Arcivescovo Forte: l'autorità è condizione della “sinodalità” della Chiesa

Commento al Documento di Ravenna della Commissione mista cattolico-ortodossa

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Di Mirko Testa

ROMA, venerdì, 30 novembre 2007 (ZENIT.org).- L’idea chiave alla base del Documento di Ravenna è che la “sinodalità” della Chiesa non solo non esclude l’autorità, e quindi il primato, ma la esige come sua propria condizione e garanzia, afferma monsignor Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto.

E’ questo quanto ha affermato il presule nel suo intervento al Convegno nazionale dei delegati diocesani incentrato sul tema “Parola di Dio ed ecumenismo”, svoltosi a Roma dal 19 al 22 novembre scorso al fine di tracciare un bilancio e delineare delle prospettive in preparazione del prossimo Sinodo dei Vescovi del 2008.

L’Arcivescovo Forte, che è membro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa – che ha approvato il documento di Ravenna lo scorso ottobre – ha richiamato da subito alcuni dei grandi apporti della moderna ecclesiologia ortodossa, per poi sottolineare le novità e le sfide del Documento stesso.

In particolare, il Documento approfondisce, nel contesto dell’ecclesiologia di comunione, il rapporto fra “comunione ecclesiale, conciliarità e autorità” e affronta la questione del ministero del “pròtos – kephalé” – del “primo e capo” della Chiesa – a livello locale (il Vescovo), regionale (il Patriarca) e universale (il Vescovo di Roma), applicando il Canone 34 degli Apostoli – testo fondamentale per l’ecclesiologia orientale – ai tre livelli in maniera analoga.

In questo senso costituisce un accordo tra cattolici e ortodossi su una piattaforma teologica, ecclesiologia, comune su cui fondare la discussione sul primato del Vescovo di Roma.

Ecclesiologia eucaristica

In un breve excursus, l’Arcivescovo Forte ha spiegato come in ambito ortodosso sia stato dapprima il teologo russo Nicolai Afanassieff (1893-1966) a rivalutare il legame profondo fra Chiesa ed eucaristia, dando impulso alla riscoperta della coscienza dell’Eucaristia presente nella Chiesa primitiva.

Infatti, in origine l’eucaristia era avvertita come la riunione del popolo di Dio e allo stesso tempo la manifestazione e realizzazione della Chiesa stessa, che nella sua celebrazione, soprattutto la domenica, non compiva semplicemente la memoria di un evento storico ma un atto escatologico. Nell’eucaristica, in sostanza, la Chiesa contemplava la propria natura escatologica.

Tuttavia, grazie all’opera dell’attuale Metropolita ortodosso di Pergamo Ioannis Zizioulas il rapporto fra l’eucaristia e la Chiesa “vive oggi un fecondo risveglio nella riflessione teologica dei pensatori ortodossi”, ha spiegato Bruno Forte.

In particolare, il Metropolita Zizioulas, Co-presidente della Commissione mista cattolico-ortodossa, ha elaborato una ecclesiologia eucaristica che corregge le tesi di Afanassieff racchiuse nel principio “lì ove si celebra l’eucaristia, c’è anche la chiesa”.

L’assioma del teologo russo conduceva infatti a due errori fondamentali: il “localismo”, in base al quale la parrocchia in cui si celebra l’eucaristia è una chiesa completa e cattolica; e la concezione secondo cui la chiesa locale può essere, indipendentemente dalle altre chiese locali, la chiesa “una, santa, cattolica e apostolica”.

Sulla scia di Afanassieff, ha continuato Bruno Forte, “molti teologi ortodossi hanno contrapposto l’ecclesiologia universalistica (cioè l’ecclesiologia della Chiesa unica ed universale, giuridicamente organizzata in modo gerarchico, come nella Chiesa Cattolica) all’ecclesiologia eucaristica (cioè all’ecclesiologia delle Chiese particolari, non subordinate per diritto divino secondo l’autorità, come nella Chiesa Ortodossa)”.

La visione di Zizioulas, invece, non contrasta con una struttura in qualche modo istituzionale, visibile, della Chiesa, e afferma che “l’unità della Chiesa è veramente tale in quanto è l’unità del Corpo di Cristo che trova espressione concreta nell’assemblea eucaristica, pur nella pluralità di manifestazioni, che è il segno distintivo di una Chiesa locale”, ha spiegato.

“L’Ecclesiologia eucaristica non rifiuta dunque l’universalità della Chiesa, ma distingue l’universalità esteriore, confine della sua missione, dall’universalità interiore che sempre e in ogni circostanza resta uguale a se stessa, perché significa che la Chiesa si manifesta ovunque e sempre nella sua pienezza e nella sua unità”, ha detto monsignor Forte.

Il Metropolita ortodosso risolve così il problema cruciale della relazione tra Chiesa cattolica e Chiesa locale ricorrendo non al principio di un’unità nell’addizione (le Chiese locali rappresentano porzioni che aggiunte costituiscono il tutto) ma di un’unità nell’identità (le Chiese locali sono delle sfere complete che non si possono addizionare, ma che coincidono tra loro e alla fine con il Corpo di Cristo e con la Chiesa apostolica delle origini).

Questo principio ecclesiologico dell’unità nell’identità veniva espresso storicamente “nel Vescovo e nell’eucaristia, sul piano della Chiesa locale, e nel sinodo, che “fa riferimento in ultima analisi alla ‘koinonia’, cioè all’unità della Chiesa nell’Eucaristia”, sul piano dei rapporti fra le Chiese”, ha detto.

Le novità del Documento di Ravenna

Alla luce di quanto detto precedentemente il Documento di Ravenna, ha spiegato monsignor Forte, “si inserisce a pieno nel contesto della maturazione ecclesiologica avvenuta in seno all’Ortodossia, con la riscoperta dell’ecclesiologia eucaristica, e al Cattolicesimo, con gli apporti decisivi del Concilio Vaticano II e della sua ecclesiologia di comunione”.

In tal senso, in esso “si vede come siano superate le riserve di Afanassieff circa il ruolo dell’episcopato e della necessaria unità dogmatica custodita dalla successione apostolica a favore di un primato assoluto dell’eucaristia”, ha continuato il presule.

D’altronde, ha sottolineato, “la stessa eucaristia rimanda alla fede apostolica di cui è espressione e all’autorità di chi la presiede nella successione degli Apostoli”, e anzi il Documento precisa ulteriormente che questa struttura articolata della comunione ecclesiale “è immagine fedele della Trinità divina”, dove non vi è “diminuzione” o “subordinazione” tra le persone della Santa Trinità.

L’autorità è quindi esercitata dai Vescovi collegialmente attraverso i Concili, e in forma personale – sempre inserita nella conciliarità e al servizio di essa – ai vari livelli della comunione ecclesiale: locale, regionale e universale.

In questo quadro, ha affermato l’Arcivescovo Forte, viene richiamato come testo autorevole e normativo, riconosciuto da tutta l’ “ecumene” cristiana, il Canone 34 dei cosiddetti Canoni Apostolici.

“Perché ci sia Chiesa, insomma, è necessario che si dia sempre un ‘primo’ (protos</i>), che sia considerato anche ‘capo’ (kephalé), e che garantisca l’unità di pensiero nella fede (homonoia) a lode di Dio”, ha affermato il presule.

Quindi, “il ruolo del Vescovo come ‘protos – kephalé’ non esclude la sinodalità, anzi la presuppone e la promuove”, e “ne è tuttavia al tempo stesso il garante”, ha spiegato.

“La sinodalità, come esige la comunione ecclesiale, riguarda anche tutti i membri della comunità nell’obbedienza al Vescovo, il quale è il protos ed il capo (kephale) della Chiesa locale”, afferma il Documento di Ravenna al n. 20.

Anche a livello regionale è “riconosciuta analogamente una struttura di comunione ecclesiastica”: “fondata nella sinassi eucaristica, la comunione delle Chiese locali trova espressione nei Sinodi o Concili regionali, ed in particolare nella comunione dei loro Vescovi, manifestata già all’atto della loro ordinazione”.

Da qui discende che
la figura del “protos” a livello regionale viene dunque in qualche modo analogico a corrispondere a quella del Metropolita e del Patriarca.

Inoltre, attravero i concili, in special modo quelli ecumenici, la comunione è stata mantenuta ed espressa soprattutto dalle relazioni fra i Vescovi che ammettevano e rispettavano un “ordine” (‘taxis’) fra di loro, al tempo della Chiesa indivisa, e in particolare fra i “protoi” delle sedi patriarcali.

Il carattere innovativo del testo approvato a Ravenna, ha spiegato poi Bruno Forte, sta nel fatto che “per la prima volta si affronta articolatamente in un Documento comune fra cattolici e ortodossi la questione del primato nella Chiesa universale”.

 Afferma il Documento al n. 32: “Ciascuna Chiesa locale non è soltanto in comunione con le Chiese vicine, ma anche con la totalità delle Chiese locali, con quelle attualmente presenti nel mondo, quelle che esistevano sin dall’inizio, quelle che esisteranno in futuro, e con la Chiesa già nella gloria. In conformità con la volontà di Cristo, la Chiesa è una e indivisibile, è la stessa, sempre ed in ogni luogo”.

Ma il “punto più avanzato del consenso raggiunto a Ravenna”, sottolinea l’Arcivescovo Forte, è il comune accordo di cattolici e ortodossi “sul fatto che Roma, in quanto Chiesa che ‘presiede nella carità’, secondo l’espressione di Sant’Ignazio d’Antiochia (Ai Romani, Prologo), occupava il primo posto nella taxis, e che il Vescovo di Roma è pertanto il protos tra i Patriarchi”.

Tuttavia resta ancora da studiare il modo di esercizio del “ruolo del vescovo di Roma nella comunione di tutte le Chiese”; e su questo, ha concluso, “si gioca il futuro dell’unità fra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, per la quale tutti siamo chiamati a pregare e al lavorare”.

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ZENIT Staff

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