"Una voce nel deserto di informazioni, bugie e ipocrisia"

L’augurio del patriarca Gregorios III Laham di Antiochia, sul viaggio della delegazione pontificia in Siria durante la conferenza organizzata da Aiuto alla Chiesa che Soffre

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di H. Sergio Mora

ROMA, domenica, 21 ottobre 2012 (ZENIT.org) – “Sono il patriarca greco cattolico melchita con sede a Damasco e in tutto il mondo un arcivescovo; sono per così dire ‘un piccolo Papa’ in comunione con Roma”. Si è presentato così il Patriarca di Antiochia e tutto l’Oriente, Gregorios III Laham, nella conferenza organizzata dall’Associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), svoltasi ieri, sabato 20 ottobre, nell’Aula Pio IX nel palazzo San Calisto, a Trastevere.

Ponendo subito l’accento sulla riconciliazione, quale punto fondamentale per la Siria, il patriarca ha annunciato che una delegazione del Sinodo andrà a Siria per sensibilizzare la Chiesa intera.

In apertura della conferenza, il Presidente dell’assemblea della gerarchia cattolica in Siria si è fatto il segno della croce, spiegando: “lo faccio anche quando mi invitano i musulmani e loro gradiscono perché mi invitano in quanto cattolico”.

“Abbiamo una identità, non siamo con uno o contro l’altro”, ha aggiunto, sottolineando che “siamo arabi ma non musulmani, orientali ma non ortodossi, cattolici ma non latini. Siamo una Chiesa senza frontiera, nel cuore del mondo arabo, una Chiesa degli arabi”.

Riguardo alla delegazione sinodale che andrà in Siria – tra cui risultano i nomi dei cardinali Tauran, Mamberti, Dolan – Gregorios III Laham ha dichiarato: “E’ bello vedere che questa visita si realizza in nome della diplomazia vaticana, ma anche a nome della Chiesa nel mondo intero, come dimostra il fatto che sia stata una proposta venuta proprio dai cardinali e dai vescovi.” “Spero – ha concluso – che questa delegazione sia una voce nel deserto di disinformazioni, bugie e ipocrisia”.

Il patriarca ha sottolineato poi che “la riconciliazione non è una parodia, è una parola che va al di là della crisi politica”, tanto che – ha spiegato – “il governo attuale ha un ministero per la riconciliazione: un punto che dimostra nella Siria maltratta da tanti una mente aperta”.

Negli interventi della Stampa, un giornalista ha affermato che la Siria “è un paese dove la guerra non ha una faccia, e per questo ha la più grande carica di bugia e ipocrisia”.

“Qualcuno – ha continuato – ha detto che l’estremismo islamico sposta la storia mille anni indietro. Noi siamo più liberi dei musulmani, il cristiano deve essere solo più cauto nel dire le cose”.

Sul tema della libertà religiosa, il giornalista ha affermato che essa “non è un regalo del regime”: “Abbiamo libertà religiosa, gioventù, processioni, tutto quello che voi avete e anche meglio, si può camminare da una chiesa all’altra, per la strada senza problemi” ha concluso.

È intervenuta poi Suor Mariam de la Croix, coordinatrice del movimento Musahala, (che in arabo significa “riconciliazione”), la quale ha lamentato che “nella sofferenza di questa guerra, la stampa non ha sottolineato il fatto che il popolo la rifiuta”.

“Soffriamo fortissime pressioni da tutte le parti – ha affermato la religiosa – ci dipingono come cattivi. Un anno fa in un grande incontro nella costa siriana, con migliaia i rappresentanti della società civile siriana, è stato fatto un patto di non vendere armi uno contro l’altro e la popolazione ha accettato perché non vuole entrare nella tentazione di una guerra civile”.

Padre Ibrahim di Damasco, francescano che studia a Roma, ha raccontato una sua esperienza di convivenza tra musulmani ed ebrei a due passi del patriarcato melchita, dove “la gente viveva con tanta pace” e “i figli di entrambi studiavano serenamente nelle scuole cattoliche”.

“Tanta gente vedendo un abito di un religioso musulmano o cristiano si mette in piedi – ha aggiunto il francescano – e non è così difficile intrattenere un dialogo interreligioso di buon livello, a me è capitato con un autista di taxi musulmano”.

Padre Ibrahim ha inoltre raccontato le sue impressioni durante una sua lunga permanenza in Israele. “Dopo nove mesi di attesa del visto a Roma – ha raccontato – sono riuscito a partire in Terra Santa. La prima cosa che ho visto erano i soldati camminare per le vie e questo mi incuteva un po’ di timore”.

“Andando, però, all’università ebraica di Gerusalemme, vestito con il mio abito religioso – ha proseguito – ho notato che con tanti ebrei e ortodossi che studiavano lì, dopo una iniziale paura reciproca, siamo entrati in contatto faccia a faccia. Alla fine, molti mi salutavano anche senza conoscermi”.

Il religioso ha concluso con una sua riflessione sulla situazione siriana: “In passato – ha detto – in Siria non si vedeva quella arroganza che si riscontra oggi in alcuni fondamentalisti. Tra l’altro, trent’anni fa noi cristiani eravamo il 32 % della popolazione, mentre oggi siamo soltanto l’8%”.

“La riconciliazione non è facile, ma è l’unica via” è la conclusione dei lavori della Conferenza, espressa dai rappresentanti di Aiuto alla Chiesa che Soffre e di tutti coloro che collaborano in questa opera di emergenza umanitaria.

“Adesso con questa scossa – hanno indicato – ci auguriamo che ci sarà un risveglio, in virtù di quel dono della pace che abbiamo vissuto”.

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ZENIT Staff

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