Discorso di Benedetto XVI durante l’incontro con il clero nella Basilica Arcicattedrale di Varsavia

VARSAVIA, giovedì, 25 maggio 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo giovedì da Benedetto XVI nell’incontrarsi con i rappresentanti del clero nella Basilica Arcicattedrale di S. Giovanni a Varsavia.

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Successivamente il Santo Padre ha fatto visita alle tombe dei grandi Primati della Polonia: il Cardinale August Hlond (1881-1948) e il Cardinal Stefan Wyszyński (1901-1981).

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Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi… Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io” (Rm 1,8-12).

Con queste parole dell’apostolo Paolo mi rivolgo a voi, cari sacerdoti, perché in esse trovo perfettamente rispecchiati i miei odierni sentimenti e pensieri, i desideri e le preghiere. Saluto in particolare il Cardinale Józef Glemp, Arcivescovo di Varsavia e Primate di Polonia, al quale porgo le mie più cordiali felicitazioni per il 50° di Ordinazione sacerdotale che ricorre proprio oggi. Sono giunto in Polonia, nella diletta Patria del mio grande Predecessore Giovanni Paolo II, per attingere – come egli era solito fare – da questo clima di fede in cui vivete e per “comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati”. Ho fiducia che il mio peregrinare di questi giorni “rinfrancherà la fede che abbiamo in comune, voi e io”.

Mi incontro oggi con voi nell’arcicattedrale di Varsavia, la quale con ogni pietra ricorda la storia dolorosa della vostra capitale e del vostro Paese. A quali prove siete stati esposti in tempi non tanto lontani! Ricordiamo gli eroici testimoni della fede, che offrirono la loro vita a Dio e agli uomini, santi canonizzati e anche uomini comuni, che perseverarono nella rettitudine, nell’autenticità e nella bontà, senza cedere mai alla sfiducia. In questa cattedrale ricordo particolarmente il Servo di Dio Card. Stefan Wyszyński, da voi chiamato «il Primate del Millennio», il quale, abbandonandosi a Cristo e alla sua Madre, seppe servire fedelmente la Chiesa pur in mezzo a prove dolorose e prolungate. Ricordiamo con riconoscenza e gratitudine coloro che non si sono lasciati sopraffare dalle forze delle tenebre, da loro impariamo il coraggio della coerenza e della costanza nell’adesione al Vangelo di Cristo.

Mi incontro oggi con voi, sacerdoti chiamati da Cristo a servirlo nel nuovo millennio. Siete stati scelti tra il popolo, costituiti nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Credete nella potenza del vostro sacerdozio! In virtù del sacramento avete ricevuto tutto ciò che siete. Quando voi pronunciate le parole “io” o “mio” (“Io ti assolvo… Questo è il mio Corpo…”), lo fate non nel nome vostro, ma nel nome di Cristo, “in persona Christi“, che vuole servirsi delle vostre labbra e delle vostre mani, del vostro spirito di sacrificio e del vostro talento. Al momento della vostra Ordinazione, mediante il segno liturgico dell’imposizione delle mani, Cristo vi ha preso sotto la sua speciale protezione; voi siete nascosti sotto le sue mani e nel suo Cuore.

Immergetevi nel suo amore, e donate a Lui il vostro amore! Quando le vostre mani sono state unte con l’olio, segno dello Spirito Santo, sono state destinate a servire al Signore come le sue mani nel mondo di oggi. Esse non possono più servire all’egoismo, ma devono trasmettere nel mondo la testimonianza del suo amore. La grandezza del sacerdozio di Cristo può incutere timore. Si può essere tentati di esclamare con Pietro: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc 5, 8), perché facciamo fatica a credere che Cristo abbia chiamato proprio noi. Non avrebbe potuto scegliere qualcun altro, più capace, più santo? Ma Gesù ha fissato con amore proprio ciascuno di noi, e in questo suo sguardo dobbiamo confidare. Non lasciamoci prendere dalla fretta, quasi che il tempo dedicato a Cristo in silenziosa preghiera sia tempo perduto. È proprio lì, invece, che nascono i più meravigliosi frutti del servizio pastorale. Non bisogna scoraggiarsi per il fatto che la preghiera esige uno sforzo, né per l’impressione che Gesù taccia. Egli tace ma opera. Mi piace ricordare, a questo proposito, l’esperienza vissuta lo scorso anno a Colonia. Fui testimone allora di un profondo, indimenticabile silenzio di un milione di giovani, al momento dell’adorazione del Santissimo Sacramento! Quel silenzio orante ci unì, ci donò tanto sollievo. In un mondo in cui c’è tanto rumore, tanto smarrimento, c’è bisogno dell’adorazione silenziosa di Gesù nascosto nell’Ostia. Siate assidui nella preghiera di adorazione ed insegnatela ai fedeli. In essa troveranno conforto e luce soprattutto le persone provate.

Dai sacerdoti i fedeli attendono soltanto una cosa: che siano degli specialisti nel promuovere l’incontro dell’uomo con Dio. Al sacerdote non si chiede di essere esperto in economia, in edilizia o in politica. Da lui ci si attende che sia esperto nella vita spirituale. A tal fine, quando un giovane sacerdote fa i suoi primi passi, occorre che possa far riferimento ad un maestro sperimentato, che lo aiuti a non smarrirsi tra le tante proposte della cultura del momento. Di fronte alle tentazioni del relativismo o del permissivismo, non è affatto necessario che il sacerdote conosca tutte le attuali, mutevoli correnti di pensiero; ciò che i fedeli si attendono da lui è che sia testimone dell’eterna sapienza, contenuta nella parola rivelata. La sollecitudine per la qualità della preghiera personale e per una buona formazione teologica porta frutti nella vita. Il vivere sotto l’influenza del totalitarismo può aver generato un’inconsapevole tendenza a nascondersi sotto una maschera esteriore, con la conseguenza del cedimento ad una qualche forma di ipocrisia. È chiaro che ciò non giova all’’autenticità delle relazioni fraterne e può condurre ad un’esagerata concentrazione su se stessi. In realtà, si cresce nella maturità affettiva quando il cuore aderisce a Dio. Cristo ha bisogno di sacerdoti che siano maturi, virili, capaci di coltivare un’autentica paternità spirituale. Perché ciò accada, serve l’onestà con se stessi, l’apertura verso il direttore spirituale e la fiducia nella divina misericordia.

Il Papa Giovanni Paolo II in occasione del Grande Giubileo ha più volte esortato i cristiani a far penitenza delle infedeltà passate. Crediamo che la Chiesa è santa, ma in essa vi sono uomini peccatori. Bisogna respingere il desiderio di identificarsi soltanto con coloro che sono senza peccato. Come avrebbe potuto la Chiesa escludere dalle sue file i peccatori? È per la loro salvezza che Gesù si è incarnato, è morto ed è risorto. Occorre perciò imparare a vivere con sincerità la penitenza cristiana. Praticandola, confessiamo i peccati individuali in unione con gli altri, davanti a loro e a Dio. Conviene tuttavia guardarsi dalla pretesa di impancarsi con arroganza a giudici delle generazioni precedenti, vissute in altri tempi e in altre circostanze. Occorre umile sincerità per non negare i peccati del passato, e tuttavia non indulgere a facili accuse in assenza di prove reali o ignorando le differenti pre-comprensioni di allora. Inoltre la confessio peccati, per usare un’espressione di sant’Agostino, deve essere sempre accompagnata dalla confessio laudis – dalla confessione della lode. Chiedendo perdono del male commesso nel passato dobbiamo anche ricordare il bene compiuto con l’aiuto della grazia divina che, pur depositata in vasi di creta, ha portato frutti spesso eccellenti.

Oggi la Chiesa in Polonia si trova dinanzi ad una grande sfida pastorale: quella di prendersi cura dei fedeli che hanno lasciato il Paese. La piaga della disoccupazione costringe numerose persone a partire verso l’estero. È un fenomeno diffuso su vasta scala. Quando le famiglie vengono in tal modo divise, quando si infrangono i legami sociali, la Chiesa non può rimanere indifferente. È necessario che le persone che partono siano accompagnate da sacerdoti che, collegandosi con le Chiese locali, assumano il lavoro pastorale in mezzo agli emigrati. La
Chiesa che è in Polonia ha già dato numerosi sacerdoti e religiose, che svolgono il loro servizio non soltanto in favore dei Polacchi fuori dei confini del Paese, ma anche, e a volte in condizioni difficilissime, nelle missioni dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina e in altre regioni. Non dimenticate, cari sacerdoti, questi missionari. Il dono di numerose vocazioni, con cui Dio ha benedetto la vostra Chiesa, deve essere accolto in prospettiva veramente cattolica. Sacerdoti polacchi, non abbiate paura di lasciare il vostro mondo sicuro e conosciuto, per servire là dove mancano i sacerdoti e dove la vostra generosità può portare un frutto copioso.

Rimanete saldi nella fede! Anche a voi affido questo motto del mio pellegrinaggio. Siate autentici nella vostra vita e nel vostro ministero. Fissando Cristo, vivete una vita modesta, solidale con i fedeli a cui siete mandati. Servite tutti; siate accessibili nelle parrocchie e nei confessionali, accompagnate i nuovi movimenti e le associazioni, sostenete le famiglie, non trascurate il legame con i giovani, ricordatevi dei poveri e degli abbandonati. Se vivrete di fede, lo Spirito Santo vi suggerirà cosa dovrete dire e come dovrete servire. Potrete sempre contare sull’aiuto di Colei che precede la Chiesa nella fede. Vi esorto ad invocarla sempre con le parole a voi ben note: “Siamo vicino a Te, Ti ricordiamo, vegliamo”.

[© Copyright 2006 – Libreria Editrice Vaticana]

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ZENIT Staff

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