Il capitalismo e le sfide della crisi economica

di Giovanni Marseguerra*

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ROMA, giovedì, 19 febbraio 2009 (ZENIT.org).- In uno scenario di crisi sempre più preoccupante, con i Governi di tutto il  mondo che stanno faticosamente tentando di salvare le loro economie – prima è stata la volta delle banche e delle istituzioni finanziarie, poi si è passati alle assicurazioni e, più recentemente, alle aziende dell’industria dell’auto – il dibattito sul più corretto rapporto tra Stato, società e mercato è ormai uscito dal recinto delle discussioni accademiche per diventare di stringente attualità e concreta rilevanza.

Anche in Italia, dove pure fortunatamente non è stato ancora necessario l’intervento diretto dello Stato per evitare il fallimento di banche o imprese, si discute della necessità di garantire aiuti pubblici in una situazione di gravità eccezionale. Ma al di là delle pur gravi contingenze, è lo stesso modello del capitalismo che è spesso messo in discussione, quando addirittura non apertamente accusato di essere la causa prima di quella crisi finanziaria che ha contribuito non poco ad accrescere la virulenza della recessione che sta oggi mettendo in ginocchio tutto il mondo. Ma è davvero il capitalismo ad essere responsabile dei nostri problemi odierni?

La risposta non è ovviamente semplice ma, così come anche per molte altre questioni simili, è molto istruttivo andare ad esaminare come affronta il problema la dottrina sociale cattolica. Il quesito di fondo di oggi è già ben presente nell’Enciclica Centesimus Annus, pubblicata da Giovanni Paolo II nel 1991, che al n. 42 si domanda se sia o meno opportuno che verso il capitalismo “vadano indirizzati gli sforzi dei Paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società”. La risposta, nella sua articolazione e profondità, è ancora di straordinaria attualità e dimostra la grande capacità anticipatrice della dottrina sociale: “Se con «capitalismo» si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di «economia d’impresa», o di «economia di mercato», o semplicemente di «economia libera». Ma se con «capitalismo» si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa” (Centesimus Annus, n. 42).

In modo molto incisivo la dottrina pone dunque in luce come sia per certi versi insensato porre sotto accusa il capitalismo tout court, e come invece le responsabilità vadano piuttosto cercate in un certo capitalismo privo di “un solido contesto giuridico” e incapace di porre la libertà economica in un contesto centrato sull’etica. Ad essere mancate al capitalismo dell’ultimo decennio, nella versione turbo-finanziaria di origine anglosassone, sono state le regole e i valori che dovrebbero invece sempre ispirare e guidare ogni forma di attività economica. Fortunatamente il capitalismo italiano, fortemente ancorato ai valori della famiglia e della responsabilità, è rimasto sostanzialmente immune dagli eccessi che hanno caratterizzato invece altri Paesi a noi vicini. Abbiamo pagato questa prudenza (che qualcuno ha confuso con l’arretratezza) con una crescita ridotta negli anni del boom ma oggi, con i nodi che stanno inesorabilmente venendo al pettine, la nostra saggia cautela si sta rivelando ogni giorno di più una fortuna. 

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* Professore straordinario di Economia politica all’Università Cattolica di Milano e Segretario scientifico della Fondazione Vaticana Centesimus Annus – Pro Pontifice.

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ZENIT Staff

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