ROMA, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervista a padre Joaquín Allende, Presidente internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre, apparsa sul nono numero della rivista “Paulus” (marzo 2009), dedicato al tema “Paolo il prigioniero”.
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Anno 1947: mentre 14 milioni di tedeschi vengono espulsi dalla Slesia, dalla Cecoslovacchia e dall’Europa dell’Est, il giovane monaco premonstratense Werenfried van Straaten raccoglie tonnellate di lardo dai contadini delle Fiandre per nutrire i profughi. L’iniziativa gli vale il soprannome di “Padre Lardo”. Non è che l’inizio. Fornisce motociclette ai sacerdoti che assistono i profughi. Inventa le “cappelle-volanti” per portare la Parola dove la guerra ha spazzato via gli edifici religiosi. Consultore al Concilio Vaticano II, riceve da Giovanni XXIII la richiesta di occuparsi anche dell’America Latina, e trasforma oltre 300 autocarri dell’esercito svizzero in mezzi di trasporto per l’evangelizzazione dell’Amazzonia. Era nata l’Associazione internazionale Aid to the Church in Need (in Italia: ACS – Aiuto alla Chiesa che Soffre). Padre Werenfried si dedica in particolare alla ricostruzione della Chiesa nei Paesi comunisti e attraversa più volte le frontiere clandestinamente… d’altra parte, il logo stesso di ACS ritrae una croce che si trasforma in una freccia e attraversa un muro. Anzi, “il” Muro. Muro che crolla, come preannunciato dalla Signora di Fatima, a cui l’Opera è consacrata. Oggi ACS è un’Associazione pubblica universale di diritto pontificio incaricata d’intervenire ovunque la Chiesa – non solo cattolica – sia in difficoltà per la mancanza di libertà religiosa e di mezzi pastorali. Per farlo, può contare su oltre 600 mila benefattori. Abbiamo raggiunto il Presidente internazionale – il cileno padre Joaquín Allende-Leuco – nella sede centrale di Königstein, in Germania.
Padre Allende, che sfumatura assume per voi l’Anno Paolino, che trova nell’Apostolo un avversario della libertà religiosa tramutato in perseguitato per la fede?
«San Paolo raccolse il mantello del protomartire Stefano quando questi venne ucciso, cioè ne ricevette in eredità il testamento spirituale. Paolo è l’orizzonte cattolico dell’evangelizzazione, ha il carisma dell’universalità, e questo lo fa sentire molto vicino. Vi sono due caratteristiche per noi essenziali. Da un lato, la passione evangelizzatrice… “l’amore di Cristo ci spinge”… un’impazienza comune anche al nostro fondatore, padre Werenfried van Straaten. Dall’altro, l’apertura alla carità, che la Tradizione ha sigillato nel motto cor Pauli, cor mundi».
Ricevete ogni anno oltre diecimila richieste di aiuto provenienti da diocesi di tutto il mondo. Secondo quali criteri le scegliete per trasformarle in progetti da sostenere?
«Il primo criterio pratico è proseguire le strategie pastorali del Papa e dei vescovi. Ma siamo pronti ad aiutare e servire anche le nuove realtà che, in armonia con la Chiesa, si fanno strumento della creatività evangelizzatrice. Padre Werenfried, ad esempio, aiutò fin dal primo momento Chiara Lubich e le disse: “Lei ha lo spirito per fondare questo movimento. Non sprechi tempo e forze per radunare i mezzi economici: inizi la sua opera e a trovare i sostentamenti ci penserò io”. Così l’aiutò nella costruzione di Loppiano, prima sede del movimento dei Focolari. Lo stesso fece per madre Teresa di Calcutta… si può dire che fu padre Werenfriend a “scoprirla” e a presentarla sulla scena mondiale, giusto cinquant’anni fa, quando nessuno la conosceva al di fuori dell’India. E così via».
Il Rapporto ACS 2008 sulla Libertà Religiosa dimostra che i cristiani sono il gruppo più perseguitato al mondo e che in 17 Paesi la violenza anticristiana si è intensificata. Venti operatori pastorali sono morti in modo violento. A cosa si deve?
«Assistiamo a un fenomeno generale di accelerazione nel contesto sociopolitico contemporaneo. La globalizzazione genera interconnessioni imprevedibili e angosciose. La politica del presidente Bush in relazione l’Irak, per esempio, incise sul Pakistan: i cristiani temevano qualunque parola di Bush sull’islam, perché potevano scaturire – come scaturirono, infatti – nuovi manifestazioni di violenza nel Paese. Ma c’è dell’altro. Siccome la qualità dell’evangelizzazione è migliorata, il progresso nell’Africa è evidente, la testimonianza dei martiri del Novecento illumina la vita cristiana… tutto questo produce una controrisposta da quanti non vogliono che Cristo entri nel loro Paese. Il Papato – e in particolare gli ultimi due grandi Papi – hanno fatto sì che l’evangelizzazione sia più accessibile, più vicina a tutti. E proprio questo genera un’opposizione più netta, perché costringe quanti vogliono soffocare l’effervescenza della Chiesa a venire allo scoperto».
In quali zone la situazione è più preoccupante?
«Bisogna considerare in primo luogo una situazione diffusa di secolarismo violento che si presenta come critica alla fede: un “neutralismo” sottile – ma aggressivo e intransigente – che vuole dominare la scena culturale. E questo in temi fondamentali come l’origine della vita, o la famiglia, che è la cellula di ogni società civile. Ma come si può vivere nella condivisione e nella fraternità senza Dio o addirittura contro Dio? Se si toglie Dio, si toglie la base dell’uguaglianza fraterna, della pari dignità umana e quindi anche della democrazia. Questa lotta culturale è il primo campo d’azione. Vi sono poi due poli dove la persecuzione è più evidente: i Paesi ex comunisti e le società a maggioranza islamica. In Cina e a Cuba, ad esempio, la situazione è molto difficile, perché nonostante lo sviluppo economico non viene garantita la libertà religiosa e il potere opera gravi discriminazioni. In Cina l’85% dei vescovi esercita il suo ministero in comunione con il Papato, perciò li sosteniamo fornendo gli strumenti essenziali per la catechesi e la celebrazione dei sacramenti, in modo di star loro vicini, di far sì che non soffrano da soli. Per quanto riguarda i Paesi a maggioranza islamica, il Papa ci ha raccomandato in modo particolare di accompagnare i cristiani della Terra Santa, che subiscono forti pressioni. Ma guardiamo anche al Sudan, dove il governo non prende sul serio neppure i diritti umani e i cristiani subiscono persecuzioni terribili. Lo stesso capita nel nord della Nigeria, dove sacerdoti e laici ricevono costanti minacce e sono talvolta uccisi. E preoccupa molto anche l’evoluzione politica del Pakistan».
Nelle Direttive spirituali lasciate da padre Werenfried si dice che uno dei compiti più importanti della vostra Associazione è la preghiera per i persecutori. Come si può convivere con chi vuole negare la libertà altrui?
«Il martirio, nella Chiesa, non è qualcosa di particolare. Anzi, Cristo è vivente proprio nei luoghi più perseguitati. Da Gesù a santo Stefano, da san Paolo fino e per tutta la storia del cristianesimo… la persecuzione e il martirio sono sempre stati condizioni intime dei seguaci di Cristo, che non adulò nessuno né insegnò vie facili. Alcuni accolgono la sua testimonianza, altri rimangono tiepidi, altri vi si oppongono. Ma ciò che noi facciamo è morire per Cristo, nella Chiesa. Il modello essenziale del martirio lo troviamo nel racconto degli Atti su santo Stefano, che ricalca la passione di Cristo: egli muore perdonando. Per essere martiri cristiani non è sufficiente morire per una causa nobile, incluso il morire per Cristo o per la Chiesa, perché la grandezza nella morte – lo dice san Paolo nell’Inno alla carità – sta nel morire per amore. Altrimenti siamo campanelli privi di un suono cristiano. Non ci suicidiamo in nome di Dio, moriamo perdonando. Non uccidiamo chi non si converte, preghiamo per la conversione
degli uccisori. Non prendiamo le vite degli altri, diamo loro la nostra. Abele cercherà sempre la conversione di Caino e, se Caino lo uccide, morirà abbracciandolo. È in questo che cerchiamo di aiutare e accompagnare i nostri fratelli perseguitati, cercando di dare loro la consolazione dello Spirito Santo».
ACS cerca di aiutare non solo coloro che soffrono la mancanza di libertà religiosa, ma anche quanti patiscono la mancanza di mezzi per la pastorale ordinaria.
«Padre Werenfried concepì quest’Associazione al servizio di un’evangelizzazione diretta. Benedetto XVI, quand’era ancora cardinale, lo sostenne e disse: “Aiuto questo progetto, perché esso aiuta la Chiesa nel suo bisogno più urgente e più incalzante, cioè conoscere e amare Cristo”. La nostra prima preoccupazione, quindi, è quella di formare apostoli, perché il vangelo non è semplicemente un libro da leggere, ma testimonianza viva della persona di Gesù. Il testimone, il discepolo, il missionario… sono loro i protagonisti, sono loro la prima terra fertile per l’evangelizzazione! Per questo la nostra Associazione aiuta un seminarista su cinque, nel mondo: una quantità impressionante! Aiutiamo le famiglie, perché diventino siano formatrici nella fede fin dall’inizio della vita. Aiutiamo i catechisti, perché si possano rifare a metodi pedagogici precisi. Fondamentale è il contributo delle consacrate, presenti su tutti i fronti dell’evangelizzazione, soprattutto là dove il sacerdote non può arrivare. Ai professori forniamo borse di studio affinché organizzino dottorati in teologia, bioetica e in tutti gli ambiti delle scienze moderne dove sia necessaria una preparazione specifica. Aiutiamo anche i mass media: san Paolo, come si dice costantemente, oggi si servirebbe della radio, sarebbe uno specialista della televisione, farebbe il giornalista. Per cui in Brasile e in tutta l’America Latina aiutiamo alcune stazioni radio. Oppure le agenzie di notizie: siamo stati accanto a Zenit nei suoi primi passi, ad esempio, e ora stiamo sostenendo la sua versione in arabo. E stiamo supportando il progetto televisivo online H2O. Ci limitiamo ad aiutare queste iniziative nei loro inizi e poi lasciamo che camminino da soli… da un lato non vogliamo creare dipendenza, dall’altro non avremmo modo di finanziare tanti progetti apostolici. Ovviamente bisogna che dietro ognuno di essi ci sia non solo un’idea forte, ma anche una persona capace di trasformarla in una concreta realtà pastorale. Collaboriamo strettamente anche con l’apostolato biblico. Abbiamo stampato 46 milioni di copie della Bibbia per bambini in 145 lingue. Adesso la stiamo preparando in alcuni dialetti africani e lingue indigene dell’America Latina in cui non si era mai fatto alcun libro. E dopo la Conferenza Episcopale di Aparecida si sta sviluppando una grande sensibilità alla Parola di Dio, e stiamo donando moltissime copie… 60 mila le ultime diffuse. Questo, solo per fare alcune cifre».
Dal 1993 la vostra Associazione ha assunto un programma di aiuto alla Chiesa Ortodossa russa «quale segno di amore gratuito e via di riconciliazione», come ha ricordato padre Werenfried nelle sue Direttive spirituali.
«Papa Giovanni Paolo II ci ha chiesto d’impegnarci nell’ecumenismo con la Chiesa ortodossa, in particolare con quella russa. Lavoriamo ormai da 15 anni a questo progetto, in stretta collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, affinché i teologi ortodossi possano contare su una formazione di alto livello presso università come, ad esempio, la Gregoriana o altre Pontificie Università in Roma. Così anche in Polonia. Siamo certi che offrire la migliore preparazione ai teologi ortodossi aiuterà a migliorare la capacità di dialogo tra queste due Chiese sorelle. Un altro esempio: sosteniamo il Lessico della Chiesa cattolica in Russia, un progetto enciclopedico sui concetti chiave necessari della teologia cattolica a cui stanno lavorando duecento specialisti. E tra di loro si trovano anche molti studiosi ortodossi, anche se l’opera è curata da un’équipe cattolica. Pochi giorni fa sono stato dal metropolita Kirill, appena prima della sua elezione a nuovo Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, e abbiamo avuto un dialogo fruttuoso e arricchente. Ci ha ricevuto con molto affetto a nome di tutti i fedeli ortodossi. Ma il mandato da noi ricevuto dalla Santa Sede, comunque, non riguarda solo i fratelli russi. Aiutiamo anche la Chiesa ortodossa in Etiopia. E altri Paesi del Vicino Oriente, come la Siria e l’Irak, dove portiamo avanti con Taizé il progetto di una piccola biblioteca per Paesi di missione».
Paolo Pegoraro