L’esercizio concreto della carità rende credibile la Chiesa (II)

ROMA, martedì, 31 marzo 2009 (ZENIT.org).- Per la rubrica sull’Amore misericordioso pubblichiamo la seconda parte dell’intervento pronunciato dal Cardinale Nicolás de Jesús López Rodriguez, Arcivescovo di Santo Domingo, al Convegno svoltosi a Collevalenza, dal 27 al 29 ottobre 2006, sulla prima Enciclica di Benedetto XVI, “Deus Caritas Est”.

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La prima parte è stata pubblicata il 24 marzo.

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Prima di passare al punto dei responsabili dell´azione caritativa della Chiesa, considero opportuno segnalare qui le note caratteristiche della pastorale della carità che troviamo nel testo pontificio. Sono facilmente identificabili, indicheró, inoltre, i numeri dell´Enciclica in cui si trovano.

Queste note si possono riassumere in un”decalogo” dell´azione caritativa della Chiesa, specialmente degli organismi come Caritas che, nei loro diversi livelli, esprimono l´amore misericordioso di Dio con i più poveri e bisognosi.

In seguito indico le note che deve avere la pastorale della carità secondo Benedetto XVI:

– È umanistica perché si tratta di un servizio ad essere umani che, oltre di una attenzione tecnicamente corretta, “hanno bisogno di umanità” (DCE, 31a); é l´attualizzazione qui ed adesso dell´amore che l´uomo sempre ha bisogno (DCE, 31b). A questo mi sono riferito anteriormente.

– È universale, cioè, supera i confini della Chiesa, é al disopra di partiti ed ideologie e “mai cercherá d´imporre agli altri la fede della Chiesa” (DCE, 31b.c). Il criterio di comportamento é l´attitudine del buon Samaritano che aiuta il bisognoso, chiunque sia (DCE, 25b). Questa apertura per il prossimo, superando i confini nazionali, tende ad estendere il suo orizzonte al mondo intero (Cfr. DCE, 30a).

– È personale in quanto compromette ogni discepolo di Gesù Cristo, ovunque lui sia (DCE, 20).

– È comunitaria in quanto compromette tutta la comunità ecclesiale: la famiglia come Chiesa domestica, la comunità locale, la Chiesa particolare fino a comprendere la Chiesa universale nella sua totalità (DCE, 20).

– È comunione: anima e fomenta la vita in comunione nella stessa Chiesa come famiglia, allo scopo che nessuno dei suoi membri soffra per trovarsi nel bisogno (DCE, 25b).

– È ecumenica, tenendo in conto che … “L´Enciclica “Ut unum sint” ha poi ancora una volta sottolineato che, per uno viluppo del mondo verso il meglio, é necessaria la voce comune dei cristiani, il loro impegno “per il rispetto dei diritti e dei bisogni di tutti, specie dei poveri, degli umiliati e degli indifesi” (DCE, 30b).

– È imperativa, poiché “la Chiesa non può mai essere dispensata dall´esercizio della carità come attività organizzata dei credenti e, d´altra parte, non ci sarà mai una situazione nella quale non occorra la carità di ciascun singolo cristiano, per ché l´uomo, al di là della giustizia, ha e avrà sempre bisogno dell´amore” (DCE, 29).

– È cooperativa, in quanto favorisce la coordinazione mutua tra gli organismi dello Stato, associazioni umanitarie ed entità ecclesiali, in un clima di trasparenza, allo scopo di favorire l´efficacia del servizio caritativo (DCE, 30b).

– È testimoniale, poichè … “l’amore nella sua purezza e nella sua gratuità é la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare. Il cristiano sa quando é tempo di parlare di Dio e quando é giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l’amore. Egli sa che Dio é amore (cfr 1 Gv 4, 8) e si rende presente proprio nei momenti in cui nient’altro viene fatto fuorché amare” (DCE, 31c).

– È pianificata, poiché l´amore necessita di un´organizzazione, come preventivo per un servizio comunitario ordinato (DCE, 20). Inoltre, come disse il Papa ai partecipanti in un congresso internazionale organizzato dal Consiglio Pontificio Cor unum, il 23 gennaio 2006: “L´organizzazione ecclesiale della carità non é una forma d´assistenza sociale che si aggiunge casualmente alla realtà della Chiesa, un´iniziativa che si potrebbe lasciare anche ad altri; forma parte della natura della Chiesa”.

d) In seguito Benedetto XVI si occupa dei responsabili dell´azione caritativa della Chiesa ed indica in primo luogo il Consiglio Pontificio Cor unum, organismo della Santa Sede incaricato dell´orientazione e coordinamento tra le organizzazioni e le attività caritative promosse dalla Chiesa cattolica.

Anche é proprio della struttura episcopale della Chiesa che i Vescovi, come successori degli Apostoli, abbiano nelle Chiese particolari la prima responsabilità di compiere, anche oggi, il programma esposto negli Atti degli Apostoli (cf Atti 2, 42-44): la Chiesa, come famiglia di Dio deve essere, oggi come ieri, un luogo d´aiuto reciproco ed allo stesso tempo di disponibilità per servire anche a quanti fuori di lei necessitano aiuto.

Allo stesso modo che facemmo con il decalogo dell´azione caritativa della Chiesa in base agli insegnamenti del Papa in “Deus Caritas est”, lo stesso possiamo fare adesso, elaborare seguendo le sue orientazioni, il decalogo di qualità che devono adornare i responsabili della stessa azione caritativa. Alcune le ho appena riferite però le indico nuovamente per completarle con altre che il Santo Padre segnala nel testo dell´Enciclica. Gli agenti pastorali della carità devono:

– Avere capacità professionale. Gli uomini e le donne che realizzano la pastorale della carità devono essere capaci professionalmente perchè il servizio che offrono a quelli che soffrono deve essere un servizio di qualità, pertinente, realizzato nella forma più adeguata e che abbia continuità dopo di badare alle situazioni d´emergenza (DCE, 31a).

– Agire con senso d´umanità. La capacità professionale, di per se non basta, come lo abbiamo visto anteriormente. C´è bisogno di premura cordiale e di dedicazione per il prossimo. “L’azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore per l’uomo, un amore che si nutre dell’incontro con Cristo” (DCE, 34).

– Agire con umiltà imitando Cristo. L´umiltà ha vari momenti:

– dare se stessi come un dono: “perché il dono non umilii l’altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio ma me stesso, devo essere presente nel dono come persona” (DCE, 34);

– Chi é in condizione di aiutare riconosce che proprio in questo modo viene aiutato anche lui; (DCE, 35);

– ringraziare il Signore di questo dono per poter aiutare il prossimo, poiché non é nessun merito personale né motivo di orgoglio;

– sentirsi uno strumento nelle mani del Signore: “si libererà così dalla presunzione di dover realizzare, in prima persona e da solo, il necessario miglioramento del mondo. In umiltà farà quello che gli é possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché egli ce ne dà la forza. Fare, però, quanto ci è possibile con la forza di cui disponiamo, questo è il compito che mantiene il buon servo di Gesù Cristo sempre in movimento: « L’amore del Cristo ci spinge” (2 Cor. 5, 14)” (DCE, 35).

– essere, nel nome del Signore, accogliente e misericordioso verso i poveri e verso tutti i bisognosi di conforto e di aiuto, come si ricorda nel Pontificale Romano ai Vescovi nella loro Ordinazione Episcopale (DCE, 32).

Essere persona di fede: non deve ispirarsi in schemi che pretendono migliorare il mondo seguendo un´ideologia, ma lasciarsi guidare dalla fede che attua per l´amore (Cf. Ga. 5, 6). (DCE, 23).

– Essere persona di preghiera. “La preghiera come mezzo per attingere sempre di nuovo forza da Cristo, diventa qui un’urgenza del tutto concreta. Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione. La pietà non indebolisce la lotta contro la povertà o addirittura contro la miseria del prossimo” (DCE, 36).

– Sentirsi mossi dall´amore di Cristo: “Devono essere quindi persone mosse innanzitutto dall’amore di Cristo, persone il cui cuore Cristo ha conquistato col suo amore, risvegliandovi l’amore per il prossimo.” (DCE
, 33). “L’azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore per l’uomo, un amore che si nutre dell’incontro con Cristo.” (DCE, 34).

– Vivere l´amore ecclesiale. “…la Chiesa in quanto famiglia di Dio deve essere, oggi come ieri, un luogo di aiuto vicendevole e al contempo un luogo di disponibilità a servire anche coloro che, fuori di essa, hanno bisogno di aiuto.” (DCE, 32). “Chi ama Cristo ama la Chiesa e vuole che essa sia sempre più espressione e strumento dell’amore che da Lui promana. Il collaboratore di ogni Organizzazione caritativa cattolica vuole lavorare con la Chiesa e quindi col Vescovo, affinché l’amore di Dio si diffonda nel mondo. Attraverso la sua partecipazione all’esercizio dell’amore della Chiesa, egli vuole essere testimone di Dio e di Cristo e proprio per questo vuole fare del bene agli uomini gratuitamente.” (DCE, 33).

– Avere apertura alla dimensione cattolica. “L’apertura interiore alla dimensione cattolica della Chiesa non potrà non disporre il collaboratore a sintonizzarsi con le altre Organizzazioni nel servizio alle varie forme di bisogno; ciò tuttavia dovrà avvenire nel rispetto del profilo specifico del servizio richiesto da Cristo ai suoi discepoli.” (DCE, 34).

– Essere testimoni credibili di Cristo. “Di conseguenza, la miglior difesa di Dio e dell’uomo consiste proprio nell’amore. È compito delle Organizzazioni caritative della Chiesa rafforzare questa consapevolezza nei propri membri, in modo che attraverso il loro agire — come attraverso il loro parlare, il loro tacere, il loro esempio — diventino testimoni credibili di Cristo.” (DCE, 31c)

e) Testimoni dell´amore di Cristo

Benedetto XVI non si accontenta con darci il profilo della pastorale della carità e dei responsabili dell´azione caritativa della Chiesa, ma che ci presenta alla fine una lista di testimoni dell´amore di Cristo, naturalmente un elenco molto rappresentativo però che può essere completato secondo le circostanze del luogo e del tempo.

E ci dice che tra i Santi emerge Maria, Madre del Signore e specchio di santità. Il Vangelo di Luca la mostra affaccendata in un servizio di carità a sua cugina Elisabetta, con cui rimase “tre mesi” (Lc 1, 56) per aiutarla durante la gravidanza.

“L´anima mia magnifica il Signore”, dice in occasione di questa visita, e con questo esprime tutto il programma della sua vita: non mettere se stessi nel centro, ma lasciare spazio a Dio, a chi trova tanto nella preghiera come nel servizio al prossimo; solo allora il mondo si fa buono.

Tra i Santi elencati dal Papa figurano San Martino da Tours, che definisce “quasi come un´icona” e che mostra il valore insostituibile della testimonianza individuale della carità.

Anche San Francesco d´Assisi, Ignazio di Loyola, Giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo de´ Paoli, Luisa di Marillac, Giuseppe Benito Cottolengo, Giovanni Bosco, Luigi Orione e Teresa da Calcutta. E potrebbe allargarsi molto di più la lista. Tutti e tutte loro continuano ad essere modelli illustri di carità sociale per tutti gli uomini di buona volontà.

La vita dei Santi non comprende soltanto la biografia terrena, ma anche la loro vita ed azione in Dio dopo la morte.

Nei Santi é evidente che, chi va verso Dio, non s´allontana dagli uomini, ma che realmente va vicino a loro.

Il tema che mi é stato chiesto di esporre in questa Relazione è come l´esercizio concreto della carità renda credibile la Chiesa (cf DCE 31-42).

Credo che, secondo quanto abbiamo potuto notare analizzando quello che insegna il Santo Padre, tra le molte opere ed attività che la Chiesa Catolica deve svolgere: predicazione, celebrazione dei

Sacramenti, organizzazione pastorale, lavoro ecumenico, presenza nei mezzi di comunicazione sociale ed altri che hanno senza dubbio gran importanza, nessuna come l´esercizio concreto della carità le da maggior credibilità davanti al mondo. Anzi, questo esercizio caritativo é quello che garantisce la coerenza delle altre attività, come vediamo anche nei vangeli la testimonianza ammirevole di Gesù. Quanto fece ed insegnò il Maestro era avallato ed accreditato dalle sue opere, ed in modo particolare il suo costante amore per i poveri, ammalati, affamati, peccatori ed esclusi dalla società, in un´instancabile attitudine di servizio verso tutti loro, gli davano completa credibilità ed autorità di fronte al popolo, che percepiva il suo insegnamento come diverso da quello degli scribi e farisei.

Per terminare ricordiamo la frase di Paolo VI: “L´uomo contemporaneo ascolta più volentieri quelli che danno testimonianza che a quelli che insegnano … o se ascoltano quelli che insegnano é perchè danno testimonianza” (Discorso ai Membri del Consiglio dei Laici, 2 ottobre 1974).

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ZENIT Staff

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