei suggerire:
– Da parte dell’Assemblea sinodale, un messaggio forte di fiducia e di incoraggiamento a giovani, adolescenti e bambini in quanto attori essenziali a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace.
– Denunciare come una delle ingiustizie più eclatanti l’emarginazione, la manipolazione, la strumentalizzazione e la violazione dei diritti dei piccoli.
– La necessità di uno studio serio sulla questione della gioventù africana, avvalendosi delle scienze umane, per individuare i suoi problemi più attuali e trovare le soluzioni efficaci da proporre.
– Le strategie pastorali della Chiesa e le politiche dei governi devono essere concepite tenendo in considerazione i giovani per poter rispondere così alle loro necessità non solo materiali ma anche spirituali.
– La sfida per la Chiesa, per i governi e per la società africana consiste in generale nell’individuare il modo di stimolare e mettere a frutto la grande potenzialità che la gioventù africana rappresenta.
– Vorrei sottolineare la necessità dell’educazione e della formazione integrale dei giovani che prenda in considerazione il contesto e la loro cultura in modo da renderli capaci di essere veri servitori della riconciliazione, della giustizia e della pace.
– Rivedere i contenuti e i metodi di catechesi, nonché dei rispettivi catechismi, soprattutto del catecumenato, in modo da includervi la dottrina sociale della Chiesa, una formazione della coscienza critica, l’amore per la vita, il rispetto e la tutela della natura.
– L’urgenza di una pastorale della Salute, dal momento che la maggior parte dei bambini e degli adolescenti sono cresciuti in ambienti difficili caratterizzati da famiglie devastate, ostilità, guerre, violenze e violazioni dei diritti fondamentali che hanno lasciato ferite profonde nell’anima.
– S. E. R. Mons. Joachim KOURALEYO TAROUNGA, Vescovo di Moundou (CIAD)
Nella mia lingua materna un proverbio dice: “Proclamare la carità a parole la rende obsoleta”. Ma un altro dice: “Il benefattore che provvede tutti i giorni alle necessità dei bisognosi li rende pigri”. Le sfide della riconciliazione, della giustizia e della pace in Africa sono enormi e le loro risposte complesse e costose come abbiamo appreso dall’intervento di mons. Rodolphe Adada sul Darfur. La vastità e la complessità dei drammi e delle tragedie in Africa esigono una solidarietà internazionale. Ed è così, perché il fondamento dell’impegno delle Chiese in Africa in tutti i campi, l’educazione, la sanità, lo sviluppo rurale, i mezzi di comunicazione, l’educazione civica e la difesa dei diritti umani fondamentali attraverso le Commissioni Giustizia e Pace, dipende fortemente dagli aiuti delle Chiese dell’Europa e dell’America del nord. Nel Ciad, negli ultimi anni, questi aiuti sono drasticamente diminuiti e abbiamo preso coscienza dell’effetto perverso della dipendenza. Per correggere il male, si è prescritto il rimedio di mobilitare le risorse locali. Ma da dove vengono queste risorse locali? Certo dal contributo dei fedeli, ma questo contributo è assai modesto, addirittura insignificante, se paragonato alla vastità dei bisogni. Per garantire quello che manca, senza il quale nessun’opera può funzionare, ci si rivolge agli organismi internazionali, la cui filosofia e i cui obiettivi non sono sempre compatibili con le nostre convinzioni. In tal modo la Chiesa in Africa sembra una madre di famiglia sola che deve prostituirsi per nutrire, alloggiare, educare e curare i suoi numerosi figli.
La Chiesa in Africa deve proclamare la riconciliazione, la giustizia e la pace. Ma deve farlo con le opere. Per realizzarle occorrono i mezzi e per ottenerli non deve ridursi a elemosinarli a qualsiasi prezzo.
– S. E. R. Mons. Servilien NZAKAMWITA, Vescovo di Byumba (RWANDA)
La Chiesa in Rwanda, nella sua pastorale di riconciliazione, giustizia e pace dopo i tragici avvenimenti del genocidio dei Tutsi e di altre vittime della guerra e in seguito alle sfide che ha incontrato e che in parte ha superato, è convinta che l’opera della riconciliazione sia un’iniziativa di Dio. È persuasa allo stesso tempo che Dio ha deciso di collaborare con l’uomo per realizzare questo progetto di riconciliazione. Una tale convinzione è dovuta soprattutto alle esperienze e alle testimonianze di riconciliazione che noi tocchiamo con mano ogni giorno in tutto il paese, nelle comunità ecclesiali di base, nelle carceri, in occasione di preghiere di guarigione, ecc.
Quando si è riunita la prima assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi, la Chiesa del Rwanda era assente per i motivi che conoscete. I vescovi delegati della Conferenza episcopale del Rwanda sono stati bloccati dallo scatenarsi dei massacri genocidi su larga scala del 7 aprile 1994. In tre mesi più di un milione di persone innocenti sono state messe a morte davanti alle telecamere della comunità internazionale. I soldati della UNAMID dell’ONU che erano sul posto hanno ricevuto l’ordine di ritirarsi, abbandonando la popolazione in balia degli assassini armati di machete, di granate, di fucili e di altre armi…
All’indomani di questa carneficina, quando la situazione è stata presa in mano dalle nuove autorità costituite, la Chiesa cattolica ha avviato una pastorale di riconciliazione.
Si sono ottenuti risultati notevoli e testimonianze di confessioni, di perdono e di riconciliazione. Le stesse autorità civili hanno adottato questo metodo “Gacaca” per organizzare tribunali popolari sulle colline, che hanno permesso di accelerare i processi di numerosi prigionieri.
La Commissione Giustizia e Pace in collaborazione con altre Commissioni e altri organismi della pastorale, hanno dato vita a questo processo di riconciliazione grazie a diversi programmi di educazione ai valori e di formazione degli agenti di riconciliazione con metodi idonei.
In questa pastorale della riconciliazione la Chiesa cattolica non opera da sola, ma collabora a stretto contatto con altre confessioni religiose e con le istituzioni pubbliche e private che si occupano della tematica della riconciliazione dopo il genocidio, quali la Commissione nazionale per l’unità e la riconciliazione, la Commissione nazionale di lotta contro il genocidio e la Commissione nazionale per i diritti umani, per citarne alcune.
Vi sono inoltre casi di traumi psicologici, di handicap fisici e mentali, di sofferenze di ogni tipo. Le piaghe del cuore si rimarginano con difficoltà, le basi delle famiglie si sono sbriciolate, provocando una situazione difficile da gestire di orfani, vedove e senza famiglia. Vi sono carcerati che attendono ancora la giustizia per uscire dalla situazione di stallo e tra di loro vi sono certamente degli innocenti.
Occorre segnalare, in quest’opera di riconciliazione, che alcuni agenti di pastorale non hanno ancora raggiunto la libertà interiore, il che non permette loro di adempiere come dovrebbero alla l
oro missione di agenti di riconciliazione. Un programma di inquadramento e di guarigione dovrebbe essere messo a punto con mezzi adeguati.
– S. E. R. Mons. Abraham DESTA, Vescovo titolare di Orrea di Aninico, Vicario Apostolico di Meki (ETIOPIA)
Le donne sono membri impegnati delle nostre Chiese. È fuori dubbio che il loro impegno ne è la testimonianza. Ritengo che, dotate di buona formazione teologica e di formazione nel Codice di diritto canonico e nella dottrina sociale della Chiesa, possano svolgere un ruolo più significativo, oltre alle attività tradizionali che hanno svolto finora quali membri attivi e integrali della Chiesa.
Una tale formazione potrebbe approfondire la propria consapevolezza dei valori riguardanti la maternità in seno al più ampio spettro della storia della salvezza. Potrebbe contribuire inoltre a guidare e arricchire le loro scelte specifiche nella pianificazione e applicazione di azioni strategiche per la riconciliazione, la giustizia e la pace nelle famiglie, nelle piccole comunità cristiane, nelle parrocchie, nelle diocesi e altro ancora.
La loro formazione in teologia, nel Codice di diritto canonico e nella dottrina sociale della Chiesa dovrebbe consentire loro di assolvere il proprio compito specifico e incomparabile nel progettare programmi di catechesi e pastorale adeguati e importanti, in collaborazione con i loro rispettivi pastori e teologi, per i bambini, i giovani, le donne e la famiglia. Dovrebbe permettere loro di sviluppare una consapevolezza e una comprensione più profonde della matrice di ruoli e rapporti in seno alla gerarchia della Chiesa, svolgendo così un ministero adeguato e fondato sulla collaborazione al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace.
Inoltre la loro formazione negli studi teologici e canonici e nella dottrina sociale della Chiesa dovrebbe consentir loro di scoprire fonti e strumenti per mettere a punto importanti programmi di formazione e di sostegno per la riconciliazione, la giustizia e la pace soprattutto a livello della famiglia, delle piccole comunità cristiane, delle associazioni femminili cristiane, dei giovani e delle diverse associazioni di professionisti cristiani.
Il ruolo primario delle donne formate e teologicamente edotte, dovrebbe diventare un catalizzatore di cambiamento nella percezione comune che le persone hanno delle loro madri e sorelle e rafforzare la loro capacità di svolgere il proprio ruolo attivo, ricevuto da Dio, partecipando alla leadership e ai processi decisionali a tutti i livelli della società, per promuovere un’autentica riconciliazione attraverso la giustizia e la pace nella nostra società africana. È importante sottolineare il fatto che senza la piena partecipazione delle donne nei loro diversi livelli e capacità, l’opera di riconciliazione, di giustizia e pace non potrà mai essere completa e portare i frutti desiderati nella nostra Chiesa e nella futura società africana.
– Rev. P. Mamby Dominique BASSE, Sch. P., Superiore Maggiore dei Chierici Regolari Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie in Senegal [Scolopi] (UNIONE DEI SUPERIORI GENERALI)
La pace duratura passa attraverso l’educazione. Questa è una convinzione condivisa dai consacrati che hanno come carisma l’educazione dei giovani.
Questa missione si impone oggi in un contesto in cui l’africano vive inserito in un ambiente economico, psicologico e socio-politico spesso difficile e che alimenta nel giovane tensioni interiori che si traducono esteriormente con comportamenti assolutamente contrari allo spirito di pace e di riconciliazione.
Oggi in Africa la sfida primordiale del nostro tempo è rappresentata dalla persistenza e dalla preminenza della cultura della violenza nel mondo della gioventù e dagli stereotipi che le vengono proposti dai media, dai politici e da tutti quelli che mostrano un apparente “successo sociale”.
La violenza è inoltre vicina al giovane in quanto è presente nelle continue devastazioni del conflitto che distrugge la vita familiare. Di fronte a tutte queste forme di violenze familiari, il silenzio permissivo e l’impunità latente sono i mezzi migliori per provocare rivolte.
Non dimentichiamoci che la povertà che colpisce i giovani è una violenza.
Di fronte a questa situazione, l’educazione alla pace e alla riconciliazione rappresenta un’urgente necessità laddove i consacrati lavorano con i giovani. Spetta a noi consacrati proporre ai giovani l’aspetto migliore della società contemporanea.
Proponiamo quindi al Sinodo:
– che tutte le strutture ecclesiastiche stabiliscano un programma per la gestione dei conflitti dando nuova dinamicità al metodo dell’azione cattolica (VEDERE-RIFLETTERE-AGIRE);
– che vengano istituiti servizi di ascolto nei quali i consacrati, formati alle tecniche di ascolto attivo, siano disponibili ad accogliere i giovani che sentono il bisogno di confessarsi;
– che le congregazioni religiose in comunione con la Chiesa locale costituiscano strutture volte a facilitare l’inserimento professionale dei giovani nonché il loro accesso al lavoro e a stipendi appropriati, attraverso una formazione professionale adeguata, un accompagnamento individuale e una mobilitazione degli attori pubblici, privati e sociali coinvolti;
– che le nostre istituzioni educative promuovano un programma di educazione ai valori fondato sui nostri valori culturali.
– S. E. R. Mons. Manuel António MENDES DOS SANTOS, C.M.F., Vescovo di São Tomé e Príncipe (SÃO TOMÉ E PRÍNCIPE)
Come far sì che la Parola di Dio venga conosciuta, amata e diventi operativa nella Chiesa?
Innanzitutto, dobbiamo creare mezzi che portino tutti i cristiani ad avere accesso alla sacra Scrittura. Per questo è necessaria quella “grande solidarietà” che permetta di ridurre sostanzialmente il prezzo delle Bibbie.
Occorre puntare sullo sviluppo della pastorale biblica.
È necessario far sì che i cristiani a leggano la sacra Scrittura a partire da Gesù Cristo come centro della rivelazione in essa contenuta e luce che illumina ogni pagina del Libro sacro.
Nutriti dalla Parola di Dio, i nostri fedeli possono resistere più facilmente alle seduzioni dei nuovi gruppi religiosi, molti dei quali si servono proprio di una lettura fondamentalista della Bibbia per diffondere le proprie idee.
A partire dalla fede in Gesù Cristo risorto, vincitore del regno del male, possiamo presentare al mondo vie di speranza, di pace, di liberazione; vie che portino alla liberazione dalle paure ancestrali, come quella della stregoneria che semina tanta sofferenza tra i nostri poveri.
La Parola di Dio, letta e proclamata come preghiera, può senza dubbio aiutare a costruire una cultura della famiglia, poiché porta i cristiani a confrontarsi con la Verità e la necessità di una conversione della vita che li conduca a vivere in conformità con le vie del Signore.
La Parola di Dio dà significato alla nostra lotta contro la povertà nel darci la certezza del fatto che ciò che facciamo al nostro fratello, lo facciamo a Cristo stesso.
La Parola di Dio ci rende strumenti di riconciliazione, di giustizia, di pace.
– S.Em.R. Card. William Joseph LEVADA, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (CITTÀ DEL VATICANO)
Le mie osservazioni oggi intendono fornire informazioni e offrire incoraggiamento all’opera delle Commissioni dottrinali delle rispettive Conferenze episcopali africane.
[Testo originale: inglese]– S. E. R. Mons. Matthias N’GARTÉRI MAYADI, Arcivescovo di N’Djaména (CIAD)
La guerra civile è iniziata in Ciad nel 1965 sotto il regime del primo presidente che era cristiano protestante originario del sud, François Tombalbaye. Dal 1979 a oggi la frattura tra il nord e il sud si è consumata sotto i due regimi successivi di Hissein Habré e Idriss Deby Itno, musulmani e originari del nord.
Da oltre 40 anni vi sono stati innumerevoli
tentativi di riconciliazione che non si sono mai conclusi e che non possono essere conclusi.
Dal punto di vista culturale, la maggior parte delle etnie del nord tradizionalmente guerriere considerano la riconciliazione un atto di debolezza. Ne consegue che nessuna riconciliazione è possibile fra i “Goragnes” (la etnia di Hissein) e i “Zaghawa” (quella di Idriss Deby Itno).
Le successive riconciliazioni del potere con le diverse ribellioni si cono concluse a colpi di denaro. Il denaro è diventato il solo movente della riconciliazione e la ribellione ha finito per diventare un affare commerciale: ci si ribella, poi ci si riconcilia per avere i soldi per la propria famiglia, accedere a un posto di responsabilità nel governo e avere più armi.
La guerra e la miseria della maggior parte della popolazione del Ciad restano per noi le maggiori difficoltà e sfide. Oltre a ciò, la situazione si è aggravata con l’arrivo dei profughi sudanesi e centrafricani che si sono uniti agli sfollati del Ciad all’interno del nostro territorio. Ci attendiamo molto da questo Sinodo e dalla Chiesa universale.
Forse un concordato tra il Ciad e la Santa Sede aiuterebbe a rafforzare l’autorità della Chiesa del Ciad nel suo impegno per la riconciliazione, la giustizia e la pace contro quello che il Santo Padre stesso ha chiamato il “virus”, vale a dire il fondamentalismo religioso che minaccia la salute dell’Africa in generale e quella del Ciad in particolare.
Nel 2008 abbiamo avuto un inizio di jihad a Kouno, una città a sud dell’arcidiocesi di N’Djamena “a circa 150 chilometri da Sarh”. Per dovere di cronaca, occorre sottolineare che alcuni fondamentalisti del Ciad sono stati citati tra i protagonisti della jihad che si è recentemente diffusa a nord della Nigeria, nel settembre del 2009.
Secondo la nostra costituzione, il Ciad è uno stato laico e questo ci ha aiutato come Chiesa a vivere e svolgere liberamente le nostre attività, ma fino a quando? Questa laicità è minacciata e se il Ciad diventerà un regime islamico, tutta l’Africa centrale ne subirà le conseguenze.
– S. E. R. Mons. Alick BANDA, Vescovo di Solwezi (ZAMBIA)
Un’efficace partecipazione e collaborazione dei laici all’opera di riconciliazione, giustizia e pace dipende non solo da un laicato ben informato, ma anche da un laicato ben catechizzato. Ciò esige quindi un impegno e un investimento a vita da parte della Chiesa nella formazione permanente dei laici, affinché diventino credibili sia nella vita privata che in quella pubblica e siano in grado di essere “sale della terra e luce del mondo” (cfr. Mt 5, 13-14 e AG, 11). Date queste premesse vorrei dire:
– Innanzitutto vorrei che riecheggiasse un richiamo chiaro e forte per un efficace coinvolgimento dei laici nell’opera di evangelizzazione in vista della riconciliazione, della giustizia e della pace grazie ai loro diversi luoghi di incontro, associazioni e movimenti.
– In secondo luogo auspico che ogni diocesi possa istituire un efficace e responsabile Consiglio dei laici, che guidi il coinvolgimento dei laici, affinché essi si sentano pienamente riconosciuti e accettati, insieme al clero e ai religiosi, nel compito dell’evangelizzazione.
– In terzo luogo auspico che ciascuna diocesi faccia un forte investimento nella formazione dei laici, soprattutto con una “nuova catechesi” sulla dottrina sociale della Chiesa.
– S. E. R. Mons. John Baptist ODAMA, Arcivescovo di Gulu (UGANDA)
Vi parlo soprattutto per l’esperienza personale di grande violenza fatta sui bambini nella mia arcidiocesi. Si tratta della violenza perpetrata dai soldati delle forze ribelli della Lord’s Resistance Army (LRA), che negli ultimi anni hanno terrorizzato la popolazione e hanno preso di mira soprattutto i bambini.
Le forze della LRA hanno preso ragazzi e ragazze e li hanno costretti ad arruolarsi, danneggiando terribilmente le loro menti e il loro spirito. Le forze della LRA hanno anche rapito delle giovanette riducendole a schiave del sesso, annientando così le loro speranze e il loro futuro.
Sappiamo che esistono molti problemi di violenza contro i bambini e i giovani, uomini e donne, in altre parti dell’Africa di oggi, dove vengono scatenate guerre insensate, nella Repubblica Democratica del Congo (DRC), nel sud del Sudan, in Africa centrale, per fare un esempio.
Ma c’è una violenza più diffusa che ha luogo quotidianamente in tutto il continente. È la violenza della fame, la mancanza di accesso all’istruzione, la carenza di un’assistenza sanitaria adeguata, e condizioni di vita disumane nelle periferie urbane e nei campi profughi.
Il Sinodo deve certamente levare la voce contro situazioni politiche, economiche e sociali che fanno violenza ai nostri bambini.
Ma lasciatemi aggiungere un altro modo di fare violenza ai bambini, e questo è rappresentato dal numero sconvolgente di aborti che tolgono la vita agli innocenti ancor prima di nascere. Una cultura dell’aborto, una dinamica di mancanza di rispetto per i non-nati, una promozione dei “diritti” che consente addirittura la negazione del diritto alla vita, tutto ciò non è altro che un segno di violenza contro la vita.
Vorrei suggerire due passi da compiere.
Il primo è quello di ergerci, come Chiesa, a favore di un’”etica costante” per il rispetto della vita.
Nel nostro impegno per lo sviluppo, la riconciliazione, la giustizia e la pace, noi portiamo i valori di un rispetto per la vita che è allo stesso tempo un forte contro-testimone della violenza e una vigorosa promozione delle condizioni necessarie alla vita – amore familiare, cibo, istruzione, assistenza sanitaria, lavoro, alloggio, ecc.
Il secondo è quello di rendere testimonianza soprattutto ai diritti delle donne nella dignità che Dio ha conferito loro. Dico questo perché intorno a noi molti parlano dei diritti delle donne in modo da violare i diritti degli altri, soprattutto quello dei figli non ancora nati. Come cattolici dobbiamo farci conoscere quali forti difensori dei diritti delle donne affinché vivano l’eguaglianza che viene loro da Dio, impieghino i loro tanti talenti per il bene delle nostre comunità e contribuiscano pienamente alla missione della Chiesa di annunciare la Buona Novella.
– S. E. R. Mons. Martin MUSONDE KIVUVA, Vescovo di Machakos (KENYA)
L’impoverimento è dovuto ad una mancanza dei beni e servizi basilari, come cibo, assistenza sanitaria, accesso alle cure mediche oppure alla mancanza di istruzione e di pace. Questa situazione conduce ad alti livelli di ignoranza, ad una precarietà per quanto riguarda la salute, provoca problemi ecologici quali la distruzione delle foreste attuata per procurarsi il carbone o un alloggio; le attività minerarie e gli insediamenti urbani senza pianificazione mettono sotto pressione le infrastrutture disponibili come quella idrica, fognaria, viaria; vengono impiegate inoltre tecniche agricole incompatibili con l’ambiente.
Occorre prendere in esame le falle dei nostri processi politici per alleviare la povertà cronica che si manifesta nelle malattie, nella mancanza di cibo, nei crimini e nella mancanza di acqua potabile. Garantire alla maggior parte dei poveri del Kenya l’accesso alla previdenza sociale esige una collaborazione integrata tra la Chiesa, il governo e i partner locali e internazionali. Tutte le persone che hanno il compito di provvedere al benessere della popolazione devono essere competenti, affidabili, aperte e sensibili nei confronti delle situazioni dei gruppi vulnerabili al fine di raggiungere l’auspicato sviluppo umano integrale.
Oggi le nostre popolazioni del continente non riescono a veder soddisfatti i loro bisogni fondamentali. Parliamo di milioni di individui che non possono attingere ad acqua potabile, cibo e un alloggio decoroso; assistiamo al ripresentarsi di malattie quali la poliomielite che pensavamo fosse stata sradicata; vediamo coltivatori di caffè e tè impoverirsi per
gli scarsi introiti e abbiamo visto aumentare il tasso di disoccupazione. Questo fa aumentare il numero di giovani che sono alla mercé di una potente élite che li recluta per il mondo della droga e delle bande criminali.
Suggerisco che come leader della Chiesa dobbiamo dare l’esempio che il duro lavoro paga mettendo in atto politiche che premino il buon lavoro. Dobbiamo scoraggiare la cultura dell’avidità e promuovere fra i giovani l’onestà e la responsabilità.
– S. E. R. Mons. Jean Claude RANDRIANARISOA, Vescovo di Miarinarivo (MADAGASCAR)
L’Instrumentum laboris parla dei giovani, con l’istituzione o il consolidamento di strutture per la loro formazione, nominare cappellani per l’apostolato dei giovani e coordinare la loro partecipazione alla vita della Chiesa a livello nazionale e internazionale.
Ringraziamo il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI per la loro sollecitudine verso i giovani, che sono agenti importanti di testimonianza di una riconciliazione che supera i confini dei continenti, delle razze e delle culture. Ciò è evidente in occasione delle Giornate Mondiali della Gioventù. Questa esperienza di Chiesa universale suscita nei nostri giovani il fervore a proseguirla malgrado le diverse tensioni socio-politiche nel nostro paese. In Madagascar, in seguito alle raccomandazioni dell’esortazione post-sinodale di creare e consolidare le strutture per la pastorale dei giovani, la Conferenza dei vescovi del Madagascar riunisce i giovani cattolici del paese ogni tre anni.
Attraverso questa esperienza, constatiamo che i nostri giovani potranno essere uno dei migliori fattori di riconciliazione se saranno formati e aiutati dai loro pastori e dagli adulti, attraverso una testimonianza di vita cristiana autentica, ad approfondire la loro fede attraverso una catechesi fondata sulla Parola di Dio; a vivere la loro fede attraverso la preghiera e la celebrazione dei sacramenti, soprattutto l’Eucaristia e la Riconciliazione: è edificante vedere i giovani davanti al Santissimo Sacramento una notte intera, all’aperto. Sono molto contenti di ritrovarsi insieme, di condividere le loro aspirazioni profonde, di pregare insieme, di approfondire la fede per trovare e testimoniare, a loro volta, tutti i valori umani ed evangelici.
– S. E. R. Mons. Edward Tamba CHARLES, Arcivescovo di Freetown and Bo (SIERRA LEONE)
Le multinazionali dell’industria estrattiva stanno producendo grandi ingiustizie in Africa e la Chiesa non può più tacere a riguardo. Nel loro desiderio di sfruttare le ricche risorse naturali e minerarie del continente, tali compagnie fanno di tutto, compreso fomentare i conflitti interetnici, la vendita di armi e munizioni e il rovesciamento di governi legittimi. Gli stati del delta in Nigeria, ricchi di petrolio, e le regioni orientali e meridionali della Repubblica Democratica del Congo sono chiari esempi di ciò.
Di fronte a queste forze ostili, tante Chiese locali non possono fare molto per assicurare che le compagnie accettino la loro corresponsabilità. Pertanto, chiedo alle Chiese locali e alle Conferenze episcopali delle regioni colpite di intervenire per assicurare che vengano realizzate delle politiche minerarie giuste, al fine di assicurare che gli stati africani e le loro popolazioni possano beneficiare delle loro risorse naturali e minerarie. Mi rivolgo anche alle Chiese locali dei paesi dai quali queste multinazionali provengono, affinché intervengano a nome dell’Africa e dei suoi popoli. Quelle compagnie portano sì a casa petrolio ed essenze tropicali dure a basso costo, ma stanno anche causando indicibili sofferenze alla nostra gente in Africa. Nel nome di Dio e della nostra comunione ecclesiale, vi chiediamo di aiutarci a porre fine alle ingiustizie che esse compiono contro la nostra gente.
– S. E. R. Mons. Zygmunt ZIMOWSKI, Arcivescovo-Vescovo emerito di Radom, Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (CITTÀ DEL VATICANO)
Il testo non è pervenuto prima della chiusura del Bollettino. Sarà pubblicato appena possibile.
– Rev. P. Jan GEERITS, S.D.S., Amministratore Apostolico dell’Amministrazione Apostolica delle Comore
È vero che nell’opera di evangelizzazione nelle Comore vi sono ostacoli e limiti, ma vorrei condividere con voi i cinque punti su cui si basa la nostra missione mostrando allo stesso tempo la ricchezza e il sapore di questa missione e concludendo con una richiesta.
1. Rivestendosi di umiltà e accettando di essere privato dei privilegi e del successo che a volte dà l’ambiente tradizionale cattolico, il missionario nelle Comore impara che alla fine è lo Spirito Santo che realizza e costruisce il Regno di Dio, anche laddove sembra inutile o impossibile secondo la logica umana.
2. Nutrendosi della preghiera, dell’Eucaristia e della grazia di Dio che si manifesta nella vita quotidiana nelle Comore, il missionario partecipa alla gioia che il nostro pastore Gesù aveva promesso agli apostoli.
3. Visto che siamo in minoranza, il pericolo che le nostre piccole comunità cattoliche si chiudano e si scoraggino è reale. Tuttavia, la piccolezza delle nostre comunità cattoliche ci spinge appunto ad impegnarci totalmente nella missione di essere sale della terra e luce del mondo.
4. Non potendo evangelizzare con la bocca e le parole, niente ci impedisce di parlare con le mani, cioè di servire la popolazione in tutta umiltà attraverso opere di carità.
5. Ogni uomo è unico e ha la facoltà di scegliere liberamente di riconoscersi (o di non riconoscersi) quale immagine del suo Creatore. Dio ci invita e ci propone costantemente di dire sì ma con una pazienza che va al di là di noi, senza mai obbligare o forzare la sua creatura come con il buon ladrone sulla croce che ha detto sì all’ultimo minuto. È quindi un’ingiustizia obbligare il proprio simile a essere musulmano e a escludere dalla salvezza a priori tutti coloro che non seguono l’islam. Questa ingiustizia non può mai condurre a una riconciliazione e a una pace profonda con i musulmani e un giorno dovrà essere riconosciuta come un errore intellettuale e confessionale sia da parte dei leader che dei semplici fedeli, affinché finalmente questo muro di separazione crolli come altri sono crollati nel passato.
– S. E. R. Mons. Liborius Ndumbukuti NASHENDA, O.M.I., Arcivescovo di Windhoek, Presidente della Conferenza Episcopale (NAMIBIA)
La Namibia fondamentalmente gode di stabilità politica ed economica, ma la Chiesa è chiamata ad essere vigile e profetica riguardo alla questione della riconciliazione, della giustizia e della pace. Dopo la guerra, che si è conclusa nel 1989 e alla quale sono seguite elezioni controllate dalle Nazioni Unite, abbiamo osservato tre movimenti:
1) Non è stato dato spazio sufficiente perché le parti precedentemente in guerra potessero far conoscere le loro ferite e si potesse accelerare il processo di guarigione interna.
2) La giustizia è stata ricercata in una distribuzione equa delle risorse disponibili, ma ora vediamo formarsi un grande divario tra ricchi e poveri.
3) La pace è prosperata tra diversi popoli del paese.
Abbiamo cercato di impegnarci in due progetti, di cui vorrei farvi partecipi:
1) Abbiamo invitato i sacerdoti, i religiosi e i fedeli a incoraggiare sia i fedeli sia le persone di buona volontà a esercitare il loro diritto democratico al voto per eleggere come futuri leader persone in grado di essere buoni servitori e amministratori e che nella loro amministrazione si preoccuperanno di fornire servizi di qualità e di combattere tutte le forme di corruzione attraverso la commissione anti-corruzione già esistente.
Ci siamo incontrati con tutti i partiti politici per esortarli a sostenere il principio della democrazia nella loro campagna elettorale, in uno spirito di tolleranza e di rispetto reciproco, al fine di conservare la nostra pace conquistata con grande fatica, c
he è un bene prezioso, ribadendo il fatto che in ogni corsa c’è sempre un vincitore e un perdente e che quest’ultimo deve accettare il risultato con dignità e umiltà. I leader africani devono quindi imparare a cedere il potere con garbo.
2) Un ministero speciale per quelli che praticano la prostituzione, avendo un sacerdote competente in materia. In molte situazioni, quelli che lavorano in questo settore, di cui l’80% è affetto dal virus dell’Aids/Hiv, sono costretti a questo stile di vita dalla povertà e subiscono abusi sessuali da parte di gente ben remunerata.
– S. E. R. Mons. Filomeno DO NASCIMENTO VIEIRA DIAS, Vescovo di Cabinda (ANGOLA)
Quando fu celebrata la prima Assemblea sinodale, nel 1994, il mio paese era ancora una nazione in guerra. In quell’occasione la nostra Conferenza episcopale non mancò di invocare con determinazione, mediante lettere pastorali, la pace e la riconciliazione tra fratelli in disaccordo, anche se, da alcuni, non compresa. In questo lungo processo sottolineiamo il servizio reso dai vescovi della regione (IMBISA) che si sono spostati di proposito in Angola per facilitare il processo. Al suo interno, la Conferenza episcopale ha dato vita a un movimento a favore della pace, “Pro Pace”, attivo ancora oggi, la cui vocazione è di promuovere una cultura di pace, disarmare le coscienze e formare operatori di pace. In tutto il paese si è percepita l’azione di questo movimento. Con lo stesso fine è stato creato con le altre istituzioni cristiane il Comitato inter-ecclesiale per la pace in Angola (COIEPA). Così, in molte occasioni, le Chiese e le comunità cristiane in Angola hanno potuto parlare all’unisono alla nazione e al mondo del dramma della guerra e dell’urgenza della pace.
Oggi, raggiunta ormai la pace, la grande sfida che si presenta è quella della riconciliazione nazionale, che non possiamo identificare o riassumere con la fine della guerra, il periodo in cui è in carica il Governo di unità e riconciliazione nazionale, risultato degli accordi di Lusaka, e lo svolgimento, l’anno scorso, delle elezioni legislative. Queste sono le tappe di un processo che, per sé sole, non realizzano la riconciliazione. La riconciliazione ha altre dimensioni ed è necessario studiarle con la stessa audacia: quella psicologica e quella culturale, quella economica e quella politica, quella sociale e quella religiosa. Sì, sono aspetti che non devono essere ignorati, se non vogliamo ingannare noi stessi e differire o preparare futuri conflitti.
Per questo, come Chiesa, consideriamo nostro compito di continuare a incoraggiare, sostenere e lavorare con gli altri attori della vita pubblica per un vero stato di diritto, mediante il necessario rafforzamento delle istituzioni democratiche, la promozione del buongoverno, la lotta alle disuguaglianze fra i cittadini e fra le regioni, il libero funzionamento delle istituzioni di amministrazione della giustizia, e per una migliore distribuzione delle entrate statali.
– S. E. R. Mons. Joseph Shipandeni SHIKONGO, O.M.I., Vescovo titolare di Capra, Vicario Apostolico di Rundu (NAMIBIA)
In Namibia, il primo problema, riguardante la salute, viene in qualche modo risolto attraverso sovvenzioni governative. Quindi, le nostre istituzioni sanitarie ed educative vengono largamente sovvenzionate dal governo. Per questa ragione, specialmente nelle aree rurali i poveri ricevono assistenza medica senza pagare troppo. Al fine di assicurare sovvenzioni governative regolari e l’autonomia della Chiesa nel gestire le istituzioni sanitarie secondo gli standard etici della Chiesa, nel 1994 abbiamo sottoscritto un ampio accordo con il governo, che poi è stato rivisto e integrato nel 2008. La sua applicazione però non è efficace come ci aspettavamo. Alcune parti nono sono ancora state attuate. Abbiamo anche un programma molto esteso per l’Hiv/Aids.
Il programma del governo, però, è più solido, con maggiori risorse finanziarie, consulenti stranieri, e la possibilità di utilizzare i mezzi di comunicazione nazionale: televisione, radio e giornali. Quindi ha un’influenza maggiore rispetto a noi. Viene così diffusa una visione secolare e relativista della sessualità. Per loro, la prima preoccupazione è la prevenzione del contagio; e il principale mezzo pratico per evitarlo è il preservativo; così viene promossa una fiducia poco realistica nell’efficacia del preservativo. L’inefficacia di questo mezzo viene volutamente ignorata o spiegata in maniera vaga. In questo modo, la promiscuità viene perfino incoraggiata, il che porta a un numero maggiore di contagi. L’altra questione che vorrei menzionare è ciò che leggo nella relazione dell’OMS riguardo alle vendite di farmaci a fini commerciali. Vi è scritto che l’efficacia di alcuni di questi medicinali non è dimostrata, tuttavia vengono vendute in Africa per la sperimentazione. Il dosaggio di alcune è pericoloso, oppure non è quello indicato sulle confezioni o le indicazioni sono false.
Vi sono altri farmaci non approvati nei paesi in cui vengono prodotti, che però vengono venduti in Africa (p.es. Depo Provesa). Si dice che l’Africa sia molto esposta a questo genere di farmaci a causa della limitata capacità di analizzare, testare o controllare ciò che sta accadendo. A questo riguardo, la Chiesa deve anche esortare il governo a far sì che i guaritori tradizionali vengano ritenuti responsabili delle loro attività e rivelino le procedure del trattamento e delle medicine da loro somministrate.
Per quanto riguarda le nostre scuole, riceviamo anche sovvenzioni governative. Finora non abbiamo raggiunto un accordo, ma stiamo ancora negoziando. Le nostre scuole hanno dato un grande contributo all’educazione, contributo riconosciuto perfino dal governo. Per gli ultimi tre anni consecutivi, le nostre due scuole secondarie hanno ottenuto i risultati migliori negli esami nazionali. Il nostro obiettivo è quello di avere scuole d’eccellenza, dove sia possibile aiutare i bambini dotati ad eccellere attraverso un’istruzione di qualità. A tale riguardo vorrei fare un’osservazione personale: avevo compagni di scuola molto capaci, che però sono stati costretti ad abbandonare la scuola a causa della povertà, per mancanza di motivazione o per altre ragioni. L’Africa non può permettersi di perdere scienziati e artisti potenzialmente eccellenti.
Affinché la Chiesa possa continuare ad impegnarsi nell’ambito della sanità e della formazione, occorreranno sempre delle risorse finanziarie. È molto importante trovare modi efficaci ed efficienti per trovare queste risorse.
La Conferenza episcopale dell’Angola e São Tomè, insieme con la Commissione di Giustizia e Pace, con Rádio Ecclesia -emittente cattolica dell’Angola – e con l’Università Cattolica, ha portato a compimento la sua missione di madre ed educatrice, di mediatrice e conciliatrice. Ha elaborato programmi di educazione civica, concretizzati nel corso di incontri “Pro Pace”. Gli incontri hanno avuto come destinatari la società civile, gli attori politici, persone appartenenti ad altre confessioni religiose e tutte le persone di buona volontà. È stato veramente un momento fortunato, un’autentica fucina di dialogo; si è sparso il seme della riconciliazione tra fratelli in disaccordo. Di conseguenza, il processo elettorale si è svolto in un clima di tolleranza e di pace.
La mia proposta è che ogni Conferenza episcopale dei paesi africani elabori, insieme con le rispettive Commissioni di Giustizia e Pace e altre istituzioni ecclesiali, un programma “Pro Pace” a livello delle arcidiocesi e diocesi e che questo venga attivato nel periodo precedente le elezioni.
Volevo anche fare riferimento ai lavoratori cinesi che si trovano un po’ in tutta l’Africa. Certamente essi sono, per lo stato cinese, lavoratori inviati oltre frontiera per un aume
nto della sua egemonia nel panorama economico mondiale. Per i nostri stati che li ricevono non sono altro che mano d’opera necessaria a una rapida ricostruzione delle infrastrutture distrutte nel corso della guerra.
Propongo, quindi, che le Conferenze episcopali, insieme con le diocesi dove sia richiesta una pastorale dei migranti, elaborino un programma pastorale per avvicinare il Vangelo di Cristo, nei paesi africani, ai lavoratori cinesi e non solo.
– S. E. R. Mons. José Câmnate NA BISSIGN, Vescovo di Bissau (GUINEA-BISSAU)
Nel tentativo di rispondere alle sfide del presente, in una prima fase si sono avute iniziative di mediazione puntuali per risolvere questa o quella crisi. Oggi, dato il perdurare della instabilità governativa e di altri fattori di debolezza, siamo stati obbligati a creare una Commissione di Giustizia e Pace con la missione non solo di sensibilizzare a formare comunità cristiane, ma anche di creare spazi di dialogo e opportunità di collaborazione con capi religiosi di confessioni religiose diverse, con la Fondazione (attualmente in formazione) Voce di Pace, la società civile, la classe politica, i militari, le associazioni femminili e giovanili.
In questo sforzo di formazione delle coscienze in vista di un cambiamento delle mentalità e dei comportamenti da cui possa nascere una cultura della pace, la Radio Sol Mansi (radio ecclesiale) sta svolgendo un ruolo molto importante nella diffusione del messaggio evangelico e della Dottrina Sociale della Chiesa. La qualità dei programmi trasmessi ha meritato a questa giovane radio credibilità e simpatia da parte della popolazione e della comunità internazionale, in particolare in occasione delle ultime elezioni svoltesi nel paese.
Un’altra iniziativa degna di essere menzionata è un accordo di società stretto fra Radio Sol Mansi e una radio della comunità musulmana.
La fede in Dio creatore e Padre di tutti gli uomini è una ricchezza “spirituale e culturale” comune a tutte le etnie della Guinea-Bissau. Questo “patrimonio” comune ha facilitato il dialogo e la collaborazione fra seguaci di diverse religioni (RTA, musulmani, protestanti e cattolici). La costruzione della pace è una missione che ha avvicinato le confessioni religiose nel medesimo impulso di salvaguardare gli interessi superiori della nazione. Dopo varie iniziative prese in modo informale e ad hoc, le principali entità religiose del paese hanno deciso di ufficializzare la loro collaborazione in un Consiglio per il dialogo ecumenico, interreligioso e per la promozione della dignità umana.
Si tratta di uno spazio di dialogo e di concertazione fra i responsabili religiosi e tradizionali sulle grandi questioni del paese. Questa Ong di promozione del pensiero e dell’uomo ha come vocazione di porsi in modo indipendente di fronte ai problemi nazionali e di agire come coscienza attiva dei dirigenti e della società in vista del consolidamento della pace.
– S. E. R. Mons. Camillus Archibong ETOKUDOH, Vescovo di Port Harcourt (NIGERIA)
Tra i valori culturali africani compatibili con il messaggio evangelico vi sono il senso della sacralità della vita, il rispetto e la cura per gli anziani, la solidarietà e la coesistenza pacifica.
D’altra parte, tra le pratiche culturali che non sono compatibili con il messaggio del Vangelo vi sono le libagioni, il culto degli antenati, i sacrifici offerti a idoli e divinità nel corso di feste tradizionali, l’assunzione della dignità di capo, i matrimoni e i funerali tradizionali.
Queste pratiche culturali costituiscono degli ostacoli e delle sfide per la missione evangelizzatrice della Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace.
Purtroppo, come indicato nell’Instrumentum laboris (n. 95), nella Chiesa vi sono sacerdoti, uomini e donne consacrati e fedeli laici che talvolta danno il cattivo esempio con il loro coinvolgimento in pratiche occulte.
Chiedo dunque ai padri sinodali di dedicare attenzione alla formazione dei seminaristi, dei sacerdoti, degli uomini e delle donne consacrati e dei fedeli laici, di fare un buon uso dei sacramentali e della ricezione dei sacramenti.
Nella nostra diocesi rurale di Ikot Ekpena in Nigeria, è diventata consuetudine iniziare il nuovo anno con una Messa durante la quale si legge il Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale della Pace. Al termine della celebrazione, tutti i capi tradizionali e le loro famiglie vengono benedette. Per svolgere il ministero presso i capi tradizionali non cattolici, sacerdoti e catechisti invitati alle feste e ai funerali tradizionali vengono incoraggiati ad accettare l’invito e ad utilizzarlo come mezzo di evangelizzazione. Grazie a questa iniziativa, alcuni seguaci della religione tradizionale africana sono stati convertiti alla fede cattolica.
– S. E. R. Mons. Germano GRACHANE, C.M., Vescovo di Nacala (MOZAMBICO)
La “implantatio Ecclesiae et Imperii, versus implantatio fidei”, è stato il cammino o metodo che ha portato il Vangelo in Mozambico ne i secoli XV e XVI, come pure nella maggior parte dell’Africa, dell’America, dell’Estremo Oriente (Asia) e dell’Oceania.
Questo metodo dell’epoca costantiniana e post-costantiniana, ripreso e rafforzato durante il Sacro Romano Impero Germanico, ridusse la linea di confine fra le comunità cristiane delle catacombe e il mondo pagano dell’epoca e costituisce oggi una delle cause remote ma fondamentali di una mancanza o incrinatura strutturale e basilare nell’edificio delle Chiese in Africa, mancanza-incrinatura strutturale e basilare che è l’incoerenza o il divario profondo e vasto tra la fede e la testimonianza di vita, tra la fede dei cristiani africani e la loro cultura, tra la fede e l’impegno morale, tra la fede cristiana dei parlamentari africani e il loro impegno politico secondo il Vangelo: il divario o iato dissonante esistente, infine, tra la fede proclamata con le labbra nella formula del Credo della Messa domenicale e lo stile della vita e della cultura quotidiana nel mondo del lavoro, della politica, dell’economia, della cultura, della famiglia e della società al di fuori delle nostre cattedrali, delle chiese parrocchiali, delle cappelle e delle comunità africane, come in tutto il mondo moderno e odierno.
Mi permetto la libertà di proporre a questa augusta Assemblea sinodale che il Sinodo faccia una menzione diretta ed esplicita per quanto riguarda l’importanza, la necessità e l’opportunità del metodo e istituto catecumenale antico, raccomandato anche, e rinnovato dal santo Concilio Vaticano II, come strumento efficace per ricostruire le nostre giovani chiese missionarie africane.
– S. E. R. Mons. Basile MVÉ ENGONE, S.D.B., Arcivescovo di Libreville (GABON)
La riconciliazione continua ad essere un mistero divino. Nondimeno, la Chiesa ha il dovere di tracciarne il cammino e di vivere di essa, risolvendo anzitutto le proprie contraddizioni prima di predicare agli altri. Più essa sarà credibile, più saprà creare spazi di verità, di giustizia e di pace. Per questo è urgente rafforzare la comunione e la collaborazione effettiva dei Pastori tra loro e con i fedeli, garantire la trasparenza e la gestione responsabile dei beni della Chiesa e assicurare l’equità tra i diversi membri della comunità ecclesiale.
La riconciliazione è al contempo un processo e un obiettivo. Ecco alcune proposte per raggiungerlo:
1. Evidenziare la dimensione scritturale della riconciliazione, della giustizia e della pace;
2. Valorizzare il sacramento della riconciliazione individuale e comunitaria;
3. Incoraggiare i ritiri fondamentali per i laici;
4. Rafforzare la pastorale della famiglia e dei giovani;
5. Accompagnare con maggiore attenzione i quadri che si occupano quotidianamente della gestione della cosa pubblica;
6. Creare cappellanie presso il Senato e l’Assemblea nazionale;
7. Organizzare la formazio
ne permanente dei sacerdoti e dei laici sulla riconciliazione, la giustizia e la pace;
8. Infine, creare spazi in cui i sacerdoti possano ascoltarsi, concertarsi e condividere le loro esperienze umane, pastorali e spirituali.
– S. E. R. Mons. Odon Marie Arsène RAZANAKOLONA, Arcivescovo di Antananarivo (MADAGASCAR)
Negli ultimi eventi che hanno fatto conoscere il Madagascar a livello mondiale, e che ci fanno deplorare la perdita di vite umane e guasti materiali notevoli, ci si è rivolti al Consiglio delle Chiese cristiane, noto con la sigla FFKM (che riunisce cattolici, luterani, riformati e anglicani). Va osservato che nei tumulti ciclici che hanno scosso la grande isola dal 1980, il FFKM è stato una risorsa per uscire dalla crisi, che si è poi conclusa con la firma di un accordo tra le parti in conflitto. Poi sono seguite le elezioni.
Come mai il FFKM è stato scelto come mediatore?
Osserviamo anzitutto che la Conferenza dei vescovi del Madagascar non ha mai cessato di dare l’allarme per attirare l’attenzione del potere in carica. In effetti, la maggioranza delle persone diventa sempre più povera mentre una minoranza si arricchisce; si presentava una deriva dittatoriale dopo l’adozione di una costituzione a misura del presidente, vendita di terreni a compagnie straniere, per non parlare dei brogli elettorali…
I capi religiosi e gli esponenti di primo piano hanno lanciato appelli alla calma. Da parte sua, la Conferenza dei vescovi del Madagascar ha creato un’unità di crisi per seguire l’evolversi degli eventi. E il 6 febbraio 2009 è riuscita a riunire intorno ad un tavolo i rappresentanti delle due parti avverse.
Vorrei trarre qualche lezione da questa esperienza di mediazione:
1. Non si può mediare senza una precedente formazione, altrimenti il fallimento è assicurato;
2. I mediatori devono rimanere uniti se desiderano portare a buon fine il loro lavoro;
3. In questi negoziati non ci sono mai né la buona fede né la sincerità e ciò porta allo scoraggiamento, tuttavia non bisogna abbandonare il tavolo dei negoziati;
4. La solidarietà della Conferenza dei vescovi del Madagascar è stata anche una testimonianza importante in mezzo alla crisi ed è questo che fa la sua forza;
5. Purtroppo il FFKM è uscito ferito e indebolito da questa esperienza. Tuttavia, ciò che dà speranza è l’organizzazione di laboratori di formazione sull’ecumenismo in tutta l’isola. Sono stati finanziati dal Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra.
– S. E. R. Mons. Daniel Marco Kur ADWOK, Vescovo titolare di Mossori, Vescovo ausiliare di Khartoum (SUDAN)
Come parte del loro impegno pastorale nella ricerca della pace, i vescovi del Sudan hanno proposto a se stessi e ai loro fedeli la visione di un Sudan più umano, in cui le persone possano vivere in armonia e dove non vi siano più guerre, oppressione, violenza, odio tribale/etnico, ingiustizia, violazione dei diritti umani e discriminazioni per motivi religiosi.
La firma dell’Accordo di pace comprensivo (CPA) tra il nord e il sud del Sudan, il 9 gennaio 2005, ha segnato una svolta nella storia di questo paese tormentato. Finora questo accordo è il migliore tra tutti quelli conclusi dalle parti in conflitto dopo l’indipendenza del Sudan nel 1956. L’accordo rispecchia, in gran parte, le suddette preoccupazioni sollevate e proposte dai vescovi, la visione di un Sudan in cui tutti vengono trattati in modo uguale, a prescindere dal colore, dalla razza o dalla fede religiosa.
Vista la crisi politica vissuta attualmente, il Sudan ha poche opzioni tra cui scegliere:
– La suddivisione del paese in diversi stati, vista l’insistenza sul marchio d’unità che non riconosce altra religione che l’islam o altra cultura che quella araba e la negazione dell’accesso ai diritti politici, economici e civili. Questa forma di unità coinvolgerà sempre il paese in conflitti interminabili.
– Se l’unità del paese rappresenta la scelta migliore, allora il governo deve riformare in modo autentico la sua strategia politica adottando una costituzione e un sistema di governo laici, per consentire a tutti i cittadini di provare un senso di appartenenza senza pregiudizi. Questo sforzo non solo allenterebbe la tensione con i non musulmani, ma riguarderebbe anche altre regioni come il Darfur, il Kordofan meridionale e il Nilo Blu meridionale. Queste tre regioni sono in prevalenza musulmane, ma si sentono escluse come i cristiani del Sud dal tipo di unione che il governo di Khartoum cerca di formare. Questa opzione è ormai in corso da 55 anni.
– S. E. R. Mons. Felix Alaba Adeosin JOB, Arcivescovo di Ibadan, Presidente della Conferenza Episcopale (NIGERIA)
È giusto che noi facciamo appello ai nostri leader nazionali e alle organizzazioni internazionali a salvare l’Africa per i posteri. Comunque è mia opinione ben ponderata che il Secondo Sinodo speciale dovrebbe mostrare una preoccupazione molto seria per il futuro della fede e della dottrina cattolica nel continente africano e nelle isole adiacenti. Come giustamente indicato dal cardinale Peter Kodwo Turkson nella sua Relatio, cito:“Quando si parla di una Chiesa prospera in Africa [oggi] si dimentica il fatto che, in vaste aree a nord dell’equatore, essa a mala pena esiste. La crescita straordinaria della Chiesa si è verificata soprattutto a sud del Sahara”. Eppure il nord è la terra di molti grandi santi e martiri; il rifugio della Sacra Famiglia. La terra che alimentò il Bambino Gesù si trova ora quasi privata della presenza della Chiesa fondata da Cristo! Lo stesso può accadere alla Chiesa ora fiorente a sud del Sahara, se non facciamo dell’approfondimento della fede una priorità pastorale di questo Sinodo. “È meglio prevenire che curare”.
Numerosi Padri sinodali ci hanno parlato del pericolo incombente per la nostra fede. A parte l’aspetto sociopolitico, le democrazie deboli, la corruzione e molti altri mali, siamo stati messi al corrente anche delle strategie dei movimenti pentecostali contro le Chiese cristiane tradizionali. Sappiamo che questi attacchi dividono e attirano i nostri membri più vulnerabili – ragazzi e giovani adulti. È da questi giovani che provengono il nostro clero e le persone consacrate. Saranno loro i padri, le madri, i politici e i professionisti futuri dei nostri paesi. Ma, ahimè, molti di loro hanno una fede superficiale e una crescita dottrinale carente.
La Chiesa, Famiglia di Dio in missione in Africa, attraverso questo Sinodo speciale deve fornire modi e strumenti per trasmettere la fede con una catechesi migliorata, con una solida formazione alle Scritture e dottrinale. Ciò è urgente, affinché la Chiesa, a sud dell’equatore, non diventi nel giro di pochi anni come nella parte a nord dell’equatore.
– S. E. R. Mons. Gerard Tlali LEROTHOLI, O.MI., Arcivescovo di Maseru (LESOTHO)
La Chiesa cattolica nel Lesotho è benedetta da vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Siamo anche felici di annunciare che la Chiesa è una Chiesa-Missione che sta diventando missionaria. Essa ha cominciato a mandare alcuni suoi figli e figlie in altri paesi e continenti, per esempio in Sudafrica, Namibia, Botswana, Paraguay, Haiti, Francia. La maggior parte di questi gruppi sono costituiti di religiose.
È nella sfera sociopolitica che il Lesotho ha maggiormente bisogno di aiuto in termini di riconciliazione, giustizia e pace. Il tema della riconciliazione, della giustizia e della pace è pertinente e rilevante, ma è anche necessario e urgente per il paese. Il Lesotho è una delle giovani democrazie emergenti nel continente. A partire dalla sua indipendenza, nel 1966, ha attraversato momenti di tumulto politico e di aspri conflitti, talvolta sfociati in colpi di stato e in spargimenti di sangue, come nel 1970, 1986, 1994 e 1998.
Il Lesotho soffre per due gravi mali, ovvero le divisioni politiche e religiose. Entrambi i mali sono talmente intrecc
iati l’uno con l’altro che è quasi impossibile distinguere l’uno dall’altro. Dalle prime lezioni generali del 1966, il Lesotho ha sviluppato una “cultura” che potrei definire di “conflitto post-elettorale”.
Il processo elettorale normalmente scorre liscio fino al momento delle elezioni. Il riconoscimento dei risultati elettorali è sempre causa di contrasto con violente manifestazioni di scontento in seno ai partiti che hanno perso. In altre parole, non c’è né vittoria con onore né sconfitta con dignità.
Questo rende tutto il periodo politico post-elettorale un periodo turbolento di tensioni, rivalità e incessanti accuse e una delle cause del problema è la mancanza di strategie nelle procedure di voto. Una tale tensione politica, alimentata dall’intolleranza religiosa, aggrava la situazione. Ogni volta che si produce un tale impasse, il Consiglio cristiano delle Chiese del Lesotho è chiamato a mediare. È spesso la Chiesa cattolica a svolgere il ruolo più importante nella risoluzione dei conflitti in Lesotho. Il tema del Sinodo sarà di grande giovamento per la Chiesa in Lesotho, coinvolta costantemente in sforzi di mediazione per portare riconciliazione, giustizia e pace in questo amato paese.
– S. E. R. Mons. Zygmunt ZIMOWSKI, Arcivescovo-Vescovo emerito di Radom, Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (CITTÀ DEL VATICANO)
1. Nonostante il fatto che, come ha affermato il Santo Padre Benedetto XVI nell’omelia della Messa di apertura del Sinodo: “Dio è il Creatore e la fonte della vita”, la vita è oggi messa a dura prova come valore, dalle politiche della salute riproduttiva. Di conseguenza, i vescovi e le Chiese locali sono invitati a fare udire la voce della Chiesa sulle tematiche riguardanti la vita dal suo inizio alla naturale conclusione.
2. In Africa convivono molte religioni, da quelle tradizionali africane alle grandi religioni monoteistiche, che influenzano tutte insieme le culture africane. Negli ultimi decenni l’impegno corale profuso dalle varie confessioni religiose per fronteggiare insieme alcune grandi tematiche della salute come HIV/AIDS, malaria e tubercolosi, sono la testimonianza dell’ecumenismo delle opere che in sanità è particolarmente fecondo.
3. Per la loro stessa natura di opere della Chiesa, le istituzioni sanitarie sono impegnate a promuovere la salute attraverso il rispetto del diritto alla sua tutela, garanzia di giustizia ed equità nell’accesso alle cure sanitarie specialmente per i malati di HIV/AIDS.
4. Pur prendendo le debite distanze da false ed illusorie pratiche di guarigione, la Chiesa in Africa è chiamata a riscoprire il ricco patrimonio spirituale, dottrinale e sacramentale della Chiesa sulla guarigione spirituale che si basa sulla preghiera e sui Sacramenti.
5. La medicina tradizionale è uno dei patrimoni importanti delle culture africane. Essa ha un costo inferiore alla medicina moderna ed essendo vicina alla popolazione, viene frequentemente utilizzata. Si chiede ai vescovi di operare un discernimento per distinguere le buone dalle cattive pratiche e di incoraggiare gli studi scientifici sulla medicina tradizionale, dentro le istituzioni cattoliche.
6. Molti dei servizi sanitari della Chiesa in Africa vengono riconosciuti e utilizzati per la loro importanza, ma essi soffrono le pressioni ideologiche della globalizzazione e della secolarizzazione con l’evidente calo degli aiuti finanziari che possono metterli al rischio di fallimento.
7. Il Santo Padre Benedetto XVI riassume la specificità del servizio che la Chiesa rende al malato in questi termini: “La salute dell’uomo, di tutto l’uomo, è stato il segno che Cristo ha prescelto per manifestare la prossimità di Dio, il suo amore misericordioso che risana lo spirito, l’anima e il corpo”. Questo deve essere sempre il riferimento fondamentale di ogni iniziativa della Chiesa nella sequela di Cristo, che i Vangeli ci presentano quale “medico” divino. (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, 2007).
[Testo originale: italiano]AUDITIO DELEGATORUM FRATERNORUM (III)
Dopo l’intervallo, è intervenuto il seguente Delegato fraterno:
– Sua Grazia Michael KEHINDE STEPHEN, Diocesi di Ibadan, Arcivescovo della Chiesa Metodista di Nigeria (NIGERIA)
Vorrei esprimere la gratitudine mia e della Chiesa che rappresento, la Chiesa metodista della Nigeria, per l’invito che mi è stato rivolto a partecipare a questo Sinodo speciale dei Vescovi, sull’importante tema: La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace…
Vi porto i saluti del Consiglio Metodista Mondiale, che ha appena concluso l’incontro del Comitato esecutivo a Santiago del Cile. Il Consiglio mi ha chiesto di cogliere l’opportunità di questo sinodo per elogiare ancora l’importante evento della firma del documento sulla Giustificazione per mezzo della fede durante l’ultima Conferenza Mondiale Metodista, che si è tenuta a Seul, in Corea del Sud, nel 2006. Il Consiglio auspica un progresso più rapido su altre questioni e si augura sinceramente che le conversazioni possano iniziare al livello bilaterale in Africa.
Desidero portare anche i saluti del Consiglio Mondiale delle Chiese, specialmente del Comitato di continuazione sull’ecumenismo nel XXI secolo, del quale sono moderatore, e ringraziare il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani per i servizi resi a questo Comitato e per l’impegno assunto di ospitare questo incontro a Roma nel gennaio del 2010.
Il Comitato di continuazione sull’ecumenismo nel XXI secolo ha il compito di articolare in modo più chiaro la visione comune della Chiesa verso l’unità e di assicurare una maggiore coerenza nel movimento ecumenico in risposta alle realtà globali che stanno cambiando. Il Comitato è costituito dai rappresentanti di diverse circoscrizioni e include le Chiese membro del Consiglio Mondiale delle Chiese (CMC), della Chiesa cattolica romana, delle Chiese pentecostali, delle organizzazioni giovanili ecumeniche, delle organizzazioni regionali ecumeniche, delle comunioni mondiali cristiane, del consiglio nazionale delle Chiese, dei ministeri specializzati, delle organizzazioni ecumeniche e delle comunità di rinnovamento ecumenico. Speriamo di poter contare sul vostro sostegno costante mentre ci avviciniamo alla prossima fase, che è quella dell’approfondimento delle riflessioni teologiche sulla visione e sui valori e dello sviluppo di raccomandazioni concrete per l’azione da parte delle Chiese e dei partner ecumenici.
Le questioni evidenziate nell’Instrumentum laboris descrivono in modo completo la maggior parte delle sfide che deve affrontare la Chiesa in Africa oggi. Tuttavia, ritengo che quando le questioni della riconciliazione, della giustizia e della pace vengono affrontate con sincerità d’intenti, come sembra essere l’obiettivo di questa assemblea, allora la Chiesa si mostra come Corpo vivente al servizio di tutta l’umanità e dell’intero creato. La questione della giustizia riveste un particolare interesse. Ritengo che la vera giustizia venga manifestata quando i ministri e i leader si pronunciano contro il male, senza tener conto del guadagno o della perdita personale. Come pastori, sia il clero sia i laici sono responsabili dell’esercizio della giustizia nella Chiesa. Ciò è particolarmente necessario in Africa oggi. Dove c’è giustizia, la pace è possibile e questo permette che il volto di Dio venga rivelato attraverso l’opera di santificazione costante dello Spirito Santo.
Vorrei concludere ricordando il desiderio di tutta la comunità ecumenica che sia sempre bello e piacevole quando animi affini vivono insieme nell’unità.
Possano gli e
siti di questo dibattito avvicinarci nel servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace in Africa e nel mondo intero!