di Mirko Testa


ROMA, lunedì, 16 marzo 2009 (ZENIT.org).- La recente lettera del Papa ai Vescovi cattolici del mondo è stato un “invito toccante” e un gesto dettato da “un eccesso di amore finalizzato a superare la divisione nella verità - e non al prezzo della verità - con chiaro riconoscimento di quanto è stato il Vaticano II, ma anche dell'amore che sa perdonare”.

Ne è convinto mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto e Presidente della Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede, l'Annuncio e la Catechesi della CEI, che in questa intervista a ZENIT commenta la lettera di Benedetto XVI riguardante la remissione della scomunica dei quattro Vescovi consacrati nel 1988 dall'Arcivescovo Marcel Lefebvre.

Il presule, che la settimana scorsa ha preso parte, in Vaticano, all'incontro delle delegazioni del Gran Rabbinato d'Iraele e della Commissione della Santa Sede per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo, ha sottolineato da parte ebraica la volontà per una “forte ripresa del dialogo” e la “grande fiducia verso la Chiesa cattolica e il Santo Padre”.

Cosa è emerso, in particolare, dall'incontro con la delegazione del Gran Rabbinato d’Israele?

Mons. Bruno Forte: L'aspetto straordinario dell'incontro è stato soprattutto un ritrovarsi come amici in un rapporto di grande fiducia. Non è stato semplicemente un continuare il cammino avviato a Gerusalemme nel 2002, dopo la visita del Papa in Terra Santa in occasione del Grande Giubileo del Duemila, c'è stato veramente un qualcosa in più: un clima di fiducia e di accoglienza reciproca, di consapevolezza di quanto sia importante questo dialogo anche per il servizio della pace e dell'umanità. Un clima suggellato dall'udienza con il Papa e dalle parole del Gran Rabbino di Haifa, Shear-Yashuv Cohen, cariche di estrema attenzione, delicatezza e direi affettuosità e gratitudine verso il Santo Padre per le sue ripetute affermazioni di convinta adesione alla linea della Dichiarazione conciliare Nostra aetate. Anche la risposta del Papa è stata poi di ribadita volontà da parte della Chiesa di andare avanti nel dialogo con i nostri “fratelli maggiori”.

Qual è stato il tema al centro delle discussioni?

Mons. Bruno Forte: Avremmo dovuto riflettere insieme sul tema dell'ecologia, ma ci è sembrato opportuno, e la richiesta ci è venuta dal Gran Rabbinato d'Iraele, che si trattasse di un incontro interlocutorio per rilanciare, sulla base della sua densità simbolica e dell'incontro con il Santo Padre, il cammino del dialogo. E' stato quindi soprattutto un incontro che ha avuto una grande rilevanza sia di atmosfera, di fiducia sia di valore simbolico come messaggio al Popolo d'Israele e alla Chiesa cattolica. Il tema specifico dell'ecologia verrà sviluppato nella seduta che avremo a novembre di quest'anno a Gerusalemme. Tra l'altro, fra le proposte emerse nell'incontro preparatorio c'è stata quella di pubblicare gli Atti di questi dialoghi ufficiali, affinché si possa far conoscere anche all'opinione pubblica il profondo impegno che Chiesa cattolica e Rabbinato d'Israele, Popolo ebraico nella sua dimensione religiosa, stanno mettendo nella volontà di crescere in una sintonia di valori e di valorizzazione del comune patrimonio rappresentato dal Vecchio Testamento.

Che parere si è fatto nel leggere la lettera del Papa ai Vescovi cattolici in merito alla remissione della scomunica dei quattro Vescovi “lefebvriani”?

Mons. Bruno Forte: Anzitutto, è una lettera assolutamente inusuale e nuova nello stile. E' un Papa che scrive con grande umiltà, con grande spirito di amore, di carità e con grande sincerità. Un Papa che non esita a dire che ci sono stati degli errori di procedura, dovuti a un mancato funzionamento di quello che dovrebbe essere il lavoro di équipe al servizio di Pietro. Ed è anche questa la ragione per cui si è deciso di riportare la Commissione Ecclesia Dei all'interno della Congregazione per la Dottrina delle Fede. Questo significa che d'ora in poi Ecclesia Dei non potrà procedere per suo conto, com'è avvenuto in questo caso, ma dovrà sempre sottoporre le sue proposte al vaglio della plenaria dei Cardinali e dei Vescovi sia di Curia che di tutto il mondo, che fanno parte della Congregazione per la Dottrina della Fede. E' una scelta chiara, coraggiosa con cui il Papa mette ordine in una situazione che si è rivelata non funzionante. Dall'altra parte, questo Papa chiama in qualche modo i suoi collaboratori a una attenzione all'informazione, ai dossier, oltre a ribadire che non era a conoscenza della vicenda Williamson.

A me personalmente ha colpito molto il fatto che questo Papa, che con grande sincerità riconosce gli errori commessi, affermi di ritenere assolutamente valida la motivazione che lo ha spinto a questo passo e cioè quella di compiere un gesto di carità, di comprensione e di accoglienza, di fronte a una rottura come quella sancita dalla scomunica. Un gesto che tuttavia non esime dall'avere chiaro che questi Vescovi restano di fatto sospesi a divinis, cioè non possono esercitare il loro ministero fino a quando non ci sarà la piena comunione con la Chiesa, e cioè fino a quando non sarà riconosciuto il Vaticano II e il magistero dei Papi ad esso seguenti. Si tratta di un invito a tutto il popolo di Dio a comprendere questa intenzione profonda di carità e di amore, cosa che non tutti hanno capito, giudicando questo gesto persino con durezza. Credo che questa lettera ribadisca uno stile e segni anche un passo straordinario di trasparenza e autenticità nel rapporto tra la suprema autorità della Chiesa e tutti i Vescovi. E' il cuore del Papa che parla al cuore di tutti i Vescovi, mentre con grande sincerità mette in luce qualcosa che non ha funzionato. Una sintonia della carità che unisce verità e amore.

Crede che si riuscirà realisticamente a ricucire, a livello dottrinale, lo strappo esistente fra la Chiesa cattolica e i seguaci di mons. Lefebvre?

Mons. Bruno Forte: Se i lefebvriani non riconosceranno chiaramente, senza ambiguità, il valore dottrinale e impegnativo del Vaticano II e del magistero ad esso seguente, se insisteranno su questa posizione che anche nella lettera il Papa definisce a volte di chiusura e persino di “superbia”, non potranno essere considerati cattolici e riammessi nella Chiesa. Come dire: rispetto al Vaticano II, indietro non si torna. L'autorità dei Concili e del Papa non può valere solo per un periodo della storia guidata dallo Spirito Santo, la cui assistenza alla Chiesa è garantita dalla promessa di Gesù. Una cosa è pregare e sperare perché possa succedere e una cosa è realisticamente valutare le posizioni di Fellay che mi sembrano tutt'altro che positive nella direzione di una riconciliazione piena.

Tra le tante polemiche suscitate dalla revoca della scomunica, alcune delle accuse mosse contro Benedetto XVI lo dipingevano come un Papa non in linea con lo spirito del Vaticano II. Lei cosa ne pensa?

Mons. Bruno Forte: Sin dal primo discorso che ha tenuto, in qualche modo anche se in nuce, il Vaticano II è stato affermato come la sorgente ispirativa e la bussola del suo pontificato. Il Papa Benedetto è stato teologo esperto al Vaticano II e tutta la sua teologia è stata legata alla maturazione di quanto il Concilio ha dato alla Chiesa e certamente da Papa, sin dal primo momento, egli ha dichiarato di voler servire la recezione del Vaticano e il sempre più profondo ingresso nella coscienza di ogni fedele della straordinaria grazia di questo Concilio ecumenico.