La verità tra fede e ragione

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di Antonio Gaspari

ROMA, domenica, 8 marzo 2009 (ZENIT.org).- Intenso e vivace il dibattito scaturito al Congresso sull’Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio nel 10º anniversario della pubblicazione, svoltosi a Roma il 5 e il 6 marzo presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (APRA).

Promosso dalle Facoltà di Filosofia e Teologia e dal Master in Scienza e Fede dell’Ateneo Pontificio, il congresso aveva per tema “Rinnovare la filosofia alla luce della fede”.

Aprendo i lavori, monsignor Rino Fisichella, Rettore della Pontificia Università Lateranense (PUL) e Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha spiegato che “rivendicare la scientificità della teologia è un’operazione necessaria per conoscere e fare della fede e dei suoi contenuti un sapere comunicabile”.

La ragione, che ha tantissimi meriti, secondo monsignor Fisichella “non può fondare la fede né un sistema filosofico darne certezza”. Allo stesso tempo, però, “la ragione è una via che se ben seguita conduce inevitabilmente alla fede e questa permane nel suo fondamento coerente nella misura in cui ritrova come sua compagna di strada la ratio”.

“D’altronde – ha aggiunto il Rettore della PUL -, la domanda di senso richiede che alla fine si fondi l’esistenza su qualcosa di certo e non sul contingente”.

Il professor Giuseppe D’Acunto, dell’APRA, ha sostenuto che il giusto “pensare filosofico” va inteso come “quella dimensione sorgiva del ‘senso’ in cui il primo mette radici e a cui deve sempre tornare ad attingere”.

“La questione del ‘senso’ è un principio che la Fides et ratio determina, nel segno di quel ‘desiderio di verità’ che è una ‘proprietà nativa della ragione’. In questa luce, l’uomo stesso è definito come ‘colui che cerca la verità”.

Padre Juan G. Ascencio, LC, della Facoltà di Filosofia dell’Ateneo, ha affrontato il tema del nichilismo da Nietzsche a Vattimo, e ha illustrato come la Fides et ratio risponda al nichilismo ed al relativismo.

Il paragrafo 90 dell’Enciclica mette a nudo la radice di tutta la problematica del nichilismo, indicando “il rifiuto di ogni fondamento e la negazione di ogni verità oggettiva”.

La Fides et ratio respinge il nichilismo perché condanna l’uomo “a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso”. Nel paragrafo 46, si ricorda il nichilismo come “filosofia del nulla”.

Secondo il docente dell’APRA, “l’Enciclica non solo presenta un’attenta diagnosi del nichilismo. Essa mira anche al suo superamento e spiega che il nichilismo tecnico e quello pratico sono divenuti un problema di ordine culturale, non superabile con i soli strumenti della filosofia”.

“Per questo motivo – ha rilevato padre Ascencio -, la Fides et ratio merita di essere seguita più nel suo invito alla fides (e alla spes che ne fa seguito), che alla ratio. In un certo senso, la cultura della vita, in quanto cultura umana aperta al Logos, è l’unica risposta adeguata”.

In questo contesto, il professor Guido Traversa (APRA) ha ribadito che sussiste un’intima connessione tra la logica, l’ontologia e l’etica, “che consente di non cadere nella forma di un realismo ‘determinista’ e ‘scientista’, quale quello dominate oggi nelle scienze, umane e naturali”, privilegiando “una forma di realismo che si fonda sulla identità del reale e consente di conoscere ed agire nella realtà cogliendone le strutture unitarie, universali, senza cancellarne le differenze, i tratti accidentali ed il divenire delle singole cose e delle persone”.

Padre Alfonso Aguilar, L.C. ha sottolineato dal canto suo che la crisi della filosofia odierna va superata portando a compimento le tre esigenze fondamentali e irrinunciabili che Giovanni Paolo II propone nella Fides et ratio (nn. 81-84): appurare la capacità dell’uomo di giungere alla conoscenza della verità per superare la dittatura del relativismo, trascendere i dati empirici per giungere nella ricerca della verità ad un assoluto ultimo e fondante e ritrovare la dimensione sapienziale di ricerca del senso ultimo e globale della vita.

“In questo modo, la filosofia odierna recupererà la sua vocazione originaria per formare il pensiero e la cultura attraverso il richiamo perenne alla ricerca del vero”.

Monsignor Giuseppe Lorizio (PUL) ha precisato che “l’Enciclica invita a considerare con adeguata attenzione e vigilante discernimento la postmodernità e le sue correnti di pensiero” (cfr. n. 91).

"Tale invito induce il teologo a misurarsi con le diverse forme di razionalità presenti nell’areopago contemporaneo, da un lato cercando di cogliere le possibilità di apertura all’ulteriorità e alla trascendenza insite nelle varie forme del sapere, dall’altro attivando percorsi tendenti a ricondurre all’orizzonte unitario della ragione tali espressioni, che altrimenti resterebbero condannate alla disperazione epistemologica, nella ricerca del Vero, che resta compito ed impresa autenticamente umana oltre che profondamente cristiana”.

Don Mauro Gagliardi ha invece parlato del ruolo del teologo come collaboratore della verità.

Per Gagliardi, il teologo collabora alla Verità, perché “collabora personalmente con Cristo stesso che è la Verità in persona, come dice il Vangelo di Giovanni”

Un secondo livello fa del teologo il collaboratore della verità intesa come “Vangelo della verità” o “sana dottrina”, secondo delle espressioni che si trovano nel Nuovo Testamento (in particolare, ma non solo, nelle lettere paoline).

Il sacerdote ha precisato che “il teologo è collaboratore della verità non solo ricevendo dall’alto la verità di Dio attraverso la rivelazione soprannaturale, ma anche andando ad integrare e purificare la pur legittima e doverosa ricerca della verità ‘dal basso’, operata dalla filosofia e, per altri ambiti, dalle altre scienze e discipline. Il teologo non può assumere acriticamente ciò che la filosofia e le scienze offrono”.

Anche se il contributo di queste ultime “è prezioso, anzi necessario per la teologia”, questa “deve operare un discernimento critico, assumendo questi contributi ma anche sapendoli correggere ed integrare alla luce della verità piena offertaci nella persona di Gesù Cristo. Così si eviterà di piegare la teologia (e quindi la fede) alle esigenze o conoscenze del momento, ma al contrario si eleverà l’uomo ed il suo sapere verso vette più alte di verità”.

Padre Dominic Farrell, L.C. , Docente di etica generale all’APRA, ha sostenuto che la Fides et ratio “incoraggia lo studio del pensiero di Tommaso d’Aquino, innanzitutto per ciò che concerne la formazione del clero”.

Infatti, il numero 58 dell’Enciclica mette in rilievo che sulla scia dell’Æterni Patris molti studiosi avevano manifestato il coraggio di attingere alla tradizione tomista per affrontare i dibattiti filosofici e teologici del novecento.

Padre Farrell ha ricordato che “mentre negli anni anteriori al Concilio la tradizione tomista costituiva la base di gran parte della formazione filosofica e teologica nei centri cattolici, nel post-Concilio si diffuse la tendenza opposta”.

Questo abbandono di Tommaso è paradossale perché lo stesso Vaticano II fu in certo senso frutto dell’Æterni Patris e il retroterra del Concilio è in gran parte la riflessione di pensatori cattolici formati nel pensiero di S. Tommaso o ispirati da esso.

“Ciononostante, nel post-Concilio in numerose scuole cattoliche si è verificata una disaffezione e una minor stima per la filosofia e anche per il pensiero di Tommaso, proprio mentre per la prima volta nella storia Tommaso d’Aquino gode di piena cittadinanza nelle facoltà di filosofia delle università laiche”, ha sottolineato.

“Conviene quindi considerare e capire le raccomandazioni che
la Fides et ratio propone per una filosofia e di una teologia nella tradizione di S. Tommaso”, ha concluso.

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ZENIT Staff

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