ROMA, mercoledì, 18 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Non esiste “una gerarchia di dignità della vita umana”, ha affermato l’Arcivescovo Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, all’Ospedale Celio di Roma l’11 febbraio scorso, XVII Giornata Mondiale del Malato.
Secondo il presule, è necessario riflettere perché al giorno d’oggi “tra noi si proclama la libertà di disporre della propria vita, tanto da decidere chi non è più ‘degno di vivere’ promuovendone la morte”.
La sofferenza, ha osservato, “è tanta intorno a noi: a volte clamorosa, gridata, ma molto più spesso nascosta e silenziosa”.
Anche se “noi non saremo mai capaci del miracolo di guarire qualcuno”, ha constatato, “dobbiamo essere capaci del miracolo di servire, generare compassione, di prenderci cura”.
Prendersi cura “non è solo gesto professionale e tecnico, fatto di competenza e abilità”, ma anche “rispetto della dignità umana che si radica nel nostro caldo nesso umano”.
“Con la parola e l’esempio, nella reciprocità dei rapporti e delle scelte e mediante gesti e segni concreti dobbiamo educarci all’accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole e malata, sviluppando vicinanza, assistenza, e condivisione”.
Nella nostra società, ha sottolineato l’Ordinario militare, “la morte diventa un confine convenzionale e non naturale, quindi, da definirsi attraverso leggi e pareri medici. Il tutto sempre velato dal mito della libertà individuale, che sembra raggiungere il suo apice nell’ottenimento del diritto di decidere della propria fine”.
“Amare non è compatibile con il rifiuto dell’altro, solo perché debole o incapace di svolgere normalmente alcune funzioni”, ha ricordato l’Arcivescovo.
“Riconoscere la nostra comune natura non consente di stabilire una gerarchia di dignità della vita umana”.
A suo avviso, “a nessuno sfugge l’ipocrisia con cui parte della cultura contemporanea sta favorendo una nozione di qualità della vita che è, al tempo stesso, riduttiva e selettiva” e consisterebbe “nella capacità di godere e di sperimentare piacere, o anche nella capacità di autocoscienza e di partecipazione alla vita sociale”.
“In conseguenza, è negata ogni qualità di vita agli esseri umani non o non più capaci di intendere e di volere, oppure a coloro che non sono più in grado di godere la vita come sensazione e relazione”.
“Ciò – ha dichiarato – non è degno della persona umana; tanto più per un cristiano”.
Di fronte a questa situazione, l’Arcivescovo Pelvi ha esortato a mettersi alla scuola della Vergine Maria: seguendo il suo esempio, infatti, “ciascuno potrà diventare sguardo che accoglie, mano che solleva, luce nella tenebra, parola di conforto, abbraccio di speranza”.