Iraq: più timori che speranza per il ritiro delle truppe USA

Confessa il visitatore apostolico per i caldei in Europa

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ROMA, lunedì, 2 marzo 2009 (ZENIT.org).- “Più timori che speranze”: sono questi i sentimenti suscitati nella popolazione irachena dalla decisione dell’amministrazione americana guidata da Barack Obama di ritirare definitivamente le truppe USA dall’Iraq. 

Il ritiro dei 142.000 soldati statunitensi, ha confessato alla “Radio Vaticana” monsignor Philip Najim, visitatore apostolico per i fedeli caldei in Europa, fa temere che il Paese venga lasciato a se stesso quando non è ancora abbastanza forte per affrontare tutti i problemi attuali.

“Lasciare oggi l’Iraq da una parte va bene, ma dall’altra no, perché oggi l’Iraq non ha una forza capace di difendere il popolo iracheno, perché si tratta di un esercito debole, che non è ancora attrezzato, non è capace di dirigere militarmente questo Paese”, ha osservato il presule.

“E’ un esercito che non è al 100% patriottico, nazionale; abbiamo bisogno di una riconciliazione tra le sezioni politiche che possano creare un esercito che guardi l’interesse del popolo iracheno, per poter creare uno Stato indipendente, sovrano, che possa difendere se stesso e possa anche realizzare una vita democratica”.

L’Iraq, aggiunge, “deve acquisire una vita sana, patriottica, nazionale, che possa realizzare una politica che dev’essere a favore dell’uomo, della crescita dell’Iraq; uno Stato capace di dirigere l’economia”.

Circa la situazione dei cristiani nel Paese, monsignor Najim rileva che tutte le etnie del popolo iracheno hanno subito persecuzioni, ma in questi anni di presenza americana i cristiani hanno subito “danni enormi”: “sono stati colpiti nelle loro Chiese, sono stati colpiti anche nelle personalità ecclesiastiche che hanno dato testimonianza della loro fede, del loro amore per la loro patria”.

“Questi sei anni di guerra, d’invasione, hanno creato una situazione molto difficile per i cristiani: migliaia e migliaia di essi hanno lasciato il Paese per poter trovare una vita più sicura, perché abbiamo veramente visto – in questi sei anni – che la persona irachena ha perso la sua dignità all’interno del suo Paese, attraverso l’invasione e i vari gruppi politici, che non hanno posto l’interesse del popolo iracheno sopra ogni cosa”.

Questa situazione “ha creato un grande disagio per l’Iraq, e i Paesi europei non hanno fatto molto” per risolverla, denuncia.

In questo contesto, monsignor Najim chiede alla comunità internazionale “di poter intervenire di più, di poter aiutare il popolo iracheno, per poter così acquisire la pace e per potersi inserire di nuovo nella comunità internazionale dando il suo contributo”.

L’Iraq, sottolinea, “è un Paese ricco e può dare anche la sua testimonianza attraverso la sua presenza nella regione del Medio Oriente”, “perché il popolo iracheno ha alle spalle una storia enorme, ha una grande cultura, solo che ha subito gravi danni per trent’anni, tra embargo, guerre e invasioni”.

“Dobbiamo incoraggiare il nostro popolo a rimanere nel Paese, per poter contribuire a ristabilire questa sicurezza, ricostruire l’Iraq insieme, così come l’abbiamo costruito nella storia, e lavorare tutti per la patria, per la bandiera, per il bene del popolo iracheno”, conclude.

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ZENIT Staff

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