TRIUGGIO, sabato, 24 febbraio 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'intervento pronunciato il 17 febbraio dal Cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, in occasione della VI Sessione del Consiglio Pastorale Diocesano (17-18 febbraio 2007), tenutasi a Triuggio sul tema “Famiglia comunica la tua fede – le famiglie soggetti di evangelizzazione: trasmissione della fede ed educazione all’amore”.

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FAMIGLIA, TRASMISSIONE DELLA FEDE E UNIONI DI FATTO



Carissimi membri del Consiglio pastorale diocesano,

questa sesta sessione del Consiglio pastorale è chiamata a offrire all’Arcivescovo il proprio contributo alla delineazione della seconda tappa del Percorso pastorale triennale “L’amore di Dio è in mezzo a noi”, affrontando il tema: Famiglia, comunica la tua fede – le famiglie soggetti di evangelizzazione: trasmissione della fede ed educazione all’amore. Già da ora, conoscendo la vostra passione per il cammino della nostra Chiesa e la competenza, anche per diretta e ricca esperienza, che avete sul tema della famiglia, vi ringrazio per le preziose indicazioni che vorrete darmi.

Questa seconda tappa del Percorso per l’anno pastorale 2007-2008 è inscindibilmente unita alla prima (Famiglia ascolta la parola di Dio!) e alla terza che metterà a fuoco la «presenza delle famiglie nella storia e nella società quali artefici di una nuova civiltà: una civiltà veramente umana e umanizzante, centrata sull’inviolabile dignità della persona umana» e sarà connotata dal titolo: Famiglia diventa anima del mondo! (L’amore di Dio è in mezzo a noi, n. 5). Il Percorso pastorale è quindi estremamente unitario: ogni tappa accentua un particolare aspetto della stessa tematica, senza però dimenticare le altre e sempre nella prospettiva missionaria espressa nel sottotitolo del percorso: La missione della famiglia a servizio del Vangelo. Perciò, quasi anticipando ciò che sarà oggetto di considerazione tra due anni, mi soffermo su una particolare questione che concerne la famiglia nel contesto della società odierna e che si presenta assai viva e discussa nel nostro Paese.

Ho ricevuto, più volte e da più parti, in questi giorni la richiesta di una parola sul dibattito in corso circa le unioni di fatto. E’ una richiesta legittima e comprensibile anche per la situazione così confusa, direi agitata, che sta connotando questo dibattito. Ritengo che il contesto di questa sessione del Consiglio pastorale dedicata al nostro impegno come Diocesi circa la famiglia – impegno che non nasce certamente oggi – sia quello più adatto.

1. Ma quale parola vi posso o vi devo dire? Quale parola di fronte alle tantissime, fin troppe, parole che vengono pronunciate – e spesso “gridate” - con asserzioni nel segno dell’assolutezza, con poca o nulla disponibilità all’ascolto reciproco e al dialogo? Di fronte ad affermazioni così diverse e contraddittorie tra loro?

Quale parola di fronte alla complessità dei problemi in gioco nel loro contenuto, nelle argomentazioni addotte, nei livelli implicati? Per la verità, parole sulla famiglia le sto appunto dicendo – le stiamo dicendo insieme come Chiesa ambrosiana – nel Percorso pastorale diocesano di questo triennio. Ci sentiamo tutti chiamati ad essere, sulla misura del cuore di Cristo, comunità accoglienti e in ascolto: in ascolto di quello che chiamiamo il “piccolo vangelo delle famiglie” nella loro esperienza di vita quotidiana, intessuta di sentimenti e di gesti sia di bene che di male, e soprattutto del “grande vangelo di Gesù”, che per tutti ha una parola di verità e di grazia, di richiamo e di speranza.

Ma è in rapporto al dibattito in corso che sono richiesto d’una parola. Quale parola, dunque? Vorrei dire una parola connessa con il ministero del Vescovo, quale ministero di amore e di verità nella e per la Chiesa, nella e per la società. E vorrei dirla con grande libertà interiore e vivo senso di responsabilità e quindi con l’unico desiderio di essere fedele annunciatore del Vangelo di Gesù e insieme particolarmente vicino alla gente, usando la massima chiarezza possibile.

2.La mia prima preoccupazione di Vescovo sono le coppie e le famiglie cristiane, quelle fondate e sostenute dal Sacramento del Matrimonio, e dunque con la grazia e la responsabilità di vivere il matrimonio e la famiglia secondo il disegno di Dio e, proprio per questo, secondo le esigenze più profonde e autentiche del cuore dell’uomo e della donna. Per questa strada, sia pure in mezzo a non poche difficoltà e fatiche, e talvolta con il peso di errori e di incoerenze, è possibile scoprire e gustare la grazia, la bellezza e la gioia del vero amore, salvato e redento dal Signore Gesù.

Certo, di ideale si tratta, ma anche di reali esperienze di vita, che aprono alla speranza e nello stesso tempo sollecitano a vivere il matrimonio e la famiglia secondo la “logica” nuova, grande e possibile della grazia. E questo, sia nel segno di una “coerenza” tra il dono ricevuto e l’impegno affidato e pertanto “facendo la verità” nella vita d’ogni giorno, sia con il frutto di una “testimonianza” che viene offerta con umiltà e semplicità (tutto è grazia!) agli altri: in primo luogo agli stessi credenti e praticanti e poi a tutti gli altri, suscitando in loro reazioni diverse: attenzione, indifferenza, domande, richiami, nostalgie.

Come cristiani, discepoli del Signore che vivono l’esperienza coniugale e familiare siamo quotidianamente “sfidati” nella nostra fede, chiamati cioè ad accogliere, vivere e testimoniare nel matrimonio e nella famiglia il Vangelo di Gesù, secondo l’insegnamento della Chiesa, nutriti dalla Parola e dai Sacramenti e sostenuti dalla catechesi e da un cammino spirituale di preghiera. Per la Chiesa e la sua missione, per il Vescovo e il suo ministero, per i credenti e la loro vita c’è qui un “primato” di grazia e di responsabilità che va assolutamente onorato, rispetto a tutto il resto e perché tutto il resto possa ricevere senso vero e profondo e forza di realizzazione coerente.

3.Questa prima preoccupazione – mia e della comunità cristiana - sprigiona uno sguardo attento e un profondo interesse anche per tutte le altre situazioni di coppia, sia che si tratti di famiglie nate da un vincolo matrimoniale civile o religioso non cristiano, sia che si tratti di realtà di “convivenza”. Al riguardo non dobbiamo dimenticare che la grazia di Dio si fa presente e operante in tutte le situazioni umane. Lo ricordavo nel Percorso pastorale diocesano anche a proposito di realtà nate successivamente al fallimento del matrimonio, per le quali occorre saper «valorizzare quegli elementi umani ed evangelici che possono comunque essere presenti anche nelle unioni e nelle famiglie che spesso nascono da un’esperienza di separazione o di divorzio» (L’amore di Dio è in mezzo a noi, n. 41).

Queste esperienze di convivenze toccano non soltanto le singole persone coinvolte ma anche la stessa società nel suo complesso: rivestono, infatti, un’innegabile dimensione sociale, ma prima ancora sono oggetto di una cura pastorale della Chiesa attenta alla persona e alla società secondo il disegno di Dio. Prima di una questione politica queste esperienze di relazione tra le persone interessano la Chiesa e la sua missione di annuncio e di testimonianza del “Vangelo dell’amore”. E’ questa un’azione da vivere con sincero spirito di collaborazione con tutti coloro che, anche partendo da punti di vista diversi, operano nella società per la promozione della persona, della famiglia, dell’educazione dei giovani ai valori più autentici. In particolare, non vorrei che l’enfasi di questi giorni sulla questione legislativa facesse dimenticare o attenuare per noi cristiani l’azione evangelizzatrice e pas torale e, in generale, per chi vive nella società l’impegno sociale, culturale ed educativo.

Ciò non toglie che è pure importante un’azione propriamente “politica” a favore della famiglia fondata sul matrimonio, che si faccia carico anche della concretezza delle condizioni di vita personale e sociale. La Chiesa poi incoraggia chi si impegna nel “sociale” e chi si assume una responsabilità propriamente “politica” – responsabilità non sempre facile soprattutto in una società pluralistica che richiede una paziente e coraggiosa opera di confronto veritiero e di costruttivo dialogo -, responsabilità da attuare sempre in una prospettiva di autentico servizio alla persona e alla società. In questo contesto va decisamente rilevata l’esigenza prioritaria della elaborazione e promozione di una adeguata politica familiare in ordine al bene comune di tutta la società.

4.Il primo aspetto della politica familiare è di riconoscerne la specificità, che deriva dall’unicità propria della famiglia fondata sul matrimonio. In realtà, la famiglia è – come amava dire la saggezza antica – il seminarium civitatis, ossia il nucleo sociale di base in quanto nucleo sorgivo ed educativo della società. E questo in forza del contributo che la famiglia offre alla società: la generazione e l’educazione dei figli, la cura delle persone specialmente quelle più deboli e bisognose. Come l’esperienza attesta, il dono della vita ai figli, l’opera formativa al “senso” della vita e la tutela della persona in qualsiasi condizione ed età sono valori non solo fondamentali ma propriamente “fondanti” dell’ “essere” stesso e del “ben-essere” della società, nel presente e per il futuro.

Vorrei qui richiamare con forza che alle “radici” della famiglia nella società sta una ben precisa antropologia centrata sulla dignità personale dell’uomo e della donna, e sul loro reciproco rapporto di comunione d’amore e di vita. In tal senso la famiglia si costituisce come luogo primario della realizzazione della persona. Si tratta, poi, di una politica familiare che deve caratterizzarsi per la sua globalità: la famiglia, quale nucleo sorgivo ed educativo della società, può adeguatamente realizzarsi solo a condizione che siano garantiti e promossi tutti i valori sociali di giustizia e di solidarietà, riguardanti la tutela della vita, la casa, il lavoro, l’economia, l’educazione, la salute, la cultura, la pace, ecc. Per questo l’attenzione alla famiglia non può mai essere separata dall’attenzione a tutti gli altri valori sociali, così come l’interesse e l’impegno per questi ultimi sono inscindibili rispetto all’interesse e all’impegno per la famiglia.

E’ necessario però procedere oltre. Non basta dire che la politica familiare non è un semplice “settore”, seppure importante, della politica generale. Così come non basta sottolineare che la politica familiare possiede una “dimensione” sociale globale, in quanto coinvolge tutti i valori e le responsabilità della società come tale. In verità, la politica familiare deve essere considerata uno degli elementi fondanti, centrali e strutturanti dell’intera azione politica. Mi piace riprendere, perché conserva piena attualità, una parola di Giovanni Paolo II rivolta ai Vescovi italiani il 14 maggio 1993: «Il rinnovamento del Paese passa attraverso un’attenzione concreta alla famiglia. Se questa deve assumersi con più coraggio il suo compito sociale e politico, la società e lo Stato devono sottrarla alla condizione di marginalità, e spesso di penalizzazione, nella quale è tuttora confinata; devono fare della politica familiare la chiave centrale e risolutiva dell’intera politica dei servizi sociali… ».

Nel dibattito in corso si è giustamente parlato delle famiglie come di una priorità, in particolare per quanti operano in politica. Più ancora si dovrebbe parlare di una necessità, anzi di una emergenza, data la situazione attuale di ritardo, di scarsità di risorse, di gravi e generali difficoltà. Come tale, la politica familiare nel senso detto non può non avere precedenza su tutto il resto: precedenza anche nei tempi di intervento, e comunque come criterio per valutare o “misurare” ogni altro intervento. Quanti amano la famiglia e il suo contributo sociale hanno il diritto e il dovere di impegnarsi e insieme di chiedere che la politica sia finalmente e concretamente rispettosa della priorità-necessità-emergenza detta.

5.Da quanto precede risulta che solo nel contesto di una vera e autentica politica familiare, nel senso ora indicato, può avere spazio la considerazione dei problemi personali e sociali connessi alle unioni di fatto. L’esistenza stessa di queste situazioni, infatti, anche a prescindere dalla loro consistenza numerica e dalla loro notevole diversificazione, ha un evidente risvolto sociale, sia sulle coppie e famiglie, sia sulla società come tale. Non è possibile non affrontare i problemi che vengono sollevati da queste situazioni: tutti, anche se in modi diversi, siamo coinvolti e quindi impegnati.

L’aspetto prevalente nel dibattito attuale, se non esclusivo, sembra essere quello di una regolamentazione giuridica di questo fenomeno che aiuti le persone che lo vivono. Ora non può non preoccuparci il clima di confusione, anzi di deformazione che sta caratterizzando il dibattito. Non è esagerato – penso – parlare di “deformazione”, se guardiamo, anzi tutto, alla forte politicizzazione, che tende a spostare i termini stessi del problema: in primo piano non sta la questione delle unioni di fatto, ma quella degli schieramenti politici, sia al loro interno sia nel loro rapporto. Di “deformazione” poi si deve parlare per la forte spinta culturale di un radicale “soggettivismo” e “individualismo”, che da un lato ritiene “diritto” ciò che è “desiderio” e rivendica diritti cancellando doveri, e dall’altro lato giunge a negare la rilevanza personale e sociale della differenza e complementarità sessuale.

L’esito di questa spinta culturale è la richiesta, più o meno mascherata, di dare riconoscimento pubblico alle unioni omosessuali. Non si può negare che a diffondere e a rafforzare una simile “deformazione” contribuiscono in maniera rilevante gli strumenti della comunicazione sociale ogniqualvolta derogano al loro dovere di fornire un’informazione libera e corretta e finiscono per essere succubi degli interessi del “potere” economico, politico e culturale. Il rischio che si corre è di giungere ad una “strumentalizzazione” di un preciso fenomeno sociale per fini ben diversi dal dichiarato intento di dare risposta – anche giuridico-legale – a disagi e a richieste dei conviventi. In questo clima confuso e deformato gli stessi interventi del Papa e della Conferenza Episcopale Italiana sono spesso accolti, in particolare dai media, nella logica di volere a tutti i costi determinarne una collocazione politica. Così si dimentica che il loro senso preciso è quello di richiamare a quei valori etici fondamentali che si presentano come particolarmente urgenti nelle circostanze attuali e a favorire un preciso giudizio storico.

Una conseguenza quanto mai facile di tutto ciò è il fatto che anche i credenti possono essere tentati di inserirsi in questa stessa logica, così che il clima di contrapposizione spesso frontale, di divisione, di sospetto può contagiare non poco il vissuto delle nostre comunità cristiane, minacciando di ostacolare il cammino ecclesiale di obbedienza alla verità, di confronto e di dialogo nel rispetto di tutte le persone, di crescita nella comunione.

Dobbiamo quindi impegnarci tutti a uscire da prospettive ristrette e distorcenti: con la vigilanza morale, il ricupero della razionalità umana, l’esercizio di un paziente e coraggioso discernimento su quanto è veramente necessario e utile per le sorti della f amiglia e della società, nel rispetto della dignità della persona. E’ inoltre da rilanciare con convinzione e forza l’inscindibile legame tra verità e carità, tra ideale normativo e cammino esistenziale verso di esso.

6. Oltre il “clima”, si pone il tema del “contenuto” degli interventi che la società, e in essa la politica, elabora per affrontare la problematica delle unioni di fatto, in particolare dei tentativi, attraverso varie proposte di legge, per una loro regolamentazione giuridica.

L’interrogativo riguarda il “come”, a quali condizioni e verso chi deve attuarsi tale intervento: a prescindere da una concreta attenzione globale e complessiva ai valori e alle esigenze della famiglia? riconoscendo uno “status” giuridico analogo a quello della famiglia? Personalmente ritengo che a queste domande si debba rispondere negativamente. I diritti e i doveri delle singole persone che convivono possono essere infatti adeguatamente regolamentati ricorrendo al diritto comune e ad eventuali modifiche della normativa civilistica.

Facciamo nostre, in tal senso, le preoccupazioni espresse nel discorso di Papa Benedetto XVI alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi: «Quando vengono create nuove forme giuridiche che relativizzano il matrimonio, la rinuncia al legame definitivo ottiene, per così dire, anche un sigillo giuridico. In tal caso il decidersi per chi già fa fatica diventa ancora più difficile. Si aggiunge poi, per l’altra forma di coppie, la relativizzazione della differenza dei sessi. Diventa così uguale il mettersi insieme di un uomo e una donna o di due persone dello stesso sesso» (22 dicembre 2006).

7. Permettetemi di concludere queste riflessioni, che ho voluto condividere con voi, ritornando a ribadire la necessità di un’azione pastorale verso i conviventi. E’ un campo dove la Chiesa è chiamata tutta intera ad agire in prima persona, senza sottrarsi alle complessità attuali e alla fatica di cercare forme nuove di vicinanza e di sostegno. Il Vangelo è parola di speranza per l’oggi, per ogni uomo e donna che vive in questo mondo che cambia: questa deve essere la nostra ferma e gioiosa convinzione.

Vorrei semplicemente rileggere con voi quanto scrivevo in proposito nel Percorso pastorale: «Un numero sempre crescente di persone, pur provenendo dalle comunità cristiane, non sceglie l’istituzione del matrimonio per dire e per vivere il proprio amore. Alcuni, per i motivi più diversi, legati alla loro storia o alle loro paure, agli esempi negativi vissuti, alle loro convinzioni civili o religiose, alla precarietà delle situazioni di vita o alle condizioni economiche, all’insicurezza reciproca o all’incertezza sul futuro, preferiscono non celebrare in chiesa il loro rapporto affettivo, ma scelgono o il semplice matrimonio civile o la convivenza come espressione del loro amore.

Queste condizioni di vita non possono lasciare indifferente e assente la comunità cristiana. Essa si sente obbligata ad interrogarsi su come essere più vicina a queste persone e a queste situazioni, sia nel loro sorgere come nel loro evolversi lungo gli anni. Sì, essere più vicina nel senso di offrire, anzitutto, esempi semplici e convincenti di una vita coniugale secondo verità e, insieme, di condividere con amore paziente e incoraggiante un cammino verso la verità dell’amore, la sola che libera e dona autentica felicità» (L’amore di Dio è in mezzo a noi, n. 34).

Sono solo pochi accenni, ma al riguardo mi attendo molto dai vostri consigli e suggerimenti nati da un saggio discernimento sotto la luce e la guida dello Spirito operante nella Chiesa. Del resto anche la tematica che oggi e domani affronteremo non può prescindere dal considerare la situazione delle convivenze e dei bambini e dei ragazzi che crescono in esse. Anche a loro va trasmessa e testimoniata la fede. Chi convive, se credente, pur in una situazione non facile e con la presenza di aspetti oggettivamente non coerenti con il Vangelo, è chiamato, con l’aiuto e il sostegno della comunità cristiana, a trasmettere alle nuove generazioni il senso di Dio e il gusto della vita.

Certamente di fronte a questi problemi vediamo che il nostro vino viene a mancare: ma abbiamo fiducia che, come a Cana, Maria - la madre di Gesù e madre nostra - saprà ancora una volta intercedere per noi. E il vino nuovo e sovrabbondante non mancherà.

+ Dionigi card. Tettama
Arcivescovo di Milano