CITTA' DEL VATICANO, martedì, 18 marzo 2008 (ZENIT.org).- Tracciando un bilancio del viaggio che ha compiuto dal 4 al 9 marzo in Armenia e Azerbaigian, il Cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha definito le due ex repubbliche sovietiche “Paesi emblematici” per il dialogo ecumenico e quello interreligioso.

In un'intervista rilasciata a “L'Osservatore Romano”, alla “Radio Vaticana” e al Centro Televisivo Vaticano, il porporato ha affermato che non poteva, “di fronte agli inviti specifici delle autorità religiose e delle autorità civili di queste due Nazioni, non fare una visita in nome e per mandato del Papa”.

“L'Armenia – ha ricordato – si caratterizza per una convivenza tra la antica comunità armeno-apostolica e la comunità cattolica degli armeni”, mentre “in Azerbaigian convivono una grande comunità musulmana e due piccole comunità cattolica e ortodossa”.

In Armenia “il dialogo prettamente ecumenico è molto sviluppato”, ha spiegato ricordando “la visita a Roma del catholicos armeno, Karekin I, i rapporti perfino di amicizia tra Giovanni Paolo II e Karekin I e dal 2001 con Karekin II”.

“I rapporti tra la Chiesa cattolica e il Catholicos di Etchemiadzin, che ha la sua Santa Sede proprio a Yerevan, sono molto buoni e attendiamo prossimamente la visita a Roma del catholicos Karekin II – ha aggiunto –. C'è un dialogo intenso, positivo, una collaborazione”, e “grande stima” “per Papa Giovanni Paolo II e ora per Papa Benedetto XVI”.

Quanto all'Azerbaigian, il porporato sottolinea “i rapporti dello Sheik ul-Islam, che è il grande capo dei musulmani del Caucaso, con la Chiesa cattolica e con il Papa stesso”.

“La stima che manifesta questa grande autorità religiosa musulmana verso la Chiesa cattolica, verso il Papa, è molto grande e non ha subìto nessuna flessione: anche in questi ultimi tempi è stata manifestata nei discorsi pubblici, di fronte ai capi delle comunità musulmane dell'Azerbaigian e del Caucaso”.

Per questo motivo, “si può ben dire che sono due Paesi emblematici per i rapporti tra Chiese cristiane e per i rapporti tra la Chiesa cattolica e il mondo islamico”.

Durante il suo viaggio, il Cardinal Bertone ha sostato in preghiera davanti al monumento per le vittime del genocidio armeno, circa un milione e mezzo di persone eliminate nel 1915.

“Sono cristiani trucidati” che rappresentano “l'esempio del martirio di un popolo all'inizio del secolo XX, che ha intrapreso – purtroppo – quel calvario di genocidi che ha caratterizzato questo secolo”, ha denunciato.

Era quindi “doveroso inchinarsi davanti a queste vittime e portare l'omaggio della Chiesa cattolica”, come il Cardinale ha fatto anche davanti al monumento delle vittime dell'eccidio comunista degli azeri.

Il porporato ha rivelato di portare nel cuore “il ricordo incancellabile della devozione, della religiosità del popolo armeno. Un ricordo che diventa anche preghiera, che diventa comunione di intenti, collaborazione in campo ecumenico e in campo interreligioso”. 

“Ho visto concretamente in Azerbaigian la stima di cui godono le piccole Chiese”, ha aggiunto, ricordando che i cattolici arrivano a malapena alle 400 unità.

L'Azerbaigian è “un modello di convivenza”, ha osservato, sottolineando che si tratta di “una società moderna, laica, che però riconosce il valore pubblico delle religioni per lo sviluppo e per la pacifica convivenza in una comunità politica”.

Si tratta, quindi, di “un modello imitabile, direi esportabile”, “perché non si tratta di pura 'tolleranza' in senso negativo”, ma di “una tolleranza positiva, che aiuta le altre religioni ad esprimersi anche pubblicamente”.

I fedeli delle minoranze religiose dei due Paesi, ha commentato, sanno “conservare intatta la propria identità in forma propositiva – non in forma impositiva” e “non hanno paura di professare pubblicamente la loro fede, sono stimati anche perché sanno pregare”.

“Diverse persone, anche non cristiane, quindi non battezzate, partecipano a volte ai loro momenti di preghiera”.

Il messaggio che il Cardinal Bertone trae dal suo viaggio è quindi di coraggio e amore fraterno: “non bisogna aver paura di presentare e proporre la propria identità, ma occorre tenere un atteggiamento di grande rispetto per le altre religioni, di dialogo e di collaborazione, soprattutto sui valori fondamentali della convivenza umana”.