Famiglia e coppie di fatto
Nell’edizione italiana del 23 maggio del quotidiano della Santa Sede, appare un articolo dal titolo “Acrobazie dialettiche a danno della famiglia”, in cui si criticano le dichiarazioni del Ministro della Famiglia, Rosy Bindi, che aprirebbero le porte al riconoscimento “pubblico” delle “coppie di fatto”, incluse quelle omosessuali.
L’articolo inizia manifestando in primo luogo dissenso per il fatto che il Ministro inizi la sua missione affrontando questo argomento, con forti implicazioni ideologiche, anziché rispondere ai “tanti problemi che nel Paese ci sono da affrontare, e in special modo quelli riguardanti le molte difficoltà che le famiglie italiane devono affrontare quotidianamente”.
Il quotidiano vaticano fa inoltre “due considerazioni”.
In primo luogo, afferma, “è necessario, nel dibattito, distinguere fra coppie eterosessuali e omosessuali. E’ una distinzione importante perché la convivenza fra persone eterosessuali è già regolata nel diritto civile attraversa il matrimonio (per il quale, va evidentemente ricordato, c’è bisogno delle cosiddette ‘pubblicazioni’) e non si spiega perché lo Stato debba intervenire sulla sfera privata per dare tutela pubblica a chi invece si è già rifiutato di averla”.
“Ma la questione è anche un’altra”, continua: “l’impressione è che le convivenze eterosessuali siano usate semplicemente come ‘grimaldello’, perché più diffuse e maggiormente in grado di far convergere comprensione e benevolenza”.
“Il vero obiettivo appare essere un altro: la convivenza fra coppie omosessuali, alle quali un riconoscimento pubblico darebbe un’arma formidabile al fine di accreditare l’esistenza di una forma alternativa di famiglia. E dove c’è famiglia, inevitabilmente, prima o poi, ci sono anche i figli. E i loro diritti”, sostiene.
Pillola abortiva
Nell’edizione del 24 maggio, “L’Osservatore Romano” risponde alle dichiarazioni di lunedì scorso del Ministro della Sanità Livia Turco, che ha dichiarato in sostanza di essere favorevole alla sperimentazione della pillola Ru486, “il farmaco che provoca l’aborto e che dovrebbe rappresentare una più sicura alternativa all’interruzione di gravidanza praticata attraverso l’intervento chirurgico”, afferma il quotidiano.
“Nessuna novità scientifica è arrivata rispetto a questo che è diventato ormai un ‘omicidio a cuor leggero’: si tratta solo di dare alla donna la possibilità di scegliersi l’arma. Semmai un’arma più veloce dà all’omicida la consolazione di non pensarci su più di tanto”.
“Per non parlare poi dell’uso di un farmaco che da abortivo si può facilmente trasformare per le sue caratteristiche in contraccettivo – aggiunge –. E a poco serve assicurare che la sperimentazione avverrà nello spirito della ‘legge 194’”.
“Ma tant’è – sottolinea –: la richiesta di cautela dovrebbe essere accolta almeno per non ferire la sensibilità di chi non ha in merito la stessa opinione del ministro. Su temi come questi, invece di esercitare subito la tanto agognata potestà politica, occorrerebbe verificare le diverse sensibilità dei governati”.
Per il loro interesse, pubblichiamo di seguito in modo integrale i due articoli del quotidiano vaticano:
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Acrobazie dialettiche a danno della famiglia
ROMA, 22 MAGGIO 2006
Diciamo subito che non meraviglia il fatto di dover leggere l’ennesima evoluzione acrobatica sul tema delle «coppie di fatto». Semmai qualche briciolo di meraviglia la si prova nel constatare che a fronte dei tanti problemi che nel Paese ci sono da affrontare, e in special modo quelli riguardanti le molte difficoltà che le famiglie italiane devono affrontare quotidianamente, ci si affretti con grande zelo ad occuparsi di questioni che evidentemente invece stanno molto a cuore a chi si occupa della cosa pubblica. Dobbiamo dunque prendere atto di una teoria molto complessa: secondo il ministro della Famiglia («famiglia» al singolare) quando si parla di «coppie di fatto» il diritto privato non basta, perché poi, dice il ministro, il diritto privato deve essere riconosciuto dai terzi, e quindi diventa pubblico. E però guai a parlare di riconoscimento pubblico alle «coppie di fatto», perché altrimenti il ministro apparirebbe come il «ministro dei Pacs» e questo, dice il ministro, «non è vero».
Ora, a parte l’originale interpretazione relativista del diritto privato (qualsiasi diritto per essere tale deve essere opponibile a terzi, altrimenti non è diritto, almeno stando a quello che viene insegnato in tutte le scuole e università), quello che colpisce è appunto lo sforzo sovrumano di cercare argomenti per difendere posizioni indifendibili, almeno dal punto di vista cattolico.
Sulla questione dei «pacs», delle «unioni civili», delle «coppie di fatto», in qualsiasi modo le si vogliano chiamare, l’Osservatore Romano è intervenuto già da tempo, e vale la pena richiamare almeno il chiarissimo intervento di Francesco D’Agostino il 14 gennaio scorso, che ha il merito, fra gli altri, di sfrondare il campo dalla pesante pellicola di ipocrisia che si posa inesorabilmente sui tanti dibattiti che si tengono sul tema. Due considerazioni vanno comunque riproposte: è necessario, nel dibattito, distinguere fra coppie eterosessuali e omosessuali. E’ una distinzione importante perché la convivenza fra persone eterosessuali è già regolata nel diritto civile attraversa il matrimonio (per il quale, va evidentemente ricordato, c’è bisogno delle cosiddette «pubblicazioni») e non si spiega perché lo Stato debba intervenire sulla sfera privata per dare tutela pubblica a chi invece si è già rifiutato di averla. A meno di non voler elaborare un «matrimonio light» che francamente finisce per contraddire le stesse sventolate esigenze dei conviventi. Ma la questione è anche un’altra: l’impressione è che le convivenze eterosessuali siano usate semplicemente come «grimaldello», perché più diffuse e maggiormente in grado di far convergere comprensione e benevolenza. Il vero obiettivo appare essere un altro: la convivenza fra coppie omosessuali, alle quali un riconoscimento pubblico darebbe un’arma formidabile al fine di accreditare l’esistenza di una forma alternativa di famiglia. E dove c’è famiglia, inevitabilmente, prima o poi, ci sono anche i figli. E i loro diritti.
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Ru486: solo un’arma in più per uccidere la vita
ROMA, 23 MAGGIO 2006
È sconcertante la premura con la quale i neoministri corrono a dichiarare le loro intenzioni su materie particolarmente delicate e sulle quali, quantomeno, ci si sente di suggerire un poco di cautela. Ieri, lunedì, è stata dunque la volta del ministro della Sanità Livia Turco, la quale ha dichiarato in sostanza di essere favorevole alla sperimentazione della pillola Ru486, il farmaco che provoca l’aborto e che dovrebbe rappresentare una più sicura alternativa all’interruzione di gravidanza praticata attraverso l’intervento chirurgico.
Nessuna novità scientifica è arrivata rispetto a questo che è diventato ormai un «omicidio a cuor leggero»: si tratta solo di dare alla donna la possibilità di scegliersi l’arma. Semmai un’arma più veloce dà all’omicida la consolazione di non pensarci su più di tanto. Per non parlare poi dell’uso di un farmaco che da abortivo si può facilmente trasformare per le sue caratteristiche in contraccettivo. E a poco serve assicurare che la sperimentazione avverrà nello spirito della «legge 194».
Ma tant’è: la richiesta di cautela dovrebbe essere accolta almeno per non ferire la sensibilità di chi non ha in merito la stessa opinione del ministro. Su temi come questi, invece di esercitare subito la tanto agognata potestà politica, occorrerebbe verificare le diverse sensibilità dei governati.
Le dichiarazion
i del ministro Turco hanno provocato comunque reazioni e polemiche. «Pensi agli interessi della famiglia», ha commentato il capogruppo Udc alla Camera, Luca Volonté. «Evidentemente – ha affermato –, Livia Turco non sa che lo stesso padre della pillola abortiva, Etienne-Emile Baulieu, ha già ammesso alcuni effetti mortali della Ru486, ma il ministro della Salute e la collega titolare per la Famiglia, Rosy Bindi, si rendano almeno conto di aver prestato giuramento nell’esclusivo interesse del popolo italiano e non della Sinistra e della Rosa nel Pugno».
Il responsabile nazionale di An per le politiche della Famiglia, Riccardo Pedrizzi, unendosi alle critiche di Volonté ha invitato il ministro, invece che ad aprire alle diverse pillole abortive «ad impegnarsi affinché venga posta in essere una reale protezione sociale della maternità ed un’opera coerentemente volta a promuovere il rispetto della vita umana, adoperandosi perché la legge 194 sia applicata integralmente, quindi anche nella prima parte dove è prevista una fase di prevenzione concreta e di dissuasione fattiva dall’interruzione volontaria della gravidanza». Pedrizzi ha ricordato i rischi connessi, come quello di gravi emorragie e di un vero e proprio shock tossico, un’infezione fulminea legata al batterio Clostridium sordellii: «In America, Canada e Francia ci sono stati addirittura casi di morte». Plausi invece dalla sinistra. «Brava Bindi e brava Turco: meno male che le donne al governo parlano chiaro» , ha detto la deputata Ds Gloria Buffo. Un femminismo di cui francamente non si sente il bisogno.