Bartolomeo I: “La guerra nel nome della religione è guerra contro la religione”

Intervento del Patriarca ecumenico al meeting interreligioso di Napoli

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NAPOLI, giovedì, 25 ottobre 2007 (ZENIT.org).- “La guerra nel nome della religione è guerra contro la religione”, ha affermato Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, all’inaugurazione del Convegno “Per un mondo senza violenza. Religioni e culture in dialogo”.

L’evento, svoltosi nel contesto dell’Incontro Internazionale per la Pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio a Napoli dal 21 al 23 ottobre, è stato per il Patriarca particolarmente rilevante perché, oltre ad affrontare un tema “importante e molto attuale”, ha rappresentato un’occasione per la “comunicazione personale” con tutti i presenti.

“Occasione per scambiare alcuni pensieri ed esperienze, noi che siamo posseduti dal comune desiderio per l’abolizione della violenza, da ovunque provenga, e il dominio sulla terra della così tanto desiderata pace”.

Bartolomeo I ha ricordato come oggi si parli molto del cosiddetto conflitto di civiltà, “cui viene addebitata, almeno in parte, la violenza esercitata sotto tante forme e a diversi livelli”.

“Le civiltà, come complessi sistemi di strutture, valori e modi di vita, si trovano continuamente in scontro e influenza reciproci, la cui conclusione finale può essere il completo assorbimento della civiltà più debole da parte della più forte”, ha osservato.

Secondo il Patriarca, “non è però necessario, né utile, giungere anche all’uso della violenza. Perché la violenza, in quanto disvalore, non può difendere i valori”.

In questa situazione, è quindi necessario “un onesto e sereno dialogo”, avendo nello stesso tempo “coscienza del fatto che le civiltà non dialogano direttamente, ma con il tramite di persone portatori di tradizioni e valori culturali”.

Per questo motivo, ha dichiarato, “è necessario parlare non di dialogo delle civiltà, ma di cultura del dialogo”.

“Ciò che può fermare la violenza e facilitare la comprensione reciproca è unicamente la convivenza pacifica dei singoli e dei popoli”.

Se tutto ciò vale per le civiltà, ha constatato il Patriarca ecumenico, “ancor più deve valere per le religioni”.

In questo campo non si ignorano né si sottovalutano le difficoltà, perché in genere “le religioni si caratterizzano per una chiusura ancora più rigida di quella delle civiltà”.

“Si caratterizzano per un assolutismo che difficilmente si piega – ha commentato –. E avendo il loro riferimento al divino, si rifanno a misure, criteri e modi di relazioni diversi da quelli della compatibilità mondana”.

E’ per questo che anche nell’ambito delle religioni “si osserva una cresciuta sensibilità, che può alcune volte trascinare a estremismi e violenze”, soprattutto dove “l’assolutismo dogmatico scade in odio, fanatismo, aggressività fondamentalista”.

Ciò riguarda sia le “gratuite azioni di violenza da parte di uomini che credono di dimostrare con ciò la loro fedeltà alla propria religione e al proprio Dio” che l’“uso della religione come strumento politico da parte degli amministratori del potere politico, militare, economico e tecnologico”.

“La guerra nel nome della religione è guerra contro la religione”, ha affermato Bartolomeo I.

Il Patriarca ha voluto quindi citare “una particolare fonte di contrapposizioni e violenza, tanto pericolosa quanto trascurata o ignorata”: “la catastrofe maniaca, la profanazione o la spoliazione di monumenti della civiltà, artistici o di altri molto importanti, come anche di santuari, di edifici e soggetti sacri religiosi”.

Allo stesso modo, ha ricordato che “la violenza si esprime nei nostri giorni verso la società, verso gli uomini, ma anche verso la creazione”.

Quest’ultima forma di violenza merita “particolare attenzione” perché “oggi, più di ogni altro tempo, si violenta la natura, e sicuramente la sua violazione ha conseguenze verso l’uomo stesso, perché la natura violentata si vendica dell’uomo suo violatore”.

“Dal Patriarcato Ecumenico portiamo a tutto il mondo e anche alla presente Assemblea il ramo di ulivo, cioè un ramo di pace e riconciliazione, e lavoriamo notte e giorno verso questo indirizzo, cioè la coltivazione della persona umana e il miglioramento delle condizioni sociali, visto che la persona sana cura le istituzioni sociali, mentre la persona malata corrompe anche le istituzioni sane”, ha spiegato Bartolomeo I.

Le Chiese e in generale le religioni hanno una responsabilità “nel contribuire al rasserenamento delle passioni umane, che molte volte muovono a guerre e discordie e forme di violenza che uccidono gli uomini”, ha osservato.

“La violenza terminerà quando ognuno di noi coltiverà una santa e benedetta violenza nei confronti del proprio io e delle proprie passioni, che auguriamo di tutto il cuore”.

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ZENIT Staff

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