Fede e ragione: identità o contrapposizione?

Il professor Hasan Hanafi analizza la questione all’incontro interreligioso di Napoli

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NAPOLI, giovedì, 25 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Tra fede e ragione c’è un’identità o sono due realtà contrapposte o quantomeno nettamente separate? E’ la domanda alla quale ha cercato di rispondere il 22 ottobre il professor Hasan Hanafi, dell’Università del Cairo (Egitto).

Intervenendo all’Incontro Interreligioso svoltosi a Napoli al 21 al 23 ottobre, il docente ha sottolineato che il rapporto tra ragione e fede è spiegato da ogni religione in modo diverso.

Se nel cristianesimo la fede “viene data”, nella fede islamica e nell’ebraismo “significa scrittura o più letteralmente trasmissione o audizione, che significa qualcosa di letto o sentito, un oggetto che necessiti di interpretazione, comprensione, non un atto di volontà”.

Per il docente egiziano, “ci sono due modelli per determinare la relazione tra ragione e fede”.

Il primo “concepisce la fede come sopra-razionale e persino anti-razionale”.

Il vantaggio di questo modello, ha osservato, “è la concentrazione della fede, sincerità di credo, forza di volontà, dedizione, vita interiore, cioè tutte le meraviglie della fede”.

“La ragione deve riconoscere le proprie limitazioni allontanandosi dall’arroganza umana, dai preconcetti e dai pretesti”, ha osservato.

Gli svantaggi di questo modello sono tuttavia numerosi. Visto che “non ci sono criteri di validità della fede dato che non è dimostrabile”, si può arrivare “all’isolamento di ciascuna fede”, mancando una sua “comprensione comune”.

“La fede è personale, viene data, è un dono”; “non va e viene a richiesta. È un atto di volontà, non della ragione. Questo può inoltre portare alle guerre di religione dato che ogni fede è vera in modo assoluto”.

La fede è inoltre “la norma per la ragione e per la natura”; la filosofia e la scienza devono derivare da essa, che “è giusta in modo assoluto mentre la ragione e la natura sono erronee. La fede è sopra-razionale e persino anti-razionale”.

Giacché l’uomo eredita il peccato originale, ha aggiunto Hanafi, “non può salvarsi da solo. Ha bisogno di un aiuto esterno, di un salvatore. La natura è imperfetta e ha bisogno della grazia”.

Il secondo modello sostiene invece “l’identità tra la ragione e le Scritture”.

“Sia la rivelazione che la ragione – ha osservato – sono dello stesso ordine. La rivelazione è dimostrabile, già verificata nella natura e nella storia. La ragione proviene dalla stessa sorgente della rivelazione, cioè la conoscenza Divina”.

“La funzione della rivelazione è di dare una certezza sulla quale la ragione umana costruisca ogni sistema basato sulla ragione per l’uomo, la natura e la società. E di proteggere la conoscenza umana dal relativismo, lo scetticismo e l’agnosticismo”.

Dà inoltre “una visione integrale e globale del mondo, una panoramica dall’alto che permette di evitare punti di vista umani parziali in relazione ad individui, classi sociali, culture diverse e interessi conflittuali”.

Il vantaggio di questo modello, ha spiegato il professor Hanafi, “è la coerenza della conoscenza umana e la concordia tra essere a priori e a posteriori, l’armonia nella vita umana che combina nella conoscenza naturale ciò che viene donato e quanto viene acquisito”.

“Aiuta la ragione ad essere certa, tagliente e sicura di sé. Aiuta le scritture ad essere bene interpretate. Nel caso di una probabile opposizione tra ragione e scritture, la ragione è mantenuta e le scritture interpretate secondo la ragione”.

Il possibile svantaggio di questo modello è tuttavia “l’interpretazione letterale delle scritture, l’uso improprio del linguaggio delle scritture o la sostituzione della ragione umana con passioni ed interessi conflittuali che escludano ragioni naturali”.

“Una più perfetta ed integrale relazione tra ragione e fede nella terminologia cristiana o ragione e rivelazione nella terminologia islamica è l’analisi delle esperienze umane”, ha osservato Hanafi.

L’esperienza umana, infatti, “è la stessa dovunque”, “dando evidenza di se e portando buone azioni”.

“Prove razionali e buone azioni insieme possono essere valori importanti per qualsiasi dialogo religioso”.

“L’uomo – ha constatato – non è solo razionale ma anche buono. Le prove sono offerte dalla Ragione, la bontà dalla rivelazione”.

“Le parabole di Cristo hanno questa caratteristica – ha concluso –. Ed è per questo che sono più convincenti nell’indicare la fede e le buone azioni”.

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ZENIT Staff

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