ROMA, venerdì, 27 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Lo spirito di povertà è una “provvidenziale difesa dalle facili tentazioni di prosperità economica e idolatria del denaro”, afferma l’Arcivescovo Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, nel suo Messaggio per la Quaresima 2009.
Il presule ha dedicato il suo Messaggio alla riflessione sul valore e sul senso del digiuno, ispirandosi al magistero di Benedetto XVI e ricordando che “la pratica del digiuno, con la sua valenza spirituale, può aiutarci a mortificare l’egoismo e ad aprire il cuore all’amore di Dio e del prossimo, primo e sommo comandamento della nuova Legge e compendio di tutto il Vangelo”.
“Particolarmente ai nostri giorni, segnati da una grave crisi economica, il digiuno risveglia la coscienza dinanzi alla situazione in cui vivono tanti nostri fratelli”, osserva l’Ordinario militare.
“Scegliendo liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo”.
Per mantenere vivo questo atteggiamento “di accoglienza e di attenzione verso i fratelli”, constata, siamo invitati a dare ai poveri “quanto, grazie al digiuno dalla ricchezza, riusciamo a mettere da parte, riscoprendo la bellezza della carità, fondata sulla consapevolezza di essere corpo di Cristo, famiglia umana”.
“La generosità e la condivisione, frutti dell’amore di Dio che passa attraverso la testimonianza dei credenti, provocano un inno di lode al Signore da parte dei più piccoli”. In questo modo, il prossimo si sente “raggiunto e avvicinato da una Chiesa di poveri e non solo da una Chiesa per i poveri”.
L’Arcivescovo ha sottolineato che oggi il denaro “sembra dare sicurezza” e “come tutti gli idoli promette libertà, ma poi schiavizza e disumanizza, conducendo l’uomo a dimenticare Dio e a non riconoscere nel volto dell’altro un fratello”.
Per questo motivo, sottolinea la necessità di “vigilare, condurre una dura lotta non fuori, ma dentro se stessi, contro le tentazioni, i pensieri e le suggestioni che conducono all’avarizia”.
“Al contrario di una mentalità fondata sull’apparire e il possedere, è attraverso ciò che non abbiamo che noi possiamo mostrare ciò su cui fondiamo la nostra vita e rendiamo visibile la potenza della Parola che salva”.
“Se uno possiede cose, dà cose; quando non si ha nulla e si è ricchi solo del Vangelo, si dona se stessi e si ama”, ha osservato.
Riconoscendo che è facile “aiutare qualcuno senza accoglierlo pienamente”, l’Arcivescovo Pelvi ha ricordato che “al povero, al malato, allo straniero, al carcerato occorre fare spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie e nelle proprie risorse”.
Da qui, sostiene, “nasce l’esperienza entusiasmante di una vita sobria, essenziale, che diviene segno della propria fiducia in Dio e di una comunione aperta, da cui nessuno è escluso”.
“Radicati in questa sobrietà, possiamo veramente innamorarci della bellezza ed esprimere un vissuto quotidiano in cui godere del dono delle cose senza risultarne schiavi, facendo dei beni materiali e del denaro un surrogato del proprio vuoto interiore”.
“Quanta solidarietà ci sta dinanzi, perché il Vangelo della carità possa tradursi in pane di pace”, ha concluso.