Benedetto XVI invoca il rispetto dei diritti umani e civili in Guinea

E chiama a percorrere la via del dialogo per superare la crisi in questo Paese

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CITTA’ DEL VATICANO/CONAKRY , domenica, 18 febbraio 2007 (ZENIT.org).- Informato della grave crisi vissuta in Guinea, Benedetto XVI ha lanciato un appello affinché vengano rispettati i diritti umani e civili in questo Paese.

Questo domenica, il Santo Padre ha dato voce alle preoccupazioni del popolo guineano, al termine della preghiera mariana dell’Angelus, che viene normalmente trasmessa in diretta in numerosi Paesi del mondo.

“Desidero poi esprimere la mia spirituale vicinanza ad un Paese africano che sta vivendo momenti di particolare difficoltà: la Guinea”, ha affermato di fronte ai pellegrini intervenuti in Piazza San Pietro per il tradizionale appuntamento domenicale.

“I Vescovi di quella Nazione mi hanno espresso la loro apprensione per la situazione di paralisi sociale, con scioperi generali e reazioni violente, che hanno causato numerose vittime”, ha aggiunto.

“Nel domandare il rispetto dei diritti umani e civili – ha proseguito –, assicuro la mia preghiera perché il comune impegno a percorrere la via del dialogo porti a superare la crisi”.

Secondo quanto riferito da “Fides”, l’organo informativo della Congregazione vaticana per l’Evangelizzazione dei Popoli, l’atmosfera che attualmente si respira a Conakry, capitale della Guinea, è caratterizzata da una calma carica di tensione.

E’ infatti trascorsa una settimana di scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, dopo la proclamazione della legge marziale – che conferisce ampi poteri ai militari: detenzione dei sospetti, controllo della stampa e delle emittenti radiofoniche – e l’imposizione del coprifuoco – si può uscire di casa solamente tra le 16:00 e le 20:00 –, decisa dal Presidente Lansana Conté a seguito della ripresa dello sciopero generale del 12 gennaio scorso.

Il bilancio parla di almeno 110 morti, mentre altre 22 persone sono morte in un incendio di una prigione appiccato dai detenuti in un tentativo di fuga.

Tuttavia si teme che la situazione possa riesplodere da un momento all’altro, anche perché la popolazione è esasperata per il comportamento dell’esercito – aggiunge l’agenzia “Fides” – , accusato di aver sparato in maniera indiscriminata sui civili inermi e pacifici e di violenze sulle donne.

Ogni attività economica è paralizzata dallo sciopero proclamato dai sindacati per protestare contro la nomina del Primo Ministro Eugène Camara, compromesso con il regime di Conté, al posto di una personalità indipendente, come previsto dagli accordi che avevano messo fine allo sciopero di gennaio.

Ogni attività commerciale è chiusa e la popolazione fa fatica a trovare il cibo. Quel poco che si riesce a trovare ha prezzi altissimi. È bloccata pure l’esportazione di bauxite, dalla quale si ricava l’alluminio, principale risorsa economica del Paese.

Il blocco delle esportazioni guineane ha avuto immediati effetti sui mercati delle materie prime, con un rialzo del prezzo dell’alluminio nelle principali borse mondiali dell’8% dall’inizio della settimana. In Guinea operano i due principali produttori di alluminio ed è evidente che la crisi interna ha diversi risvolti internazionali.

Il Dicastero missionario avverte poi che la situazione di questo Paese non va letta solo alla luce del fattore economico-finanziario ma anche di quello regionale, che vede la stretta vicinanza di Paesi caratterizzati da instabilità e conflitti interni come Liberia, Sierra Leone, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau.

Da parte loro, i Paesi limitrofi temono dunque l’estendersi della crisi oltre i confini della Guinea e si sono attivati per cercare una soluzione, finora però senza successo.

La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO/ECOWAS) ha nominato l’ex Presidente nigeriano, Ibrahim Babangida, mediatore nella crisi guineana.

Paesi come Stati Uniti, Francia e Unione Africana hanno chiesto al Presidente Conté di porre fine alla legge marziale e di riprendere le trattative con l’opposizione. Francia e Stati Uniti hanno provveduto ad evacuare dal Paese i propri cittadini e quelli di altri Stati.

Alle radici della crisi vi è un forte deterioramento delle condizioni di vita della popolazione (che supera i 9,5 milioni di abitanti, composti principalmente da musulmani), e la mancanza di prospettive di un miglioramento, a fronte della corruzione e del nepotismo delle istituzioni.

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ZENIT Staff

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