Un Sinodo per fermare l'esodo dei cristiani del Medio Oriente

A parlarne è monsignor Louis Sako, Arcivescovo di Kirkuk (Iraq)

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ROMA, giovedì, 12 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Dare “una linea comune” ai cristiani mediorientali è l’obiettivo per il quale monsignor Louis Sako, Arcivescovo di Kirkuk (Iraq), ha proposto di celebrare un Sinodo per la Chiesa in Medio Oriente.

In un’intervista rilasciata alla rivista Oasis, il presule ha spiegato che la richiesta di un Sinodo deriva dalla constatazione che i cristiani mediorientali sono “schiacciati da tante sofferenze e incalzati da molte sfide”, alle quali bisogna dare una risposta.

“Siamo comunità esigue e per affrontare tutti questi problemi abbiamo bisogno di essere aiutati”, ha riconosciuto, elencando una serie di difficoltà, la più grande delle quali “è certamente l’esodo dei cristiani dalle nostre regioni”.

“E’ concreto il rischio che in un prossimo futuro non ci siano più cristiani in Medio Oriente – ha avvertito –. Noi siamo profondamente preoccupati che il destino dei cristiani in questi Paesi possa divenire lo stesso dei cristiani in Turchia o in Iran, dove ormai sono pochissimi”.

Un altro problema sottolineato dal presule è quello della pastorale. “Spesso oggi sperimentiamo la mancanza di un programma pastorale adeguato alla situazione in cui viviamo e ci chiediamo come prepararne uno adatto ai nostri fedeli”, ha osservato.

“Per esempio, pensando ai laici, torna di frequente una domanda: come possono vivere e testimoniare la loro fede nel contesto socio-culturale nel quale sono immersi? Come dobbiamo concepire la stessa presenza dei cristiani in campo sociale e culturale in Medio Oriente?”.

Allo stesso modo, bisogna rispondere alle difficoltà rappresentate dalla riforma liturgica, dalla formazione dei seminaristi, dei monaci e dei religiosi e “dall’incontro con i musulmani” per “aiutarli a conoscere e capire un po’ di più il nostro cristianesimo”.

“Non mancano, dunque, questioni vive e interessanti da affrontare. La Santa Sede promuove un Sinodo per l’Africa, uno per l’Asia, perché non anche per i cristiani del Medio Oriente?”, ha chiesto.

“Anche il Santo Padre mi ha detto che è una buona idea”, ha rivelato.

Per monsignor Sako, un Sinodo di questo tipo dovrebbe coinvolgere Iraq, Libano, Siria, Giordania, Egitto e Palestina. Per quanto riguarda i diversi riti, “sarebbero coinvolti i caldei, i siriaci, gli armeni, i copti, i maroniti e i melchiti”, tutti i riti praticati nell’area mediorientale.

Per impostare il lavoro di questa assise, è necessario “costituire un comitato misto che comprenda esponenti delle varie Chiese e dei vari Paesi, nonché i rappresentanti della Santa Sede, esperti nell’organizzazione di simili eventi”. Il processo, secondo il presule, richiederà “almeno un anno”.

Gli obiettivi del Sinodo

I frutti di un Sinodo di questo tipo, ha continuato, sarebbero preziosi soprattutto per dare unità e direttive uniformi ai cristiani della regione.

“Ciò di cui abbiamo bisogno è una linea comune – ha confessato –. La vita della Chiesa ha un movente ben chiaro che è l’evangelizzazione. Solo che in questo momento è come se noi qui non avessimo un’idea comune e condivisa su come incarnare tale movente, su come concretamente tradurlo nella vita di tutti i giorni”.

E’ anche per questo, sottolinea, che molti cristiani emigrano. “La verità è che non abbiamo una strategia per aiutare i cristiani a non partire e nel caso a tornare. Infatti non ritornano. Coloro che ancora sono rimasti, presto se ne andranno. Perché non c’è nessuno che si prenda cura di loro, che cerchi una soluzione”.

“Occorre studiare e capire le cause reali di questa fuga e solo in un secondo tempo pensare a delle soluzioni. Attualmente tutto è lasciato all’improvvisazione. Non si può continuare in questo modo”.

Allo stesso modo, il Sinodo potrebbe aiutare a trovare una nuova via per relazionarsi con i musulmani, promuovendo “un linguaggio nuovo, diverso da quello apologetico o polemico”.

“La Chiesa deve prendere delle iniziative, altrimenti nessuno altro farà il primo passo – ha riconosciuto –. La Chiesa deve essere protagonista nella direzione dell’apertura all’incontro”.

Segnali positivi

Dopo le elezioni provinciali svoltesi il 31 gennaio in 10 delle 14 province irachene, che hanno visto sconfitti i partiti religiosi estremisti, secondo monsignor Sako per i cristiani e per tutto l’Iraq “c’è una speranza, ma la speranza deve essere spezzata nella vita quotidiana, non può restare un’utopia, un sogno”.

“Occorre aiutare la comunità cristiana a rimanere, a sperare e a testimoniare. I musulmani non sono tutti fondamentalisti o terroristi, ci sono tanti bravi musulmani e la coesistenza con loro è possibile. Solo bisogna trovare il modo giusto per porsi nei loro confronti”.

Per il presule, bisogna trovare “soprattutto il linguaggio”. “Dobbiamo chiederci continuamente: che parole dobbiamo usare con i fedeli dell’Islam?”.

Un incentivo a restare nella propria terra, ha aggiunto, è “il sangue di cinquecento martiri cristiani uccisi in questi anni”, di cui monsignor Sako ha confessato di conservare la memoria “nome per nome”.

Il loro sacrificio, ha concluso, “costituisce un appello e anche una speranza: la loro fedeltà, la loro preghiera, il loro sangue ci invitano a non abbandonare questo Paese, a restare per testimoniare qui e ora il Vangelo”.

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ZENIT Staff

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