Le catene di San Paolo

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ROMA, lunedì, 16 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’articolo di Graziano Motta apparso sul nono numero della rivista “Paulus” (marzo 2009), dedicato al tema “Paolo il prigioniero”.

 

 

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La Catena di san Paolo, che secolare tradizione vuole abbia segnato la sua condizione di prigioniero in Roma, è stata oggetto in occasione dell’Anno Paolino di una straordinaria operazione di “visibilità”. Lo scorso anno infatti, ai primi di giugno, ha lasciato il posto d’onore che per secoli aveva mantenuto nella piccola Cappella delle reliquie dell’Abbazia dei monaci benedettini – dentro un reliquiario a forma di tabernacolo, di ottone dorato e cristallo – per essere esposta alla venerazione dei fedeli. La Catena, ora posta dentro un’ampia teca illuminata e visibile in tutta la sua estensione, è stata collocata vicino al sepolcro dell’Apostolo. Con la collocazione della Catena proprio vicino alla più preziosa reliquia di san Paolo, il sarcofago con i suoi resti mortali, l’impatto emozionale dei visitatori è indubbiamente cresciuto. La Catena non è lunga come doveva essere all’inizio, cioè – si presume – più o meno un metro. È composta da nove anelli che hanno la forma del numero otto. E è leggera, diversamente dalle due pesanti catene venerate nella chiesa romana di San Pietro in Vincoli, a cui appunto, tradizione vuole, fu “incatenato” san Pietro. La Catena di san Paolo serviva invece per tenere il suo polso agganciato al soldato che ne sorvegliava la prigionia a Roma, negli anni tra il 61 e il 63 d.C., in particolare quando uscivano dalla casa dove viveva in regime di libertà vigilata. Potrebbe essere stata la catena che lo trattenne al soldato sino alle Acque Salvie, il luogo del martirio, oggi noto come Le Tre Fontane. Una testimonianza tramandata dagli Acta Petri et Pauli, apocrifi dei secoli IV e VII ricorda l’episodio di una donna, di nome Perpetua, cieca di un occhio, che viene miracolata quando si imbatte in Paolo in catene e, commossa, scoppia in lacrime. È di san Giovanni Crisostomo (344-407) la prima testimonianza della venerazione della Catena di san Paolo, del quale fu grande ammiratore; suoi fra l’altro i commenti più profondi alle Lettere dell’Apostolo che ci siano giunti dall’antichità cristiana; e al Crisostomo si deve la stabile introduzione nella Divina Liturgia, che porta il suo nome, della lettura di un passo delle Lettere. Seguono le testimonianza di san Leone Magno e di san Gregorio Magno, papa il primo dal 440 al 461, il secondo dal 590 al 604, che con la Basilica di San Paolo ebbero un rapporto importante. Furono infatti impegnati entrambi a difenderla dalle inondazioni del vicino fiume Tevere: papa Leone fece costruire una piattaforma coperta per il sarcofago dell’Apostolo, mentre papa Gregorio fece sollevare questo piano per creare un accesso diretto dal presbiterio al sarcofago attraverso una cripta. Sulla venerazione della Catena, papa Gregorio scrisse una lettera a Costantina Augusta, il cui testo integrale (cfr. Migne P.L. LXXVII, 704) è apparso in uno studio di padre Anselmo Tappi-Cesarini sulla rivista Benedectina VIII del 1954. Dopo aver parlato di questa reliquia (De catenis quas ipse sanctus Paulus Apostolus in collo et in manibus gestavit) e dei miracoli attribuitile (ex quibus multa miracula in populo demonstrantur), il Pontefice promette che ne invierà una parte alla moglie dell’Imperatore… si presume alcuni anelli (partem aliquam vobis trasmettere festinabo). Riferisce poi della tradizione, allora invalsa, di dare la limatura della catena ai devoti (quia dum frequenter ex catenis eiusdem multi venientes benedictione petunt, ut parum quid ex limatura accipiant); un’operazione alla quale attendeva un sacerdote (assistit sacerdos cum lima). Ma accadeva sovente che «inutilmente egli si affaticava a menar su e giù la lima, poiché il ferro non si lasciava intaccare» (così traduce un’antica Guida della Basilica di San Paolo: et aliquibus petentibus ita concite aliquid de catenis ipsis excutitur, ut mora nulla sit. Quibusdam vero petentibus, diu per catenas ipsas ducitur lima, et tamen ut aliquid exinde exeat non obtinetur ). Si sa che la limatura veniva versata in un bicchiere d’acqua, bevuta da ammalati che imploravano la guarigione. Padre Tappi-Cesarini scrive che «il Rucellati, il Panvinio e il Mercurius confermano l’esistenza della catena di san Paolo nel reliquiario del monastero di San Paolo. Così pure gli inventari della Sacrestia dal 1630 al 1727». Sull’autenticità delle antiche testimonianze non può esserci alcun ragionevole dubbio: la venerazione della Catena come reliquia ex contactu si è protratta ininterrottamente sino a oggi. Ancora nel secolo scorso, nelle feste della Conversione di San Paolo (25 gennaio) e dei Santi Pietro e Paolo (29 giugno) il reliquiario veniva solennemente esposto e, dopo le funzioni, era offerto al bacio dei fedeli. «Al 30 giugno, dopo la Cappella Papale – ricorda padre Tappi-Cesarini – il corteo dei vescovi assistenti al soglio, guidati dal cerimoniere pontificio, si reca all’altare per il bacio della Catena. Nel giorno poi della stazione quaresimale, feria quarta in tradizione symboli, viene portata in processione per le navate della basilica». Attualmente questa processione avviene il 29 giugno, al termine dei Vespri della solennità dei santi Pietro e Paolo. L’Abate benedettino e i monaci – accompagnati di recente anche da rappresentanti di diverse confessioni cristiane in Roma – percorrono con la reliquia la zona adiacente alla Basilica.

Impossibile sapere quanti fossero all’inizio gli anelli della Catena. Dei tredici che erano stati inventariati nel 1639 e collocati su una Statua d’argento di san Paolo, oggi ne rimangono soltanto nove. Gli ultimi due anelli furono donati da papa Giovanni Paolo II all’arcivescovo di Atene Christodoulos e consegnati a lui personalmente il 14 dicembre 2006 dall’arciprete della Basilica – il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo – che ricevette in contraccambio un’icona moderna di Paolo, di scuola greca, posizionata sulla parete della navata mediana destra della Basilica. L’icona è sempre illuminata per richiamare l’attenzione e la venerazione dei pellegrini, soprattutto di quelli ortodossi; una targa fa memoria dell’evento ecumenico. Ed è stato sempre il cardinale Montezemolo a volere il trasferimento della Catena dalla Cappella delle reliquie all’area del Sepolcro di Paolo, e ad affidare il disegno della teca espositiva allo scultore Guido Veroi, 82 anni, Accademico Pontificio nella sezione delle Arti. Veroi aveva già progettato, su suo incarico, la medaglia commemorativa dell’Anno Paolino (disponibile nelle coniazioni in bronzo e in argento) e soprattutto la Porta Paolina della Basilica. Della Porta Paolina – nel Quadriportico d’ingresso è la seconda da sinistra – Veroi ha disegnato in quattro grandi pannelli altrettanti episodi della vita dell’Apostolo e, in sei più piccoli, stemmi e iscrizioni tratti dalle Lettere [cfr. Paulus 2, pp. 62-63]. Questi pannelli – collocati pochi giorni prima dell’apertura dell’Anno Paolino – verranno però sostituiti entro il 29 giugno. «In questi giorni – ci spiega Veroi – per rispettare i tempi, sto modellando, con l’aiuto di una mia allieva, i quattro grandi pannelli relativi agli episodi della vita di san Paolo, che verranno poi realizzati in bronzo». Veroi è divenuto celebre con le Caravelle di Colombo della prima moneta d’argento della Repubblica Italiana, emessa nel 1954. La sua fama è cresciuta nel tempo, e non solo con le centinaia di medaglie e di monete che recano la sua firma (l’ultima è la moneta di 2 euro che lo Stato della Città del Vaticano ha emesso nel 2008, “anno dedicato a San Paolo” e quarto del pontificato di Benedetto XVI). Ricordiamo le porte della chiesa dello Spirito Santo a Pescara, con i mosaici di a
ltre chiese – rinomato quello della parrocchia Santa Famiglia di Martina Franca – e con la copia in bronzo realizzata nel 1995 della statua equestre di Marco Aurelio collocata nella piazza del Campidoglio di Roma, in sostituzione dell’originale antico, ora custodito nel Museo Capitolino. La Teca delle Catene è in bronzo patinato, biondo, con una finestra in cristallo sempre illuminata. È di proporzioni rettangolari: lunga 87,20 centimetri, larga 42,20, alta 62. Ma se si considerano le tre statuette in alto – san Paolo in catene fra due soldati romani – raggiunge gli 85 centimetri. La finestra, lunga 70 centimetri, consente di vedere in tutta la loro estensione i nove anelli della Catena, disposti sopra un rivestimento di seta bianca. «Ho voluto – dice Veroi – che questi anelli fossero trattenuti all’estremità da due riproduzioni di una moneta romana, da me modellata in diametro doppio dell’originale, di un sesterzio con l’effigie di Nerone, per ricordare che san Paolo fu prigioniero e martire nel tempo in cui questi fu imperatore di Roma». La teca è stata posta davanti al Baldacchino di Arnolfo di Cambio su un piano inclinato, per cui per il lato anteriore è stato necessario modellare due grosse zampe di leone, mentre per il lato posteriore è stato sufficiente appoggiare la teca su due piccoli cilindri. Poi il maestro Veroi ci tiene a ricordare chi lo ha affiancato nel lavoro: la sua allieva Gabriella Titotto «che ha modellato i tre personaggi posti poi sul colmo: san Paolo in catene tra due soldati romani; e le zampe di leone, le colonne scanalate e gli acroteri che sormontano le quattro colonne». E il cesellatore che ha realizzato in bronzo l’intera teca, il suo montaggio e la sua collocazione sul marmo inclinato: Remo Mansutti, «artista validissimo con il quale ho rapporti di lavoro da oltre cinquant’anni, con grandi soddisfazioni». Così la Catena è stata restituita alla secolare venerazione dei pellegrini, proprio in occasione dell’Anno Paolino: si può proprio parlare di un evento incastonato nelle celebrazioni dell’Apostolo.

Graziano Motta

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ZENIT Staff

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