Esiste un legittimo diritto all’obiezione di coscienza nella ricerca biomedica

Ricorda la dott.ssa López Barahona alla vigilia del Congresso dell’Accademia per la Vita

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CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 22 febbraio 2007 (ZENIT.org).- I ricercatori che credono nella dignità dell’uomo devono rifiutare, mediante il legittimo diritto all’obiezione di coscienza, la ricerca biomedica che minaccia la vita umana, ricorda un’esperta alla vigilia del Congresso dell’Accademia per la Vita.

Professoressa e Direttrice dell’Istituto di Bioetica dell’Università Francisco de Vitoria di Madrid (Spagna), la dottoressa Mónica López Barahona ha partecipato questo martedì alla presentazione, in Vaticano, della convocazione internazionale organizzata dalla PAV che affronterà venerdì e sabato il tema “La coscienza cristiana a sostegno del diritto alla vita”.

“Un uomo, nel legittimo esercizio della sua libertà, può e deve rifiutarsi di compiere un’azione che si oppone o che viola i principi – etici e/o religiosi – che la sua coscienza gli detta”, ha ricordato l’esperta.

“Parlare di obiezione di coscienza nella ricerca biomedica – ha avvertito – presuppone il fatto di ammettere l’esistenza di minacce contro valori importanti dell’umanità derivati dalla suddetta ricerca”.

Allo stesso modo, ha proseguito, “presuppone l’ammettere l’insufficienza attuale del diritto positivo per porre rimedio a questa situazione”, quando si verificano anche concessioni legislative che rappresentano realmente “dispense a favore della ricerca biomedica indipendentemente dal fatto che questa tenga conto o meno della dignità di ogni vita umana”.

Senza l’intento di essere esaustiva, la dottoressa López Barahona ha enunciato alcuni avvenimenti decisivi nella storia della ricerca biomedica e nella sua evoluzione.

“Sono state fatte sequenze del genoma umano, e la tecnologia che ha permesso di conoscere la sequenza del genoma umano si applica oggi per selezionare geneticamente individui della specie umana nelle prime fasi della loro esistenza”, com’è il caso “della diagnosi preimpianto che si realizza in molte cliniche” “per la selezione eugenetica”, ha avvertito.

Dalla nascita, nel 1996, “del primo mammifero generato mediante clonazione per trasferimento nucleare” “non sono cessati i tentativi, finora falliti, di poter applicare questa tecnica alla specie umana”, ha proseguito.

Esiste anche “una ricerca volta a cercare metodi abortivi efficaci”, o “alla pratica dell’eutanasia”, o “la ricerca con cellule staminali embrionali, che comporta necessariamente la morte dell’embrione”.

Questo panorama della ricerca biomedica pone lo scienziato in situazioni “di fronte alle quali è necessaria la pratica dell’obiezione di coscienza”, ha detto la dottoressa López Barahona.

Stesso discorso nel “farsi coinvolgere o meno in un progetto di ricerca che impiega linee cellulari stabilite a partire da cellule staminali embrionali; impiegare o meno materiale biologico proveniente da feti umani; dispensare o meno in una farmacia anticoncezionali o composti abortivi; lavorare o meno in una clinica di fecondazione ‘in vitro’; lavorare o meno in una squadra che apporta dati per un consiglio genetico”.

La casistica è estesa e complessa, ma, avverte, “l’accettazione di un progetto di ricerca che sia contrario alla dignità della persona umana, o l’utilizzazione di materiale biologico ottenuto a partire dalla morte di innocenti per un progetto di ricerca, anche se questo è a favore dell’uomo, è una collaborazione diretta o indiretta alla pratica errata della ricerca biomedica”.

“Per questo noi ricercatori che abbiamo un’etica basata su un’antropologia personalista dobbiamo rifiutare questo tipo di pratiche mediante il nostro legittimo diritto all’obiezione di coscienza”, ha chiesto di fronte ai mezzi di comunicazione nella Sala Stampa della Santa Sede.

Questa obiezione “non è un semplice gesto, ma un agire esemplare che ha il coraggio della coerenza che è, con le parole di Giovanni Paolo II, il martirio dei nostri giorni”, ha sottolineato.

Come conclusione, ha lanciato un invito ai ricercatori del settore biomedico che credono nella dignità dell’uomo a unirsi e a “far conoscere la verità, senza demagogia, senza false speranze”, “la verità oggettiva scientifica che se si cerca in modo onesto può solo condurre all’autentica Verità”.

Questo invito si inserisce nel contesto dell’urgenza di un’azione concreta nell’indicazione di testimonianze permanenti nell’area della ricerca biomedica, come ha spiegato la dottoressa
López Barahona a ZENIT al margine della presentazione del Congresso Internazionale.

Lo si apprende dal contenuto dell’intervento (“Obiezione di coscienza e testimonianza nel campo della ricerca biomedica”) che presenterà al Congresso della PAV – della quale è membro –, in cui sottolinea la necessità che gli scienziati con una formazione antropologica personalista levino una voce autorevole nell’ambito della scienza biomedica, lasciando da parte il silenzio che spesso è sinonimo di complicità.

[Pagina ufficiale della PAV: www.academiavita.org]

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ZENIT Staff

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