“Basi ideologiche anticristiane” nel referendum sull’aborto in Portogallo

Sostiene il Direttore di Acção Família

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LISBONA, martedì, 20 febbraio 2007 (ZENIT.org).- Il referendum sull’aborto in Portogallo, svoltosi l’11 febbraio scorso, è stato fondato su “basi ideologiche anticristiane”. Lo ha affermato José Carlos Sepúlveda da Fonseca, Direttore dell’associazione portoghese “ Acção Família”, che lotta per la difesa dei valori cristiani nella società.

In un’intervista concessa a ZENIT, il Direttore dell’organizzazione portoghese ha tracciato un bilancio del risultato della consultazione e ha sottolineato il cambiamento di rotta dei sostenitori del “SÌ”, che nel corso della campagna avevano parlato di una questione importante solo per il Diritto Penale e la salute pubblica, mentre dopo la vittoria hanno dichiarato sconfitte la Chiesa e la sua morale.

Come valuta l’atteggiamento dei laici cattolici nelle iniziative che cercavano la vittoria del “NO” al referendum?

José Carlos Sepúlveda da Fonseca: Nell’ambito delle diverse attività favorevoli al “NO” nella campagna referendaria, il ruolo dei laici cattolici è stato molto sensibile. C’è stato anche chi ha detto che è stata la più grande mobilitazione di laici cattolici nella storia recente del Portogallo, e questo, curiosamente, mentre l’atteggiamento dell’episcopato nel suo insieme è stato, secondo la maggior parte dei commentatori, discreto e moderato.

Nonostante non ci fossero molte associazioni di laici cattolici ad agire in quanto tali e in modo esplicito, è indubbio che la forza dinamica di militanza che animava i movimenti civili in tutto il Paese derivava dal laicato cattolico e soprattutto dai giovani.

In questo sforzo del laicato, Acção Família ha avuto un ruolo molto specifico, perché ha agito come associazione di laici e ha svolto un’iniziativa di notevole spessore, che ha ottenuto grandi ripercussioni sulla stampa: la distribuzione di 2.700.000 copie di un opuscolo che ricordava la posizione dottrinaria della Chiesa di fronte all’aborto e faceva appello alla coscienza dei cattolici perché non ne permettessero l’approvazione.

Sorprende l’elevato indice di astensionismo, il 56,4%. Come si spiega? Pensa che molti cristiani non abbiano votato? La società non ha dato la dovuta importanza all’argomento?

José Carlos Sepúlveda da Fonseca: Il tasso di astensione è stato davvero molto elevato. Non è una cosa del tutto sorprendente, visto che è avvenuto lo stesso nei vari referendum realizzati finora in Portogallo.

Penso, ad ogni modo, che l’elevata astensione non si possa attribuire solo al disinteresse della società. I motivi di questa astensione devono essere ponderati con cura, per un’analisi obiettiva dell’attuale referendum e della mancanza di legittimità politica che lo circonda.

C’è, è ovvio, una fascia di persone lontane dal processo politico, sia per disinteresse che per mancanza di formazione.

Un’altra parte degli astensionisti è composta da persone che sono rimaste perplesse per le vicende del dibattito che, cercando di nascondere ciò che era davvero in causa, spesso ha confuso più che chiarire.

Una parte considerevole di quanti si sono astenuti, infine, lo ha fatto per dimostrare fastidio o anche aperta opposizione al fatto che il diritto alla vita fosse sottoposto a referendum. Sono convinto che tra questi ultimi molti siano cristiani. E questa sorda opposizione è uno dei fattori che toglie legittimità alla chiara vittoria del “SÌ”.

Vorrei ricordare anche che l’astensione del 56% rende questo referendum non vincolante e che, quindi, l’iniziativa del Governo socialista di José Sócrates di portare avanti l’elaborazione di una legge di liberalizzazione dell’aborto è un atto di affronto politico all’elettorato e alla legalità.

Di fronte alla realtà di una possibile liberalizzazione dell’aborto in Portogallo, come deve essere l’azione in difesa della vita d’ora in poi?

José Carlos Sepúlveda da Fonseca: I movimenti che negli ultimi nove anni e nell’attuale referendum hanno portato avanti la lotta contro la liberalizzazione dell’aborto si stanno già mobilitando in Portogallo per nuove azioni.

In primo luogo i movimenti devono, a mio giudizio, rendere impraticabile dal punto di vista politico l’approvazione di qualunque legge che liberalizzi l’aborto, visto che il Governo socialista di José Sócrates – come la sinistra che lo ha appoggiato – sa che non ha vera legittimità per questo.

In tal senso, Isilda Pegado, dirigente dell’importante Federação Portuguesa pela Vida (“Federazione Portoghese per la Vita”) e uno dei volti principali del “NO”, ha fatto alcuni giorni fa una grave denuncia nel corso di una conferenza stampa.

Ha affermato che, dopo appena 48 ore dal referendum, le dichiarazioni dei Ministri e dei deputati del PS [Partido Socialista, ndt.] hanno negato tutto ciò che era stato affermato nella campagna, mostrando che il popolo portoghese è stato dolosamente ingannato e che la menzogna è stata utilizzata come strategia elettorale.

Sono anche necessari l’articolazione e il sostegno ai medici e agli infermieri che desiderano essere obiettori di coscienza e che, secondo informazioni attuali, sono un numero molto elevato.

Al di là della battaglia politica, c’è anche una battaglia giuridica, come ha sottolineato, in un articolo per il Diário de Notícias, il professore dell’Università Cattolica João César das Neves. Una battaglia che riguarda anche l’incostituzionalità dei dispositivi legali che il Governo socialista vuole approvare basandosi sul risultato del referendum.

Allo stesso tempo, so che vari responsabili dei gruppi civici del “NO” vogliono portare avanti ed estendere il lavoro svolto negli ultimi anni, in regime di volontariato, in centri di accoglienza privati per donne, lavoro che ha permesso la nascita di molte migliaia di bambini che avrebbero potuto essere abortiti.

Cosa possono fare la Chiesa e le relative organizzazioni in Portogallo e nel mondo per dare un contributo in questo ambito?

José Carlos Sepúlveda da Fonseca: I sostenitori del “SÌ” hanno annunciato durante la campagna che al centro del dibattito vi erano una questione di Diritto Penale (che le donne che praticavano l’aborto smettessero di essere “umiliate” nei tribunali) e una questione di salute pubblica (mitigare i mali dell’aborto clandestino). E hanno sempre negato un carattere ideologico e confessionale della loro posizione.

E’ estremamente curioso che, dopo la vittoria nel referendum, molti di questi stessi sostenitori del “SÌ” insistano ora sul fatto che le grandi sconfitte sono la Chiesa cattolica e la sua tutela morale sulla società.

Questo dimostra che i mentori del “SÌ” hanno camuffato con cura le basi ideologiche anticristiane che li muovevano e che sono la più importante ragion d’essere del loro atteggiamento nei confronti dell’aborto.

Di fronte a questo fatto, credo che la Chiesa abbia ora il dovere di avvertire i cattolici contro queste ideologie, ispiratrici degli abortisti, che cercano di sradicare dall’organizzazione politica e sociale, così come dalle mentalità, l’azione benefica della Chiesa e della sua morale. L’aborto è solo un passo.

Acção Família porterà avanti il suo impegno di avvertire a questo proposito i suoi aderenti e simpatizzanti e di far conoscere all’estero questa realtà. E spera che la organizzazioni pro-vita del mondo diano eco a questo allarme.

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ZENIT Staff

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