Come individuare la tendenza laicista in uno Stato democratico

Intervista al professor Rafael Navarro-Valls

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MADRID, venerdì, 4 febbraio 2005 (ZENIT.org).- Prendendo spunto dal discorso pronunciato da Giovanni Paolo II, lo scorso lunedì 24 gennaio, di fronte ai vescovi spagnoli in visita “ad limina”, e dalle inesatte interpretazioni che sono state date alle sue parole, durante la scorsa settimana, Rafael Navarro-Valls – docente di diritto presso l’Università Complutense di Madrid – ha acconsentito a dare qualche chiarimento a ZENIT, in merito ad alcuni punti come la distinzione tra laicità e laicismo, la cui considerazione è necessaria per l’analisi dei rapporti Stato-Chiesa.

Rafael Navarro-Valls è anche Segretario Generale della Reale Accademia di Spagna di Giurisprudenza e Legislazione (rajyl.insde.es) e Presidente della sua sezione di Diritto canonico ed ecclesiastico dello Stato. Gli scopi di questa istituzione, risalente al 1730, sono la ricerca e la pratica del diritto e delle sue scienza ausiliari, e la collaborazione alle riforme e ai progressi della legislazione spagnola.

Nel suo discorso ai vescovi spagnoli (Cfr. ZENIT, 24 gennaio 2005), Giovanni Paolo II non si è riferito espressamente al Governo, ma ha sottolineato che “nell’ambito sociale” spagnolo, si sta diffondendo “una mentalità ispirata al laicismo”, ed ha avvertito che questa ideologia “porta gradualmente” “alla restrizione della libertà religiosa fino al punto di promuovere un disprezzo o l’ignoranza di tutto ciò che è religioso, relegando la fede alla sfera privata ed opponendosi alla sua espressione pubblica”. Un anno fa, di fronte al corpo diplomatico, il Papa aveva distinto il laicismo dalla legittima laicità, intesa come “distinzione tra la comunità politica e le religioni”. Quali sono le caratteristiche di una laicità “sana” in uno Stato democratico?

Rafael Navarro-Valls: Oggi osserviamo un ritorno alla nozione di laicità nei testi legislativi e nella giurisprudenza. Questo ritorno va unito ad un mutamento in corso nel concetto stesso di laicità, nel quale la visione superata del laicismo come meccanismo di difesa di fronte alle religione viene sostituito da una “laicità positiva”.

Così avviene ad esempio in una serie di recenti sentenze della Corte Costituzionale italiana, del Tribunale Costituzionale spagnolo e della Suprema Corte federale degli Stati Uniti. Ad esempio, il Tribunale Costituzionale spagnolo ha ribadito che la aconfessionalità (laicità) dello Stato non implica che le credenze e i sentimenti religiosi non possano essere oggetto di tutela, ma, anzi, che il rispetto di questi convincimenti si trova alla base della convivenza democratica.

Il laicismo negativo, per contro, vorrebbe rimettere Giona nel ventre oscuro della balena, relegando i sentimenti religiosi alla sfera privata, vietandone la presenza nell’ambito pubblico. Come ha di recente precisato l’arcivescovo Giovanni Lajolo [Segretario per i rapporti della Santa Sede con gli Stati, ndr], “Quando la laicità degli Stati è, come deve essere, espressione di vera libertà, favorisce il dialogo e, quindi, la cooperazione trasparente e regolare tra la società civile e quella religiosa, a servizio del bene comune, e contribuisce ad edificare la comunità internazionale sulla partecipazione anziché sull’esclusione, sul rispetto e non sul disprezzo”.

A sua volta il cardinale Joseph Ratzinger [Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ndr] ritiene che il laicismo non si ponga più come tutela della molteplicità delle convinzioni, ma che costituisca una ideologia “che impone cosa si deve pensare e dire”. In altre parole, ciò che prima poteva essere considerato come una garanzia di una libertà comune, “si sta trasformando in una ideologia che inizia a rendersi “dogmatica”, ponendo in pericolo la libertà religiosa.

Ciò che viene criticato oggi non è il fatto che lo Stato rifiuti legittimamente qualsiasi tentativo diretto a trasformarlo in braccio secolare di questa o quella Chiesa; ciò che viene rifiutato è che lo Stato dimentichi il contesto storico al quale esso deve la propria esistenza, o come è stato autorevolmente detto, che si dimentichi il patrimonio di verità, che non sono sottoposte al consenso, ma che precedono lo Stato e lo rendono possibile.

Lei è stato membro nel 1996 del Comitato consultivo per la libertà religiosa del Ministero della giustizia. Da cosa si evince che uno Stato democratico sta promuovendo misure laiciste che sono in definitiva restrittive della libertà religiosa?

Rafael Navarro-Valls: In una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo si legge che “L’Europa è minacciata da un’ondata di intolleranza”. Intolleranza di duplice significato. Da un lato, il fondamentalismo, che è una distorsione della religione. Dall’altro, l’ideocrazia laicista, che è una distorsione della vera laicità. La caratteristica più preoccupante di questa ideocrazia statale è il tentativo di sostituire i convincimenti sociali con l’ideologia ufficiale. La bellezza della laicità è che garantisce uno spazio di neutralità nel quale germina il principio di libertà di coscienza e di libertà religiosa. Se questa non è più “neutrale” e cerca di imporre una “filosofia” per via legislativa, allora non è più ciò che afferma di essere.

Il tessuto sociale inizia ad indebolirsi di fronte agli attacchi del “politicamente corretto” e tra le persone religiose inizia ad insinuarsi ciò che è stato definito come “antimercantilismo moral” [fobia morale del mercato, ndt]. Una sorta di timore, da parte delle Chiese e dei loro fedeli, di entrare nel gioco della libera concorrenza delle idee e dei valori morali, che si determina al di là dell’ombrello morale. Paura che nasconde una sfiducia nella forza d’attrazione dei valori e di tutto ciò che di buono ciascuno porta dentro di sé.

Quindi, mentre l’idea che può essere socialmente presentabile solo una religiosità light, disposta a transigere alle proprie credenze, diventa una premessa dell’affermazione dello Stato o meglio della struttura ideologica che lo sostiene, le persone con profonde convinzioni religiose vengono subito bollate con il sospetto di intolleranza o di potenziale pericolo sociale. Sospetto che porta troppo spesso alla situazione che Tocqueville chiamava la “malattia dell’assenteismo”, per la quale l’uomo si ripiega su se stesso chiudendosi nella sua torre d’avorio, estraneo ed indifferente alle ambizioni, incertezze e perplessità dei suoi contemporanei, mentre la grande società prosegue il suo cammino.

Charles Taylor, tra le tre forme di malessere della cultura contemporanea, individua proprio questo dispotismo blando dello Stato che trasforma una parte dei cittadini in individui chiusi nei propri cuori, e che produce una situazione per la quale lo stesso Stato perde la collaborazione di tutto uno strato della popolazione, impoverendosi in se stesso. Quei cittadini solidamente religiosi che avrebbero potuto dare un grande apporto al flusso vitale della società, rimangono emarginati.

Il Papa ha inoltre ricordato ai vescovi spagnoli il dovere delle autorità pubbliche di garantire il diritto dei genitori, qualora essi lo richiedano, di far impartire ai propri figli l’insegnamento della religione nelle scuole – con un adeguato riconoscimento accademico – e di “assicurare le condizioni reali del suo effettivo esercizio, com’è stabilito negli Accordi Parziali tra Spagna e Santa Sede del 1979, attualmente in vigore”. Come dovrebbe articolarsi l’insegnamento della religione cattolica in Spagna per ottemperare a questi Accordi?

Rafael Navarro-Valls: Il rispetto delle leggi, in uno Stato di diritto, soprattutto se sono leggi di più alto rango come quelle dei trattati internazionali, è un principio fondamentale de
lla democrazia. È per questo che occorre ricordare l’Accordo del 3 gennaio 1979, tra lo Stato spagnolo e la Santa Sede, sull’insegnamento e gli affari culturali, in cui si afferma: “I programmi educativi dei livelli prescolari, di educazione generale di base e di baccellierato o di formazione professionale (…), comprenderanno l’insegnamento della religione cattolica in tutti gli istituti educativi, in condizioni equiparabili a quelle delle altre discipline fondamentali. Nel rispetto della libertà di coscienza, tale insegnamento non avrà carattere obbligatorio per gli alunni, tuttavia, ne viene garantito il diritto di riceverla”.

Si noti che si parla di “disciplina fondamentale”, che deve quindi avere un corrispondente riscontro nei curricula degli alunni e deve rilevare ai fini dell’ottenimento di benefici e di borse di studio da parte degli studenti. Questo non è una novità. Recentemente è stato pubblicato un ampio studio dall’Ufficio internazionale dell’educazione dell’UNESCO sugli spazi riservati all’insegnamento della religione nei piani di studio dei 140 Stati.

Secondo questo studio, nel corso dei primi nove anni scolastici, l’insegnamento della religione figura come materia obbligatoria (almeno una volta) nei piani di studio di 73 Paesi, tra quelli presi in considerazione. In 54 di essi, il tempo dedicato alla religione risulta essere l’8,1% del tempo scolastico totale. Questi dati, secondo l’UNESCO, indicano una inversione di tendenza rispetto al calo che aveva caratterizzato la maggior parte dello scorso secolo XX.

Diversi componenti del Governo spagnolo, il giorno dopo la sua diffusione, si sono adoperati per screditare il messaggio di Giovanni Paolo II indirizzato ai vescovi di quel Paese. Inoltre, nel comunicato reso noto dal Ministero degli esteri spagnolo (Cfr. ZENIT, 27 gennaio 2005) viene fatta una rilettura irregolare e inesatta delle parole del Papa. Secondo lei, lo Stato perde il suo carattere di neutralità con questo tipo di reazioni?

Rafael Navarro-Valls: Come accade di frequente nei dibattiti pubblici, si finisce per discutere su cose che non erano state dette alla fonte, cose che non figuravano nel discorso originale. Nel mondo accademico questo è ben noto: la fedeltà alle fonti è condizione imprescindibile per comprendere gli avvenimenti e per giudicarli adeguatamente.

Questa autodisciplina è necessaria per evitare il caos dialettico, in cui si introduce l’elemento ideologico a discapito della verità. Per questo la Santa Sede, di fronte a queste reazioni non propriamente esatte, ha solo raccomandato “un’attenta lettura del discorso pontificio, che può illustrare adeguatamente la posizione della Chiesa”. In altre parole, più che la neutralità, viene negata la verità.

La Santa Sede ha ribadito [il 27 gennaio] che “un’intesa fruttuosa con la Chiesa mediante un dialogo permanente animato da reciproco rispetto come espresso dal medesimo comunicato (del Ministero degli esteri dopo l’incontro con il Nunzio) …è stata e sarà sempre la linea della Santa Sede”. Non si può tuttavia dimenticare che il tono delle relazioni tra un determinato governo e la Santa Sede è sempre riflesso del tono che caratterizza il rapporto tra lo stesso governo e i cattolici di quel Paese rappresentati nella loro Gerarchia. Non potrebbe essere altrimenti. “

A parte la citata questione dell’insegnamento della religione, le misure prese dal Governo spagnolo sono orientate verso l’introduzione del “matrimonio” omosessuale – compresa la possibilità di adottare bambini -, lo snellimento delle procedure per il divorzio mediante la soppressione della previa separazione e la legalizzazione di una sorta di ripudio, così da facilitare la dissoluzione del matrimonio, e verso l’approvazione della ricerca sugli embrioni umani… Non si tratta di questioni direttamente connesse con il rispetto della religione, ma di cose che hanno un effetto sui valori condivisi dalla Chiesa cattolica, alla quale appartengono la grande maggioranza degli spagnoli. Un Governo che fa le leggi prescindendo dal dialogo con la maggioranza che è credente e voltando le spalle alla propria tradizione, non si sta dirigendo contro la propria identità religiosa?

Rafael Navarro-Valls: In effetti il problema del matrimonio tra persone dello stesso sesso è un problema più antropologico che religioso. Questo spiega perché, in Spagna, le maggiori reazioni contrarie sono venute dagli ambienti giuridici. L’Associazione degli avvocati di famiglia, il Consiglio di Stato, il Consiglio generale del potere giudiziario e un buon numero di illustri giuristi hanno manifestato la loro contrarietà.

Ciò che viene affermato da questo importante settore della società, è che sebbene le istituzioni (tra cui il matrimonio) possano essere adattate allo spirito dei tempi, questo adeguamento non può avvenire in maniera tale da renderle irriconoscibili da parte della coscienza sociale di ogni tempo e luogo. Cosa che invece si verificherebbe qualora il Governo optasse per riconoscere un “diritto al matrimonio” alle coppie omosessuali.

Questo non è un problema esclusivamente spagnolo: l’Australia sta per approvare una legge che riafferma il principio eterosessuale; Clinton, durante la sua Presidenza, ha firmato la legge in difesa del matrimonio che, ai fini federali, considera tale “l’unione legale tra un uomo e una donna”; e più di recente 11 Stati nordamericani, attraverso consultazioni popolari, hanno ribadito il carattere “bipolare”, eterosessuale, del matrimonio, di fronte a certi tentativi diretti ad affermare il matrimonio tra omosessuali.

In realtà, la Chiesa – per quanto possa sorprendere questa affermazione – non ha una concezione propria del matrimonio. Ciò che afferma è una concezione propria dell’uomo. Ed è a partire da questa, che la Chiesa insiste costantemente nel ribadire che il matrimonio è tale in quando è fondato sulla natura stessa dell’uomo; sull’ordine reale delle cose. Per questo si affianca a tutti coloro che difendono il carattere eterosessuale del matrimonio. Colui che mette in guardia lo Stato sugli effetti antisociali di una legislazione contraria a questi principi, dimostra lealtà, non intolleranza.

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ZENIT Staff

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