ROMA, lunedì, 22 gennaio 2007 (ZENIT.org).- Aprendo questo lunedì a Roma i lavori del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il Cardinale Camillo Ruini ha affrontato le questioni riguardanti la parte finale della vita e in particolare le proposte legislative che vorrebbero favorire l’introduzione di forme di eutanasia.

Facendo riferimento all’esame che il Parlamento italiano sta conducendo sulle cosiddette “dichiarazioni anticipate di trattamento”, il Presidente della CEI ha sottolineato il “rifiuto dell’eutanasia”, quali che siano “i motivi e i mezzi, le azioni o le omissioni, addotti e impiegati al fine di ottenerla”.

Il Vicario di Roma ha spiegato che “è legittimo rifiutare l’accanimento terapeutico, cioè il ricorso a procedure mediche straordinarie che risultino troppo onerose o pericolose per il paziente e sproporzionate rispetto ai risultati attesi”, ma che allo stesso tempo “la rinuncia all’accanimento terapeutico non può giungere però al punto di legittimare forme più o meno mascherate di eutanasia”.

A questo proposito il Cardinale Ruini ha condannato in particolare “quell’abbandono terapeutico che priva il paziente del necessario sostegno vitale attraverso l’alimentazione e l’idratazione”, come si è espresso nel 2003 il Comitato Nazionale per la Bioetica.

“La volontà del malato, attuale o anticipata o espressa attraverso un suo fiduciario scelto liberamente, e quella dei suoi familiari – ha precisato il Presidente della CEI –, non possono pertanto avere per oggetto la decisione di togliere la vita al malato stesso”.

Dopo aver rilevato l’importanza del rapporto, personale tra il medico, il paziente e i suoi familiari, e aver ribadito come “doverose le terapie che attenuano la sofferenza” e una “vicinanza affettuosa e costante ai parenti e alle loro famiglie”, il Cardinale Ruini ha parlato della vicenda di Piergiorgio Welby.

Piergiorgio Welby, Co-presidente dell'Associazione “Luca Coscioni”, malato da lungo tempo di distrofia muscolare, è morto il 20 dicembre 2006 all’età di 61 anni, dopo che gli è stato staccato il respiratore e somministrato un sedativo per impedire che soffrisse, secondo la sua volontà.

“Una vicenda umana dolorosa, che ha coinvolto a lungo la nostra gente” e “mi ha chiamato in causa anche personalmente, quando è giunta la richiesta del funerale religioso dopo la sua morte”, ha spiegato il porporato.

Il Cardinale Ruini ha quindi precisato che “la sofferta decisione” di non concedere il funerale “nasce dal fatto che il defunto, fino alla fine, ha perseverato lucidamente e consapevolmente nella volontà di porre termine alla propria vita: in quelle condizioni una decisione diversa sarebbe stata infatti per la Chiesa impossibile e contraddittoria, perché avrebbe legittimato un atteggiamento contrario alla legge di Dio”.

Il Vicario di Roma ha raccontato che “nel prendere una tale decisione non è mancata la consapevolezza di arrecare purtroppo dolore e turbamento ai familiari e a tante altre persone, anche credenti, mosse da sentimenti di umana pietà e solidarietà verso chi soffre”, sebbene “forse meno consapevoli del valore di ogni vita umana, di cui nemmeno la persona del malato può disporre”.

“Soprattutto – ha concluso il Cardinale Ruini – ci ha confortato la fiducia che il Dio ricco di misericordia non solo è l’unico a conoscere fino in fondo il cuore di ogni uomo, ma è anche Colui che in questo cuore agisce direttamente e dal di dentro, e può cambiarlo e convertirlo anche nell’istante della morte”.