Associazione medica italiana contesta uno studio che nega la percezione del dolore nel feto

ROMA, lunedì, 29 agosto 2005 (ZENIT.org).– In merito ad uno studio dell’Associazione Medica Americana (AMA) riguardante il dolore nel feto (cfr. Lee SJ, Ralston HJP, Drey EA, Partridge JC, Rosen MA. Fetal Pain. A systematic Mutidisciplinary review of the Evidence. JAMA 2005; 294:947-954), il Gruppo di Studio sul Dolore del Neonato (Gsdn), che fa parte della Società Italiana di Neonatologia, sostiene che il tema è stato ripreso da alcuni organi di stampa “in maniera superficiale e fuorviante”.

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Secondo lo studio dell’AMA ci sono limitate evidenze sulla capacità del feto umano di provare dolore e che la percezione fetale del dolore è improbabile prima del terzo trimestre di gravidanza – cioè prima della 30° settimana –, perché necessita di coscienza dello stimolo doloroso.

Secondo gli autori la consapevolezza fetale dello stimolo nocicettivo e quindi del dolore, richiede che le connessioni talamo-corticali siano funzionalmente attive. In realtà queste connessioni – a detta anche degli stessi autori – sono state documentate già nel feto umano tra le 23 e le 30 settimane gestazionali.

Il Gruppo di Studio sul Dolore del Neonato è l’organo scientifico italiano più autorevole in merito al tema del dolore nel feto.

In un comunicato diffuso da Padova il 26 agosto, il Gsdn si è sentito in dovere di mettere in discussione le tesi pubblicate in alcuni articoli (“Il feto non soffre, niente anestesia”, Repubblica, 25.8.05; “Il feto umano non soffre fino al settimo mese”, Il Sole 24 ore, 25.8.05), secondo cui la mancata capacità del feto di provare dolore evita la necessità di misure antalgiche in corso di procedure invasive sul feto.

Il comunicato è firmato dai medici Paola Lago, Carlo V. Bellieni, Daniele Merazzi in rappresentanza del Gruppo di Studio di Analgesia e Sedazione nel Neonato della Società Italiana di Neonatologia.

Il gruppo dei medici italiani si sofferma in particolare “sui reali risvolti scientifici ed etici, che le affermazioni divulgate comportano”.

Afferma il comunicato: “Innanzitutto, è ampiamente dimostrato, come riporta lo stesso articolo su JAMA, che il feto a metà della gestazione (23-30 settimane dopo il concepimento) è già dotato di tutto il substrato anatomico e neuroendocrino deputato alla percezione del dolore ed è in grado di rispondere allo stimolo nocicettivo con precise modificazioni fisiologiche, comportamentali ed ormonali”.

La differenziazione tra nocicezione – intesa come trasmissione di stimoli dolorosi ai centri nervosi superiori – che avviene dunque molto precocemente per il fatto che le connessioni spino-talamo corticali sono già formate a questa età e il riconoscimento cosciente dello stimolo doloroso, che coinvolge le aree corticali più nobili e probabilmente ancora immature a queste età gestazionali, è molto arbitraria.

Per questo motivo il Gsdn precisa che “il termine ‘ dolore’ non può essere usato solo per coloro che hanno facoltà di esprimersi o di averne piena coscienza; per lo stesso motivo, infatti, anche bambini o adulti portatori di handicap neurocomportamentali potrebbero non elaborare una reale percezione del dolore e per la stessa logica del feto o del neonato molto prematuro, non richiedere trattamento antalgico”.

I medici italiani sostengono che, al giorno d’oggi, nessun medico che agisce seguendo una corretta pratica clinica si permette di non applicare misure analgesiche a soggetti più grandi che non sono in grado di comunicare e quindi di esprimere il loro dolore.

Inoltre, “negli ultimi venti anni la ricerca scientifica nel campo del dolore feto-neonatale ha fatto grossi passi avanti ed ha fornito evidenze che, stimolazioni dolorose precoci e ripetute nel feto umano e nel neonato prematuro possono avere effetti a lungo termine sulla nocicezione e sullo sviluppo neurocomportamentale del futuro bambino, indicando quindi la necessità di un adeguato controllo del dolore fin dalle fasi più precoci della vita”.

In conclusione il Gsdn scrive che “affermare con certezza che in questa epoca della vita umana non è presente la percezione dolorosa significa non solo disconoscere evidenze cliniche e scientifiche importanti, ma anche non porsi neanche nella posizione di chi, nel dubbio, preferisce non provocare dolore e quindi mettere comunque in atto misure antalgiche, anche in fasi così precoci della vita, quando richiesto”.

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ZENIT Staff

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