Di Mirko Testa
ROMA, venerdì, 23 novembre 2007 (ZENIT.org).- La figura di Gesù Cristo, seppure spesso offuscata e confinata nella sfera privata sulla base di una preconcetta chiusura della ragione, continua al giorno d’oggi a far discutere e a sfidare la mentalità laica moderna.
E’ quanto è emerso il 13 novembre scorso dal dialogo tra l’Arcivescovo Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e il Direttore de “Il Foglio”, Giuliano Ferrara, sul libro “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, tenutosi in una Basilica di San Giovanni in Laterano affollata da oltre cinquemila persone.
Con questo appuntamento hanno ripreso il via, dopo quasi tre anni di interruzione, i “Dialoghi in Cattedrale”, promossi dalla Diocesi di Roma. Si tratta di una iniziativa, sbocciata subito dopo la missione cittadina avviata da Giovanni Paolo II nel 1996, che vede personalità ecclesiastiche e reppresentanti della cultura confrontarsi sul mondo odierno.
A introdurre il dibattito è stato il Cardinale Vicario Camillo Ruini, che ha indicato l’intenzione fondamentale di Benedetto XVI nel “mostrare l’identità tra il Gesù della storia e il Cristo della fede della Chiesa”, che rappresenta “la pietra angolare del cattolicesimo e di ogni cristianesimo che intenda essere ‘cristianesimo credente’”.
Nel suo discorso Ferrara ha affermato che quello di Ratzinger è “un libro che rappresenta un avvenimento nella storia del mondo moderno”, ma che “non è solo un libro ecclesiale, un manifesto di carità e di amore, una nuova testimonianza di fede”.
Infatti, ha continuato, “è un libro che propone un metodo per leggere la Scrittura, nella fiducia che l’inafferrabilità del divino, la sua alterità e lontananza, possano essere, se non conosciute, almeno dette, scrutate, indagate, trasmesse”.
“Nello scrivere questo libro – ha continuato Ferrara – il Papa ha dovuto smantellare alcuni dogmi laici: per esempio, quello che porta ad accettare Gesù come uomo e negare la possibilità messianica dell’Incarnazione. Oppure, accettare il carisma morale dei Vangeli e negare il loro mistero, la Risurrezione”.
“Oppure, ancora, accettare la storia cristiana come passato e negare la memoria cristiana, la testimonianza – parola chiave di tutto il cristianesimo – che si perpetua come eterno presente”.
“Joseph Ratzinger – ha precisato Ferrara – non si limita a credere nel Gesù dei Vangeli, aggiunge qualcosa alla sua fede, aggiunge che la figura di Gesù Cristo è logica, è storicamente sensata e convincente, solo se esaminata e per così dire argomentata alla luce dei Vangeli”.
“Il Papa – ha continuato – non gioca con le parole e sa che nel mondo moderno la ragione e la fede vivono vite separate. Sa che la ragione sperimentale è ancora la regina della vita pubblica e sa che la fede è ancora largamente considerata sottomissione al mistero, buio che viene dal buio, resa a quell’oscurità da cui la ragione scientifica ci libera e ci emancipa”.
Tuttavia, ha aggiunto, “il Papa sa anche che questo mondo adulto, troppo adulto, sta invecchiando a vista d’occhio” e “sa che gli uomini e le donne della nostra epoca vivono nel crepuscolo del razionalismo e nella notte del relativismo e che a questa mancanza di luce si ribellano”.
“Ed è per questo – ha sottolineato Ferrara – che il suo Gesù incarnato diventa un significato anche per chi non crede”; e allo stesso tempo una sfida alla mentalità moderna, un ragionamento che sfata i “dogmi” della cultura laica.
Giuliano Ferrara, un tempo dirigente comunista e ora esponente di quell’area laica che alcuni definiscono “teocon” perché favorevole agli insegnamenti della Chiesa in materia di morale e bioetica, ha detto di guardare alla fede con “inquietudine” e “curiosità”.
“La mia ragione mi dice il suo limite – ha spiegato –. Se non lo riconoscessi sarei padrone della mia vita e della mia morte, sarei un nichilista. La mia ragione mi dice che sono un credente, sebbene non disponga di una fede personale e confessionale praticamente vissuta”.
La sua, ha continuato, è una fede “nel concetto matematico e fisico di infinito, che segna il mio limite e lo descrive. Credo che mio padre e mia madre non siano l’origine biologica del mio DNA ma un semplice e irrisolto mistero di amore”.
Infine, Ferrara ha concluso con il suo “credo” di “laico” rispettoso della fede altrui: “Credo che l’altro o la persona umana, o anche il suo progetto o ricordo sia titolare di diritti che sono al tempo stesso i doveri”.
Soprattutto, ha aggiunto, “credo che non tutto sia negoziabile e relativo. Ed è già un bel credere ve lo assicuro”.
Successivamente l’Arcivescovo Ravasi ha detto che “l’elemento più sorprendente del Gesù di Nazaret è la distinzione che sottilmente attraversa molte pagine tra la realtà storica e la realtà in senso stretto, che non corrisponde completamente al concetto di storia”.
Quindi “l’impegno fondamentale per conoscere autenticamente il volto di Cristo è, non soltanto di riuscire a definirne il profilo storico, documentario, che è anch’esso oggetto di ricerca e ha una sua fondatezza, ma è anche il tentativo di scoprire il senso segreto e profondo della storia stessa”, attraverso “un altro canale di conoscenza, che è quello della teologia, della ricerca spirituale, della ricerca religiosa”.
Ravasi ha quindi tracciato un breve excursus sui vari metodi storico-critici di conoscenza della Scrittura, proponendo una ricostruzione del volto “reale” di Gesù attraverso due coordinate: il “luogo” e il “tempo”.
Come “luogo” l’Arcivescovo ha indicato non solo “il concreto orizzonte giudaico, con fondale greco-romano”, ma l’“orizzonte indispensabile” rappresentato dalla “relazione unica di Cristo con il Padre”: “Il luogo è il mistero di comunione con il Padre. La condizione di figlio è il cuore della coscienza di Cristo”.
E poi c’è il “tempo” che “non è solo quello storico”: “C’è in lui un’altra unità di misura che va oltre la cronologia. Eterno e storia si uniscono in Lui. Proprio perché ha di fronte a sé il tempo dell’eterno, Gesù può essere nostro contemporaneo”.
Questo “intreccio” in Gesù rappresenta un elemento di “scandalo” che suscita in alcuni l’adesione filiale e in altri il “fastidio”, ha detto.
“C’è chi lo sente contemporaneo tanto da amarlo da sempre, condividendone la croce nella vita di ogni giorno”, “ma la sua figura parla anche a coloro che sono seriamente in ricerca”, ha detto.
“Aveva ragione Simeone – ha concluso monsignor Ravasi – quando prese in braccio questa creatura e ne vide un ‘segno di contraddizione’ che avrebbe accompagnato e attraversato la storia”.