Ripensare l'economia sul primato della persona e del lavoro

CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 28 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’articolo del Cardinale Renato Raffaele Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, apparso su “L’Osservatore Romano”.

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La profonda crisi finanziaria manifestatasi nell’autunno scorso e della quale è ancora difficile valutare la gravità degli sviluppi economici e sociali, può essere occasione positiva per ripensare l’assetto globale dell’economia e della finanza. Va in questa direzione l’apprezzabile iniziativa del Governo italiano di inserire, per la prima volta, fra le tappe di avvicinamento al g8 che si terrà nel  mese  di luglio del 2009, anche uno speciale summit sociale del g8 stesso, che si apre questa domenica 29 marzo.

In modo particolare, merita attenta considerazione il tema scelto per questo summit sociale: «La dimensione umana della crisi: provvedere alla persona, ripartire dalla persona». Questo perché  se lo sconquasso della finanza si riverbera in  definitiva sul sistema economico e quindi sulle persone concrete inserite nel loro ambito familiare, anche la reazione non può essere suscitata che dalle persone concrete.

Ciò comporta provvedere alla persona salvaguardando la sua dignità con l’adattamento dei sistemi di welfare; ripartire dalla persona creando le condizioni per la nascita di nuove opportunità di lavoro. Temi, questi, che stanno a cuore alla Chiesa e che sono al centro  del suo insegnamento sociale.

Alla radice della dottrina sociale troviamo il principio della dignità della persona. Esso deriva dal fatto che la persona umana in quanto centro e vertice di tutto ciò che esiste sulla terra è il fine di tutte le istituzioni sociali. Pertanto, il rispetto della persona umana si pone quale pilastro fondamentale per la strutturazione della società stessa, essendo la società finalizzata interamente alla persona (cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, capitolo terzo).

 In tempo di turbolenze economiche, vanno quindi rinforzati e rinnovati i sistemi di protezione sociale della persona umana, affinché essa possa godere dei suoi diritti fondamentali messi in pericolo dalle turbolenze stesse. A questo fine, il confronto fra le diverse misure messe in atto dai diversi sistemi di sicurezza sociale sarà senz’altro di grande utilità e potrà divenire fonte di politiche sociali nazionali più efficienti, adatte alle difficili circostanze attuali, senza  cadere  in  forme  deteriori  di assistenzialismo (cfr. Centesimus annus n. 48).

L’importanza del lavoro, che è all’origine della moderna dottrina sociale della Chiesa, offre, poi, un ulteriore elemento di sintonia con il summit in programma. Anche oggi, il lavoro è la chiave della questione sociale divenuta, ai nostri giorni, questione globale. Infatti, il lavoro, riconosciuto ed apprezzato, è la chiave perché la singola persona possa uscire in modo sostenibile dalla povertà,  oramai in agguato anche per intere categorie di famiglie che prima del manifestarsi della crisi potevano sentirsi al sicuro.

È il lavoro la causa efficiente dello sviluppo. Dal lavoro occorre partire per soddisfare la necessità di produrre beni in quantità sufficiente, di qualità adeguata, usando in modo efficace le risorse tecniche e materiali. In definitiva,  è l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro e la tecnica, ed è solo dall’impegno lavorativo che l’economia può rimettersi in marcia.

Ma non è solo sul piano della dottrina, delle idee, che la Chiesa può portare il suo contributo per trovare vie di uscita dalla crisi. La prossimità delle strutture ecclesiali alle persone e alle famiglie, in modo speciale ai poveri, può essere messa a profitto immaginando e mettendo in atto in modo creativo sinergie con le iniziative promosse dagli apparati politici, sia nel campo del welfare sia  in quello del lavoro.

La crisi, come detto,  può essere occasione di ripensare l’assetto del sistema economico e finanziario globale, di portare a termine quella revisione della governance globale sulla quale da anni, a diversi livelli, si va ragionando. Del resto, la necessità di questa revisione è resa manifesta dall’emergere di questioni venute alla luce con la globalizzazione, tra le quali le migrazioni, la questione ambientale, quella fiscale; tutte questioni che non trovano sufficienti piattaforme di confronto a livello globale.

Sul piano dei principi ispiratori di quello che si potrebbe definire un restauro, se non un rifacimento, dell’architettura della governance internazionale, la Chiesa si sente di poterne proporre alcuni, valendosi della sua esperienza nel campo della fraternità fra i popoli e le nazioni. Primo fra tutti quel bene comune universale, teorizzato da Giovanni xxiii nella Pacem in terris. Se la comprensione del concetto non è forse immediata, specie in ambito non cristiano poiché esso presuppone una visione universale tendente a considerare l’umanità come riunita in una famiglia, senza un riferimento ad esso anche concetti oramai in uso nell’ambito internazionale come quello dei global public goods non possono essere colti nel loro senso più profondo. Ecco dunque le parole della Pacem in terris che ci piace richiamare: «L’unità della famiglia umana è esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membri gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale. Di conseguenza esisterà sempre l’esigenza obiettiva all’attuazione, in grado sufficiente, del bene comune universale, e cioè del bene comune dell’intera famiglia umana» (n. 69).

Per la rivisitazione della governance globale gioverà, inoltre, ribadire che lo spirito della cooperazione internazionale nel campo economico e finanziario e dello sviluppo, richiede che, al di sopra della stretta logica del mercato, vi sia consapevolezza di un dovere di solidarietà. La solidarietà, infatti, è centrale nella riorganizzazione del tessuto di un’economia mondiale che, come dimostra in negativo l’attuale crisi, si interseca sempre più.

La solidarietà è anche favorire una maggiore partecipazione ai processi decisionali tanto dei Governi dei Paesi sviluppati, quanto di quelli in via di sviluppo, tanto delle organizzazioni internazionali, quanto della società civile in generale.

In questa prospettiva, nel campo della riorganizzazione della governance in vista di una più efficace lotta alla povertà, va riaffermato anche il principio della sussidiarietà, grazie al quale è possibile stimolare lo spirito d’iniziativa, base fondamentale di ogni sviluppo socioeconomico, negli stessi Paesi poveri, perché a questi si possa guardare non come ad un problema, ma come a soggetti e protagonisti di un futuro nuovo e più umano per tutto il mondo (cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 449).

Infine, la riformulazione della governance  dell’economia globalizzata —  che non dovrà trascurare anche gli aspetti finanziari e fiscali, come da più parti e da più tempo si sottolinea —  non avrà basi solide se non si fonderà sul principio della responsabilità. Questa responsabilità  per gli organismi internazionali a essa preposti, si traduce in trasparenza, in accountability, in coerenza e coordinamento fra di loro e   nei confronti sia dei Governi sia della società civile.

Proprio in questa luce, è decisamente positivo l’aver associato al summit sociale del g8 anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e il Fondo monetario internazionale, oltre che l’Organizzazione internazionale del lavoro, e averlo fatto in modo sostanziale oltre che formale. Avendo assegnato ai responsabili dei tre organismi  l’incarico di trattare, ognuno nella prospettiva delle rispettive istituzioni, dei risvolti umani e sociali della crisi finanziaria, è chiaro l’intento del Governo italiano di sottolineare l’imprescindibile esigenza di salvaguardare la coesione sociale, che è una condizione essenziale della sicurezza democratica e compito primario dei singoli Stati. L’attuale crisi economica e finanziaria costituisce, infatti, una grave minaccia a tale coesione,  a causa delle dimensioni crescenti del divario fra ricchi e poveri di ogni Paese, ricco o povero che sia.

 Da qui, dunque, la necessità di confronto e studio, a livello globale, di strategie in grado di combattere la povertà e l’esclusione sociale. Insomma, la pace, anche la pace sociale, «trova il suo fondamento nell’ordine razionale e morale della società… si fonda su una corretta concezione della persona umana e richiede l’edificazione di un ordine secondo giustizia e carità» (Compendio della dottrina Sociale della Chiesa, 494).


[L’OSSERVATORE ROMANO – Edizione quotidiana – del 29 marzo 2009]

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ZENIT Staff

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