Anche in Europa intolleranza e discriminazioni contro i cristiani

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BRUXELLES, giovedì, 12 marzo 2009 (ZENIT.org).- 200 anni dopo aver spento lo splendore di una grande storia dell’Europa, nuovi lumi, mai sopiti, tornano ad illuminare l’uomo e la sua storia passata e futura; la visione del mondo torna tridimensionale, a colori, mettendo in risalto luci ed ombre, cioè tornando a vedere la realtà, tutta la realtà.

Il servizio che segue a firma di Giorgio Salina, Presidente dell’Associazione Fondazione Europa, è il primo di una serie che fanno parte della rubrica “Lumi sull’Europa”.

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Il Vice Presidente del Parlamento Europeo (PE), Mario Mauro, il 15 gennaio scorso è stato nominato “Rappresentante personale della Presidenza dell’OSCE contro razzismo, xenofobia e discriminazione, con particolare riferimento alla discriminazione dei cristiani”. Indubbiamente un riconoscimento dell’azione svolta nelle Istituzioni europee: ordini del giorno, dichiarazioni, comunicati stampa, emendamenti presentati a numerose Risoluzioni del PE. Sue azioni non molto note sono quelle a favore dei cattolici venezuelani perseguitati dalla rivoluzione bolivariana di Chavez, ed altre a sostegno dei cristiani di Terra Santa.

L’OSCE è l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, con sede a Vienna, a cui appartengono 56 Stati dall’America del nord all’Estremo Oriente russo, attraverso l’Europa, il Caucaso e l’Asia centrale, che ha come proprio motto: “È questo il momento di realizzare le speranze e le aspettative dei nostri popoli per decenni: l’impegno costante per una democrazia basata sui diritti dell’uomo e sulle libertà fondamentali, la prosperità attraverso la libertà economica e la giustizia sociale nonché un’uguale sicurezza per tutti i nostri Paesi” (Carta di Parigi per una nuova Europa, 1990).

La prima iniziativa di Mauro è stata una tavola rotonda a Vienna, per discutere e approfondire la natura e la portata delle manifestazioni di intolleranza contro i cristiani. Il titolo del convegno era già di per sé eloquente, oltre che una salutare novità in ambito internazionale: “Intolleranza e discriminazione contro i cristiani. Focus sull’esclusione, emarginazione e negazione dei diritti”. Le risultanze dell’incontro sono preoccupanti anche per l’area UE.

Come ha scritto Antonietta Calabrò sul Corriere della Sera, “le testimonianze presentate a Vienna (sotto la clausola diplomatica della garanzia di riservatezza nei confronti dei Governi coinvolti) sono state addirittura più allarmanti, secondo tre direttrici: una più evidente nell’Est ex sovietico, la seconda nell’Europa laicizzata, la terza infine nei Paesi sempre più penetrati (…) dall’avanzata islamica”. È certamente noto, ad esempio, che nella parte turca di Cipro, 550 Chiese e Cappelle sono state destinate a moschee, a magazzini e a stalle, mentre in Turchia luoghi sacri di religioni diverse dall’Islam non possono affacciarsi su uno spazio pubblico, per cui alla Basilica del Patriarcato si accede attraverso un ristorante.

La morte di Hrant Dink, le azioni contro Orhan Ant, missionario protestante a Samsun, sul Mar Nero, che ha avuto minacce di morte, l’episodio della sospensione dal lavoro in Inghilterra di un dipendente aeroportuale colpevole di aver esposto un’immagine di Gesù, l’incendio presso la scuola cattolica e la cappella di Notre Dame de Fatima in Francia sono solo alcuni dei casi d’intolleranza e di discriminazione nei confronti dei cristiani, ad est e ad ovest di Vienna, senza contare le violente persecuzioni che colpiscono le comunità cristiane al di fuori dell’area Osce. È di mercoledì 11 marzo, la notizia dell’uccisione di tre sacerdoti in Africa (cfr. ZENIT, 10 marzo 2009).

In Gran Bretagna l’infermiera Caroline Petrie è stata licenziata per aver consegnato un’immagine sacra ad una paziente; nella Spagna di Zapatero si cerca in tutti i modi di impedire l’esercizio del fondamentale diritto all’obiezione di coscienza ai medici cattolici.

Gli episodi qui ricordati sono la punta dell’iceberg di una intolleranza che permea parte della società europea, dimostrando l’urgenza di quella “nuova evangelizzazione” di cui hanno parlato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, perché la convivenza civile ritrovi la strada maestra della cultura e della tradizione che hanno dato al Vecchio Continente i valori, che i popoli del terzo mondo invidiano ed invocano.

Indubbiamente il maggior risultato della tavola rotonda di Vienna, al di la delle denuncie dei singoli episodi per altro importanti, è stato rimettere a tema, nel contesto internazionale, l’intolleranza e le discriminazioni contro i cristiani, fino ad ora un tabù di cui non si doveva né poteva parlare, non solo per rispettare il politically correct, ma per non essere definiti reazionari ed “oscurantisti”. Discutere di queste cose è invece un’esigenza di giustizia ed un servizio all’intera comunità, perché la libertà religiosa è la cartina di tornasole che attesta il rispetto o meno di tutte le libertà; se non c’è la prima, purtroppo prima o poi vengono violate anche le altre.

Le Istituzioni europee non sono esenti da questo contagio nichilista e relativista con manifestazioni di intolleranza verso la religione cristiana, cattolica in particolare, e contro la Chiesa ed il Santo Padre. È in atto una forma più subdola ma non per questo meno violenta di discriminazione. Al PE si riscontra un’ostilità diffusa e manifesta, tale per cui, in particolare in questa legislatura, nessuno dei fondamentali principi etici naturali promossi dalla cultura cattolica sull’uomo e sulla società ha la ben che minima probabilità di essere condiviso.

A conferma di ciò possiamo citare un recente episodio, ancorché paradossale. Il 22 dicembre dello scorso anno, il Santo Padre in un discorso ai membri della Curia e della Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi, disse tra l’altro: “Il matrimonio, cioè il legame per tutta la vita tra uomo e donna (…) fa parte dell’annuncio che la Chiesa deve recare (…). Partendo da questa prospettiva occorrerebbe rileggere l’Enciclica Humanae vitae: l’intenzione di Papa Paolo VI era di difendere l’amore contro la sessualità come consumo, il futuro contro la pretesa esclusiva del presente e la natura dell’uomo contro la sua manipolazione”.

L’Onorevole Sophia in ‘t Veld, dei Paesi bassi, membro del Gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, quando ne è venuta a conoscenza, ha preso carta e penna e ha scritto al Presidente Barroso chiedendogli di intervenire per impedire queste forme di prevaricazione e di grave ingerenza contro la laicità delle Istituzioni, accusando il Papa di “criminalizzare gli omosessuali, chiamando i cattolici a raccolta contro di loro.”

La signora Sophia in ‘t Veld è Copresidente dell’intergruppo Gay, Lesbiche, Bisessuali, Transessuali, Transgender, il più numeroso del PE.

Una simile farneticazione non meriterebbe nessuna attenzione, se in occasione di ogni discussione sulle discriminazioni nei confronti degli omosessuali, ricorrenti ad intervalli regolari, il Santo Padre non fosse accusato, da non pochi settori, di “fornire il supporto culturale ai discriminatori”.

Quest’altra assurdità altro non è che una manifestazione dell’ostilità, prima citata, che appartiene all’intolleranza e alla discriminazione contro i cristiani, affinché non abbiamo voce negli ambiti pubblici e politici in particolare; quell’intolleranza e discriminazione di cui si è iniziato a parlare a Vienna.

Trattandosi di un fenomeno rilevante, che ha un’influenza assai negativa sulla normale dialettica parlamentare e non solo, se ne dovrà parlare di nuovo, per approfondire cause, fatti e conseguenze.

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ZENIT Staff

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